Costi non monetari e quindi i ricavi NON monetari. Di cosa si tratta? In realtà questa distinzione nella contabilità aziendale entra in campo recentemente. Il “colpevole” è il Rendiconto finanziario.
La redazione stessa del Rendiconto finanziario, tra metodo diretto e indiretto, divide i costi/ricavi tra monetati e NON monetari.
Senza il Rendiconto finanziario non ci saremmo creati problemi mantenendo comunque un eco alla distinzione; nulla di più.
Sono NON monetari tutti quei costi/ricavi CHE NON HANNO UNA MANIFESTAZIONE IN DENARO. Si tratta di quelle voci che “ci siamo inventati” per una maggiore civiltà contabile.
Ad esempio l’ammortamento non è un costo! Non si paga per ammortizzare, ma si sottrae al reddito lordo (che per questo diventa netto)
Come l’ammortamento c’è anche il Tfr che segue la stessa sorte tranne per la parte connessa alla fiscalità.
Concetto più difficile da percepire sono le MINUSVALENZE ovvero il valore in meno di un bene d’impianto che viene valorizzato di meno rispetto all’ammortamento.
All’opposto come RIVAVI NON MONETARI ci sono: i lavori interni, le costruzioni in economia e le plusvalenze.
Sempre nei ricavi non monetari consideriamo la cosiddetta “capitalizzazione costi” che sono altro che le costruzioni interne. Si tratta di sinonimi. Il non sapere questo dettaglio comporta confusione.
Tornando ai costi non monetari vanno annoverati anche gli accantonamenti a rischi e oneri. Il motivo è semplice. L’accantonamento è anch’esso un’invenzione che realizziamo per detrazione dall’utile. Non si tratta di un “costo” ma di una riserva.
Detto in altri termini o ribadendo quando già scritto: IL COSTO NON MONETARIO SI DISTINGUE DALLA NON USCITA DI DENARO.
OGNI DUBBIO dovrebbe essere chiarito in ambito OIC (organismo italiano di contabilità). Peccato che entrando nel sito dell’OIC e digitando “costi non monetari” emerga la dicitura: nessun risultato trovato.
Quando anche l’OIC che dovrebbe far chiarezza scompare allora siamo veramente in crisi!
Concludendo, di cosa stiamo parlando e a cosa servono queste distinzioni da “sofisma”? L’obiettivo è semplice: LA REDAZIONE DEL RENDICONTO FINANZIARIO.
Tolto il Rendiconto finanziario, pensato e previsto nel Codice Civile del 1942 ma applicato solo dal 2015, l’argomentazione perde consistenza.
Ecco a seguire, in allegato, un esempio di procedimento diretto (costi monetari) e indiretto (costi non monetari) per la prima parte del Rendiconto.


E’ molto interessante quello che scrive. Sto infatti approfondendo come si realizza un rendiconto finanziario, proprio sullo schema dall’OIC10, e sono giunto alle stesse conclusioni sulla confusione che regna nella distinzione tra costi monetari e non monetari: confusione che vedo anche tra gli esperti che tentano di spiegare come farlo.
Le poste dubbie, a mio avviso, sono: plusvalenze, minusvalenze, accantonamenti, ammortamenti, svalutazioni, rivalutazioni, insussistenze e sopravvenienze.
Se teniamo ferma la definizione di costo o ricavo che non genera movimento monetario, certamente non sono monetari gli ammortamenti, ma anche le svalutazioni e le rivalutazioni che nascono da mere differenze contabili di valutazione delle poste dell’attivo, però per esempio c’è chi non “riprende” le svalutazioni sui crediti; se poi guardiamo bene: come si fa a dire che plusvalenze e minusvalenze non generano movimenti monetari quando vengono rilevati come differenza di un valore di vendita e un valore netto contabile?
grazie per questo spunto di riflessione. Si è vero il problema c’è ed è molto sentito che si fa acuto sulla svalutazione dei crediti. Tramontana che è un editore di riferimento nella Ragioneria ha risolto il problema applicando nei suoi esercizi la traduzione monetaria della svalutazione crediti. Sento di condividere questo aspetto perché seppur “inventato-valutato” come valore questo incide sul versante monetario riprendere la strada maestra che indica il non monetario in ciò che non è rappresentato dalla moneta. Grazie per il Suo contributo al dibattito. Il prof