La trasformazione del terrorismo da evento politico a militare: 11 sept. 2001

di Giovanni Carlini, sociologo economista

Tradizionalmente il terrorismo ha sempre rappresentato un evento politico, concretizzandosi nell’eliminazione fisica di un regnante o di una figura simbolica ben definita.
Evolvendosi già nel conflitto del Vietnam e nel corso della “battaglia di Algeri”, (anni Sessanta) come negli scontri in Palestina tra i terroristi ebrei i le truppe britanniche, (anni Quaranta) abbiamo assistito a un’estensione del terrorismo coinvolgendo civili e un numero di persone più esteso rispetto alla figura simbolica del regnante, precedentemente individuata come obiettivo (vedi Sarajevo il 28 giugno 1914 e il 29 luglio 1900 a Monza)
Il coinvolgimento di altri, non direttamente collegati allo scontro, ma comunque cittadini d’opposte fazioni, tradisce il bisogno di trasformare il solo atto offensivo, da occasionale a metodica di terrore. Insomma tradurre il terrorismo in paura per molti colpendone il più possibile senza una logica. All’apice di questa tendenza, l’11 settembre 2001 costituisce un punto di svolta. Naturalmente va riconosciuto come il Bin Laden fosse ignaro delle conseguenze e portata del suo gesto.
Egli non fu capace di prevedere il crollo delle torri, quindi un ingente numero di vittime, senza pensare alla reazione occidentale che ne sarebbe derivata con la liberazione dell’Irak e dell’ Afghanistan, da dittatori e fazioni islamiche oltranziste (talebani). Si può ammettere che Bin Laden sia rimasto vittima di se stesso.
Nonostante ciò, l’omicidio di massa per atto terroristico, è entrato prepotentemente nella storia. Dai 20 morti al massimo nel corso della battaglia d’Algeri (ragazzi francesi in discoteca) si è passati ai 3.000 distribuiti in diversi località, colpiti contemporaneamente, da più azioni concentriche. Ecco che qui, definitivamente il terrorismo da evento squisitamente politico (colpire il Re) si trasforma in militare (azione di massa per incutere terrore)
Un’evoluzione di questo tipo ha comportato una radicale rivisitazione dei sistemi di sicurezza dello Stato. Laddove prima del 2001 la forza delle Nazioni era misurata, sul piano della difesa, in numero di portaerei, elicotteri e carri armati, improvvisamente tutto ciò diventa obsoleto. Obiettivamente è più utile un solo agente addestrato, in costante contatto con un centro di comando, in grado di riconoscere un attentatore all’aeroporto, che interi battaglioni d’arringati marines.
Così è stata affrontata una trasformazione radicale dei sistemi d’offesa/difesa, paragonabile all’uso del carro armato, nella prima guerra mondiale o della polvere da sparo nel Rinascimento.
Va anche osservato, ad esempio, come l’Esercito Italiano aveva 500mila persone all’epoca della leva e oggi conti 185mila specialisti a costi se non uguali, maggiori. Dove sono finite 315mila persone? In generale e l’11 settembre lo ha solo confermato, la società, le imprese, le istituzioni tendono ad assicurare il loro ruolo, con un numero minore di persone.
La prova è che, oltre il solo 2001, portandosi dal 2008 ad oggi, chi è uscito dal sistema produttivo patisce molta fatica per rientrarci, se non restarne definitivamente fuori.
L’11 settembre ha preso la scusa dell’attacco alle torri gemelle, per rappresentare un punto di svolta che va oltre il meccanismo offesa/difesa, entrando nella metodica del lavoro (un numero inferiore di persone occupate) e nella quantità/qualità delle pretese che ci si attende dalle singole persone. In definitiva ai noi vengono richieste più ore di lavoro, meno salario, più idee, concetti e punti di vista, maggiore adattabilità e conoscenze.
Ovviamente in tutto ciò il bandito Bin Laden non c’entra nulla e il fossato tra Occidente e Oriente si allarga sempre di più, scavando delle differenze negli stili di vita, che sono ormai abissali (leggi il classico: Lo scontro delle civiltà) Se cambia il terrorismo in terrore, quindi i criteri militari di difesa/offesa, per cui evolve anche il sistema di produzione, incidendo sulle singole personalità, è chiaro che le aziende (specchio della società) non possono che adeguarsi. Ecco che la politica del prezzo e della qualità assumono un peso straordinario, ci sarà meno pubblicità e più internet, più cura del personale dipendente, a cui aumenta l’età media e maggiore utilizzo delle risorse umane, meno fiere e più contatti personali tra imprenditori, meno mercato nazionale e più estero come internazionale. Meno delocalizzazione e maggiore presidio sui mercati emergenti. Più competenza in azienda e meno stabilità nel posto di lavoro, soprattutto per i manager, destinati a un turn over più audace (le aziende soffrono ancora d’eccessiva stabilità dei vertici, che per pigrizia della proprietà o perché solo parenti del titolare, occupano posizioni di rilievo senza averne le effettive capacità)
L’11 settembre va letto anche in questa prospettiva. Probabilmente pochi se ne sono accorti, ma tutte le tendenze qui enumerate, erano già in evoluzione, attendendo una “scusa” per conclamarsi. Il nostro compito di studiosi, imprenditori, persone capaci di vivere come attori il tempo che ci è concesso, non è quello di saper leggere il passato, ma di sviluppare quella sensibilità per sentire le grandi evoluzioni in fermento.
Buon lavoro.