Analisi del Bollettino 2 della Banca d’Italia – aprile 2020. Studio condotto dal Prof. Giovanni Carlini, sociologo dei consumi ed economista.

La Banca d’Italia con il Bollettino n.2 di aprile 2020 analizza sia la situazione economica sia finanziaria globale, concentrandosi maggiormente su quella parte del continente europeo riunita nella Ue e quindi il nostro Paese. Nelle numerose preoccupazioni che compaiono nel Bollettino c’è un importante richiamo all’assenza di spunti inflattivi (per il momento).

 

MANCATO RISCHIO INFLATTIVO DA ECCESSO DI QE (Quantitative easing)?

Il primo appunto è nel secondo capoverso del Bollettino: le attese d’inflazione si sono ridotte in modo marcato su tutti gli orizzonti[1]

A seguire il secondo richiamo nel quinto capoverso: Gli indicatori disponibili mostrano un indebolimento delle aspettative di inflazione

Questo sottolineare “lo scampato pericolo” da un’inflazione “in agguato” stimola lo studioso a leggere tra le righe cercando di capire dove e come la Banca Centrale ponga in guardia, senza citare direttamente l’intera vicenda. La citazione nei confronti dell’inflazione non ancora conclamata vuole, probabilmente, trasmettere un messaggio ben preciso.

Lo scopo del ricercatore è capire l’interezza del documento e quelle sottigliezze accennate ma non spiegate, potendo così intravedere proiezioni sul futuro. Un intellettuale non è colui che legge solo il presente, ma ha il dono e la capacità di potersi proiettare con oggettività verso quanto accadrà.

I due richiami al rischio inflazione che ancora non si concretizza riguardano specificatamente i molti (troppi) interventi di Quantitative easing (QE) eseguiti dalla Bce a guida del Governatore Mario Draghi dal 2015 e ancora in corso nella nuova gestione.

L’argomento è noto, ma va qui rammentato. Dal 2015 con il QE la Ue ha applicato le stesse procedure anticrisi della Fed americana procedendo a massicci interventi di stampa di carta moneta da consegnare al sistema bancario (in particolare greco, italiano e spagnolo) per acquistare titoli di stato. In pratica, a ritmo di 80 miliardi/mese la Fed (in un ambiente socio-economico e politico diverso da quello frammento della Ue) ha introdotto liquidità nel sistema economico statunitense attraverso la stampa di carta moneta sganciandosi dalla corretta relazione che deve esistere tra il PIL e la correlativa quantità di moneta.

La consolidata dottrina macroeconomica degli ultimi 150 anni conferma che la quantità di M (moneta) dev’essere uguale a quanto prodotto e venduto in un anno in uno stato, il PIL.

Contraddire la relazione PIL/Moneta, per quanto opportuno in alcune specifiche fasi di crisi (procedura nota come politiche keynesiane) nel lungo periodo non può che portare a fasi inflattive. Infatti l’America del 2020 registra un tasso d’inflazione del 2,6%

In Europa, gli interventi QE non sono stati meno rispetto a quelli statunitensi ed indirizzati in forma disinvolta al sostegno dei titoli di stati del sud Europa che si riconosce nell’Unione Europea, in particolare a favore dell’Italia.

Una prassi di questo tipo ha ovviamente sollevato contestazioni in particolare dall’Alta Corte di giustizia tedesca che paventa l’uscita dal direttivo della Bce.[2]

Il grande quesito che coinvolge tutti gli studiosi, ricercatori e attori del mondo economico quanto finanziario all’interno della Ue è nel chiedersi quando e come si scatenerà l’inflazione. E’credibile una nuova esperienza d’iperinflazione modello Weimar 1923?[3]

La rassicurazione per una tempesta inflattiva che ancora non c’è, al momento, non rassicura verso il futuro. In questa chiave si possono leggere i richiami della Banca d’Italia specificatamente sull’inflazione.

 

LA UE NON è L’EUROPA MA SOLO UNA PARTE DEL CONTINENTE

Altro passaggio importante nel Bollettino è il richiamo alla dimensione Europea limitatamente a quella definita “Ue”. Sostanzialmente il Bollettino “spacca” il Continente in due entità politiche diverse: l’Europa e l’Unione.

La distinzione appena sottolineata tra Unione Europa e il continente Europeo è d’obbligo per necessità di chiarezza, in quanto l’Europa è formata da 47 Nazioni[4], mentre la Ue si limita a 26 Stati tra i quali non poche sono le tensioni verso l’uscita dall’Unione. Già quest’aspetto ridimensiona l’importanza stessa che la Ue ha voluto auto-riconoscersi e imporre nei territori che cerca di coordinare.

Sulla crisi nascosta dell’Unione e sulla sua non remota possibilità di collasso per fatti interni e forse indotta dallo stesso fallimento finanziario della Repubblica italiana (probabilità non remota) va citata l’enfasi del Bollettino sui finanziamenti devoluti al nostro Paese.

 

IL FALLIMENTO PER ECCESSO DI DEBITI DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Il Bollettino nel secondo capoverso recita: Consiglio direttivo della BCE ha allentato con decisione le condizioni monetarie, adottando un ampio pacchetto di misure tra cui operazioni di rifinanziamento più espansive per sostenere la liquidità delle imprese e un nuovo programma di acquisto di titoli per l’emergenza pandemica, volto a contrastare l’aumento dei differenziali di rendimento. Il Consiglio si è inoltre dichiarato pronto a ricorrere ancora a tutti i suoi strumenti e a fare tutto ciò che è necessario per sostenere l’economia.

Il capoverso 6 spiega: le tensioni si sono attenuate a seguito delle decisioni del Consiglio direttivo della BCE e della consistente nostra presenza sul mercato dei titoli di Stato.

Nel capoverso 7 si scrive: All’obiettivo di contenere il costo della raccolta e favorire l’espansione della liquidità degli intermediari sono tuttavia rivolte le nuove operazioni di rifinanziamento decise dalla BCE.

Al capoverso 9 si accenna: La Commissione europea ha attivato la clausola generale di salvaguardia prevista dal Patto di stabilità e crescita, che consente deviazioni temporanee dall’obiettivo di bilancio di medio termine o dal percorso di avvicinamento a quest’ultimo. Le istituzioni europee hanno inoltre predisposto un consistente ampliamento degli strumenti disponibili per fare fronte agli effetti della pandemia.

In questi passaggi che si è voluto riportare per intero, si legge tutta la drammaticità del caso che non si limita alla pandemia da polmonite cinese ma a qualcosa di più intenso.

Se prima all’inflazione i segnali d’attenzione sono solo due qui raddoppiano.

Con questa chiave di lettura va ricordato quanto non sia affatto scontato ciò che in Italia, in questi giorni di giugno 2020 si dà per sicuro, ovvero l’afflusso d’ingenti risorse finanziare di fonte Ue.

Perché l’Europa comunitaria dovrebbe indebitarsi per l’Italia? Forse i costi che deriverebbero dal fallimento dell’idea politica di Ue e la scomparsa della moneta unica sono maggiori rispetto al fallimento della Repubblica italiana per eccesso d’indebitamento?

 

LA CRISI DELLA CINA COMUNISTA COME CRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE 

Tornando al non detto ma sussurrato, nel pensiero dell’autorità monetaria e bancaria centrale italiana, si colgono dei passaggi che solitamente non si vogliono sottolineare che rappresentano invece la base di questa riflessione.

La Banca d’Italia enumera una serie d’effetti devastanti su scala mondiale derivanti dalla pandemia da polmonite cinese.

Il Bollettino ha come esordio: Nei primi mesi del 2020 gli effetti della pandemia di Covid-19 si sono riflessi sull’attività produttiva e sulla domanda aggregata di tutte le economie; 

Al terzo capoverso, su questo tema c’è un approfondimento: I giudizi delle imprese sugli ordini esteri sono peggiorati in marzo. La diffusione del contagio si sta traducendo in un arresto dei flussi turistici internazionali, che contribuiscono per quasi un terzo all’elevato avanzo di parte corrente dell’Italia.

Il terzo capoverso: L’epidemia sta avendo forti ricadute sull’occupazione in tutti i paesi.

Ultimo capoverso: La rapidità del recupero dell’economia dipende, oltre che dall’evoluzione della pandemia in Italia e all’estero, dagli sviluppi del commercio internazionale e dei mercati finanziari,

Cosa sta accadendo al mondo per come è conosciuto fino ad oggi che merita tre richiami della Banca d’Italia? E’ molto probabile che da un’era globalizzata (2001-2020) si stia transitando in epoca post-globalizzata dove la nazionalità, nazionalizzazione, chiusura o limitazione dei confini e dazi all’importazione quindi chiusura all’immigrazione indiscriminata rappresentino le nuove prospettive.

Entrando nel merito, la recente polemica tra l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’amministrazione statunitense, evidenzia come il virus cinese, usualmente chiamato “covid-19” per coprire le responsabilità cinesi nella divulgazione scientifica delle informazioni, celi in realtà una totale trasformazione del pianeta da globalizzato a post-globalizzato come già accennato.

Per spiegare il concetto è necessario approfondire il problematico rapporto che la Cina ha verso il resto del pianeta. Segnali importanti di questa tendenza provengono anche da parti della popolazione cinese che non vogliono riconoscersi nella Cina comunista (vedi il caso Hong Kong e quello sopito, ma sempre acceso, del Tibet).

Con la Brexit è stato confermato un concetto: meglio essere inglesi che europei della Ue. A Hong Kong, ricordando i fatti tibetani e Piazza Tienanmen, si conferma che è meglio non essere cinesi per restare liberi. Un concetto che al momento è solo politico per estendersi rapidamente alle scelte commerciali e di localizzazione nei siti produttivi. Questi sono i messaggi sotto traccia che l’autorità centrale monetaria italiana non manifesta in forma palese ma conferma di tenere in considerazione.

Per poter affrontare degnamente il tema e saper leggere il bollettino numero 2/2020 della Banca d’Italia relativamente alle minacce-innovazioni sul piano internazionale, serve rammentare alcuni passaggi propedeutici in particolare la crisi della globalizzazione e come dal gennaio 2020 a giugno dello stesso anno, si sia transitati in un’era post-globalizzata di nazionalizzazione delle scelte produttive per mercati sempre più domestici, meno internazionalizzati.

Per capire la globalizzazione serve ripercorrere in breve la sua evoluzione il che non vuol dire ragionare sulla Cina, ma studiare le recenti tendenze del mondo moderno tra Usa e Vietnam quindi guerra al terrorismo, Occidente con delocalizzazione e disoccupazione.

Nel 1971 l’amministrazione Nixon cercando una soluzione al conflitto vietnamita, inviò in missione segreta il Segretario di Stato, Henry Kissinger in Cina[5]. Il paese cinese, a guida Mao, reduce da una carestia che provocò 25 milioni di morti[6] e dai drammi della rivoluzione culturale, ricevette una proposta da Kissinger. La Cina desidera proseguire nel lottare contro la fame senza successo o accettare di produrre in stabilimenti e tecnologia americana appositamente trasferiti nell’area sinica? La risposta di Mao fu quanto gli americani chiesero; l’attacco al Vietnam del Nord per consentire il ritiro americano dal Sud del Vietnam.

Da quel momento la Cina si configurò come un distretto (colonia) produttivo per gli Usa, fabbricando a basso costo le merci necessarie ad alimentare l’eccezionale consumismo statunitense. Il confronto di costo della manodopera tra gli Usa e la Cina fu, in quegli anni, tra i 7 dollari/ora americani e i 2 per ora lavorata in Cina.

Gli Stati Uniti furono inondati da merci sia a basso costo sia di modesta qualità dalla Cina. Il meccanismo ha funzionato bene fino a settembre 2001. Cercando alleati alla lotta al terrorismo, gli Usa presentarono al WTO (World Trade Organization) la Cina a dicembre del 2001[7] (solo 3 mesi dopo l’attacco alle Torri gemelle) affinchè tutto il mondo Occidentale potesse far affari con la Cina comunista.

Da quel momento si è scatenata una forte delocalizzazione delle imprese occidentali a danno dei rispettivi paesi provocando intensa disoccupazione. Un malessere nel mondo del lavoro che ha favorito sia nel novembre 2016 l’elezione del Presidente Trump sia un diffuso sentimento anti Ue nell’Europa comunitaria e l’affermazione di partiti estremi e populisti in Italia, Ungheria, Polonia, Spagna e in Germania come Austria. Tutto ciò fino a gennaio 2020 per subire una radicale modifica nei successivi cinque mesi del 2020.

I primi mesi del 2020 confermano la maturazione di due tendenze di fondo solitamente soffocate nel dibattito politico ed economico.

Si tratta del fallimento della Repubblica Italiana per indebitamente e dell’importanza del dazio all’importazione, al posto di mercati lasciati in completa anarchia.

 

IL DAZIO UNA BENEDIZIONE PER IL BENESSERE NAZIONALE

Sul concetto di dazio all’import c’è da correggere quasi tutti i testi di micro e macroeconomia degli ultimi 150 anni.

L’economia persevera nel costruire modelli, sistematicamente contraddetti dalla realtà, dove l’attore è un homo economicus. Si tratta di un operatore a cui tutto è noto e che mai si pente delle sue scelte, lontano da simpatie/antipatie, severamente oggettivo.

La stupidità insita in questo modello è stata già ampiamente discussa da molti premi Nobel all’economia[8] e confermata dagli ultimi premi Nobel all’economia (ben 3) assegnati a psicologi del comportamento anziché a professori di matematica impegnati in economia.

In altre parole la contestazione al metodo economico è accademicamente forte, ma ancora non ha prodotto alcun licenziamento negli attuali docenti di micro e macro negli atenei in servizio.

In tal contesto il limite economico è quello di fermarsi nel considerare il surplus del consumatore solo in riferimento al prezzo. In realtà prezzi bassi (vantaggio per il consumatore) in presenza di una forte disoccupazione (grave svantaggio per il consumatore) causata da un eccesso d’importazioni, magari proprio dalla Cina comunista, capovolge l’intero impianto concettuale. Con la sensibilità di non fermarsi la prezzo ma verificando i reali effetti della delocalizzazione ed eccesso d’import, il dazio si erge come paladino a difesa della civiltà occidentale e del nostro benessere.

Ne vale considerare che le produzioni occidentali sono obsolete rispetto a quelle cinesi e indiane come brasiliane o sud africane, quando realizzate nel disprezzo dei diritti umani e dell’ambiente circostante. E’ facile produrre a basso prezzo senza protezione sociale al lavoro e all’ambiente!

Ucciso, in un certo senso, il pensiero economico corrente per superficialità ora è opportuno affrontare in secondo e drammatico tema che emerge dai primi due mesi del 2020: il fallimento della Repubblica Italiana.

 

SGANCIARE L’ITALIA O FINANZIARE UN PAESE FALLITO PER EVITARNE IL CONTAGIO? 

In questo semestre italiano l’indebitamento pubblico è passato dal 134% sul PIL all’epoca delle votazioni di marzo 2018 al 137% di gennaio 2020 e conclamato tra il 155 e il 160% a giugno di quest’anno. Dati che portano l’Italia al fallimento dello Stato con rischio di trascinamento della Ue e moneta unica.

In tali condizioni per la Ue è meglio “sganciare l’Italia” o finanziarla per sostenere/ritardarne il fallimento?

Si rammenta che superato il 150% d’indebitamento sul PIL, l’onere del debito non consente più, per gli annessi interessi, il rientro dal debito. Così è stato per la Grecia nel 2012 con il 198%[9] d’indebitamento sul PIL, per l’Argentina nel 2001 con il 290%[10] ma non lo è per il Giappone al 260% per cause specifiche nipponiche.

Questi sono i dati di fondo che si celano dietro l’affannato elenco d’aiuti di fonte Ue al nostro paese che la Banca d’Italia enumera nel Bollettino n.2 di aprile 2020.

L’approfondimento sulle più tipologie di prestiti allo studio, in questo momento in ambito Ue, con le definizioni più variopinte, non appare in questa riflessione rilevante, finchè non sarà superata la corretta opposizione Olandese-austriaca-finlandese al finanziamento per fondo perduto ad uno stato fallito.

 

CONCLUSIONI 

Concludendo, è possibile che leggendo tra le righe del Bollettino si sia esagerato nella proiezione a medio lungo termine, per quanto ogni argomentazione sia stata sviluppata con dati di fatto. Certamente “l’esercizio del guardare oltre” rappresenta la palestra dell’intellettuale grazie al quale molte argomentazioni spesso taciute o date per scontato, prendono forma plasmando un pensiero nuovo e innovativo. Si vive in un’epoca, quella globalizzata, che solo apparentemente è “libera”. In un mondo dove a una dittatura comunista, la Cina, è concesso d’intercedere così pesantemente sia nelle libertà reali (Hong Kong e Tibet) sia nei processi economici mondiali, fino a manipolare la responsabilità sulla diffusione dell’ultima pandemia da virus cinese, qualcosa non funziona. E’ su questo qualcosa che non funziona, che nel 2016 la prima e iniziale risposta è stata la Brexit e la Presidenza Trump. Su questo percorso è atteso il crollo del leader francese, il Macron, il cambio di governo italiano appena sarà concesso di votare alle politiche e il rinnovo della Presidenza statunitense forse con un altro personaggio, ma sulla medesima direzione di “America first – Make America Great Again”.

 

[1] https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/bollettino-economico/2020-2/index.html

[2] https://www.altalex.com/documents/news/2020/05/11/corte-costituzionale-tedesca-bce-quantitative-easing

[3] https://www.viaggio-in-germania.de/inflazione-1923.html

[4] https://www.coe.int/it/web/portal/47-members-states

[5] https://www.ilpost.it/2013/02/10/la-diplomazia-del-ping-pong/

[6] http://www.storiainrete.com/9098/in-primo-piano/quei-36-milioni-di-cinesi-morti-per-gli-errori-di-mao/

[7] https://intermarketandmore.finanza.com/cina-entra-wto-11-dicembre-2001-china-anniversary-38735.html

[8] Non ultimo il testo “Spiriti animali” pubblicato nel 2009 da Rizzoli scritto da G. Akerlof e R. Shiller

[9] https://www.lifegate.it/crisi-greca-date-storia-riassunto

[10] https://www.startingfinance.com/approfondimenti/la-terribile-crisi-argentina-del-2001/