Parkinson: come informare il paziente alla prima visita?

Questo studio emerge da una richiesta specifica formulata dai medici.

La domanda è: per comunicare al paziente la diagnosi, di Parkinson c’è un protocollo?

La presente ricerca parte dal presupposto che sia necessario un protocollo, cui il medico può scegliere se aderire.

C’è un altro punto da chiarire. Perchè un medico sente la necessità di rivolgersi a un sociologo ragionando attorno al Parkinson? Qui è contenuta la reale portata innovativa della ricerca da cui deriva la ricerca.

In base agli studi nella Teoria sociologica, The Prisoner of Parkinson, la malattia colpisce le personalità più sensibili. Persone accese nelle emozioni o reattive al nervosismo (non tutte ovviamente).

Mi spiego.

A partire dal Novecento la vita sociale ha subito un’importante accelerazione nel numero di cose da fare rispetto all’Ottocento.  Questo turbine d’emozioni-reazioni-fretta-agire senza capire ma fare ugualmente-stresssa. Il tutto rappresenta un danno neurologico.

Il 42% di divorzi tra coppie spostate e il 60% di abbandoni tra quelle conviventi esprimono immediatamente il disagio sociale intaccando la base emotiva della famiglia. Tale sofferenza e stress giunge, in epoca globalizzata (dal 2000 ad oggi) alla sua fase di maturazione nella società occidentale. Come reagisce la persona a questo modo di vivere? Spesso si confonde la precarietà nel lavoro con quella dei sentimenti. Le gente immagina di cambiare partner come se fosse un contratto di lavoro. Aggiungendo anche l’estrema superficialità nell’abuso che si fa d’internet e del social emerge una qualità di vita modesta e scadente. Bauman considera il social come una sintesi di un pensiero mai svolto.

A tutto ciò c’è una reazione. Ecco che nella ricerca sociologica il Parkinson è considerato un cortocircuito del sistema nervoso.

Ovviamente ci sarebbe da dire mille altre cose, ma qui abbiamo identificato un concetto: non ci sia ammala di Parkinson solo per una predisposizione genetica, ma anche per un abuso del sistema nervoso che il paziente ha svolto nella sua vita. Troppo nervosismo o anche meglio, l’aver usato la tensione nervosa nella risoluzione dei problemi della vita quotidiana al posto del cervello. Infatti negli studi svolti nell’ambito della Teoria sociologica del prigioniero da Parkinson, la reazione nervosa (spesso isterica) che si è riscontrata nello studio del “caso italiano”, avvalora la tesi di un iper utilizzo dei nervi al posto del cervello (tecnicamente parlando è facile trovare un notevole gruppo “d’incazzati sociali” tra i malati di Parkinson, specie coloro che hanno un elevato utilizzo del web/social).

Chiarita la concausa nell’origine del Parkinson individuate nello stress della vita sociale e nella corrispondente riduzione dello spessore culturale sociale, da cui un iper utilizzo del sistema nervoso per affrontare la vita (si parla di ansie, patemi, paure, solitudine, sofferenza intima) con queste premesse come comunicare al paziente la sua patologia?

Da questo punto in poi cessa il contributo del sociologo e si passa nel campo medico.  Comunicando la diagnosi è saggio che il medico tenga presente che:

  • va distinto il modo di spiegarsi tra genere femminile (molto diretto) e quello maschile (più delicato e sfumato);
  • tenuto conto dell’età è bene essere molto chiari puntando sulla reazione individuale per pazienti fino ai 45 anni. Al contrario è bene essere molto più concentrati sul clan-gruppo-associazioni per fasce d’età più evolute;
  • assicurarsi l’assistenza al paziente che ha appena ricevuto la diagnosi da Parkinson. Vuol dire che in qualsiasi età e genere, il paziente va accolto dai diversi gruppi reali come virtuali;
  • l’affetto da Parkinson è generalmente, una persona estremamente sensibile che sta pagando sulla pelle un eccesso da stress. In particolare negli anni globalizzati sopratutto per aver abusato del sistema nervoso al posto di quello cognitivo! Dal perseverare dell’abuso emerge l’estrema conflittualità e nervosismo (incazzato sociale) che impera nelle relazioni sociali dell’affetto da Parkinson. Il malato, con arroganza, pretende quell’attenzione dal partner senza averlo mai educato ai nuovi bisogni. Qui il quadro si complica, ma centra drammaticamente l’obiettivo di una conflittualità rabbiosa che caratterizza il paziente. Come curare questa deriva isterica? Ecco che il partner, o il figlio/figlia convivente, dispiega l’intera sua potenzialità a patto che venga addestrato al nuovo ruolo;
  • infatti in ogni diagnosi, dev’essere presente sempre il partner o la figura affettiva di riferimento, per l’importante ruolo che svolgerà nella cura e stabilizzazione del paziente da Parkinson. Senza figura familiare d’appoggio il paziente si perderà e soffrirà molto di più. Urge quindi, a carico del neurologo/psicologo/sociologo una preparazione specifica da trasmettere al partner del paziente, per intercettare e soddisfare le nuove necessità. A livello di fonti il riferimento alla sociologia del dolore e alla sociologia della sessualità è diretto;
  • la diagnosi non può essere un “lancia e vai”. In realtà se il neurologo si potesse recare a casa/ufficio del paziente o farsi anche accompagnare dal partner verso il paziente, per comunicargli la diagnosi, sarebbe un gesto d’estrema delicatezza. Certamente è importante che si fissi un successivo appuntamento alla presenza del paziente, il partner/figura di riferimento e un rappresentante della comunità del Parkinson, che oltre ad aver già accolto la persona, possa discutere apertamente sui ruoli scoperti e l’aiuto che si può dare per riceverne. Il tempo intercorrente tra la comunicazione della diagnosi e il secondo incontro dovrebbe essere tra il giorno e quello successivo. Ciò risponde ad un “attivismo” del paziente che non deve mai restare solo ma sempre coinvolto, chiamato, interrogato, impegnato. L’attivismo, sociale, affettivo, sessuale e intellettivo, sono da considerarsi come parte integrante della cura nel Parkinson.

Indubbiamente ci saranno altri aspetti da approfondire. Questo è l’inizio che apre una nuova sensibilità medica e sociale al Parkinson.