Un modo diverso di leggere l’11 settembre 2001

di Giovanni Carlini sociologo, economista

L’11 settembre 2001 è stato sempre letto, sino ad ora come un evento terroristico. Al di là delle analisi tecniche, che spiegano come il terrorismo passi da una manifestazione politica (che coinvolge poche persone direttamente interessate agli eventi colpendo) a militare (colpendo un gran numero di persone estranee alle vicende in lotta), l’ 11 settembre ha anche altri significati.
– gli eserciti prima dell’ 11 settembre erano misurati in numero di navi, aerei, elicotteri, carri armati e uomini. Dopo questa data assistiamo a un verticale ridimensionamento delle forze. L’US Navy da 600 navi scende a 300. Lo stesso Esercito Italiano, che contava mezzo milione di persone, si attesta ora su 185.000 effettivi. Che fine fanno le persone che prima erano impiegate in queste strutture?
– Cambiando l’offesa, si modifica anche la difesa, per cui alla quantità ora si privilegia la qualità, ma a costi di gestione inalterati. Se questa tendenza è chiarissima nelle Forze Armate, va ricercata anche nello Stato e nelle imprese dove si rileva come, a parità di funzioni, le aziende impieghino meno persone;
– A conti fatti, poter svolgere le stesse mansioni con meno persone, introduce nuovamente in Occidente, rispetto gli anni Settanta, la disoccupazione. Infatti, coloro che sono usciti dal mondo del lavoro nel 2008, sono ancora in cerca d’occupazione;
– Se nel 2001 i tassi di disoccupazione erano minimi, rispetto ad oggi, in effetti ci si permise il lusso di delocalizzare, togliendo opportunità d’impiego in Occidente a vantaggio dei paesi emergenti;
L’ 11 settembre 2001 appare sempre di più, se osservato sotto quest’ottica, non più un mero avvenimento funesto, ma il punto di sfogo di lunghissime tendenze sotterranee alla società industriale. Nel dettagli per le imprese si scopre che:

a) sono più attente alla qualità, al prodotto e al suo rapporto costo/efficacia;

b) si conclama la politica della qualità quale elemento di differenza tra “noi e loro” (le imprese occidentali con quelle cinesi)

c) la qualità comporta differenziazione, per cui i prodotti tendono a specializzarsi ancora di più, andando a servire delle nicchie di mercato, più piccole rispetto gli anni Novanta, periodo in cui il consumo si è frantumato definitivamente in una impressionante serie di livelli e sottoambiti;

d) agendo su micro-ambiti d’utilizzo dei beni, il mondo delle imprese non riesce più a vivere di mercato interno e deve accedere, per forza di cose, anche a quello estero;

e) la ricerca tecnologica come l’ingegnerizzazione di prodotto e processo, assumono valenze mai viste dal 2000 al 2010, per cui la funzione di ricerca e sviluppo “fa la differenza” tra chi resta e chi chiude;

f) i senza lavoro, under 35, arrivano in Italia al 30%, un valore capace di compromettere non solo le attuali istituzioni sociali e politiche, ma che subisce anche la concorrenza con una ondata d’immigrazione senza precedenti;

g) ecco che l’11 settembre entra anche nelle nostre vite personali, non tanto e solo per carenza di lavoro (da cui ritardo nei matrimoni e nel mettere a mondo nuove generazioni di cittadini) ma richiedendo livelli di sensibilità, intelligenza e preparazione, molto più alti rispetto a solo 10 anni fa, ma a questa domanda, si presenta una fascia giovanile sempre meno capace e attenta, figlia di una scuola che non forma e di una famiglia che non educa alla civiltà.

Considerando tutti questi aspetti, la tragedia accaduta fisicamente a New York l’11 settembre, ma che ha investito tutti i nostri cuori (wake up America, scrisse la Fallaci per risollevare lo spirito dell’intero Occidente) non appare più limitata a un’offesa arrecata alla nostra civiltà, ma la maturazione di una serie d’evoluzioni sociali, aziendali, militari e quindi soprattutto personali, che dividono la storia dell’uomo in “prima e dopo”. Non sono solo crollate due torri, ma siamo cambiati noi dentro.
Se questo è vero, quando gli imprenditori d’oggi, commentando il mercato parlano di nuove complessità, in realtà cercano di ragionare con la mentalità prima del 2000 in un mondo che è cambiato radicalmente. Insomma non sono passati solo 11 anni, è cambiata un’era che già covava dentro di noi.. Ancora non si sa se quest’epoca, sia meglio o peggio rispetto a “prima”. Forse nel 2000 c’era una fiducia e arroganza, che oggi è solo incertezza. Resta il fatto, che viviamo un nuovo mondo, con in diverso mercato, le cui regole non ci sono ancora note, perché il consumatore (in realtà noi stessi) è cambiato. Ne consegue che serve un nuovo modo di concepire e gestire l’impresa, senza imporre solo cambi al vertice, ma una nuova scienza della gestione d’impresa per includere il nuovo ABC:

– internazionalizzazione (conoscenza delle lingue)

– ingegnerizzazione del prodotto (una più decisa presenza d’ingegneri in produzione)

– marketing (affidato a degli specialisti)

– ricerca e sviluppo (in proprio o con l’ausilio delle Università)

– politiche del personale (organigramma, mansionario, uso di tempi e modi nella produzione)

– un diverso approccio con il cliente, differenziando i prodotti per prezzo e qualità, pagamenti e fidelizzazione.

Sono solo aspetti di una impresa nuova per un’era diversa, in una navigazione più difficile. Buon lavoro.