Parkinson, Teoria sociologia al Parkinson: ci sono persone che leggendone i contenuti si offendono! 

Un contatto di Facebook, dopo aver letto la Teoria del Prigioniero di Parkinson nel sito www.giovannicarlini.com chiede: allora i nervi li dovrei curare io anziché la medicina?

Ecco la risposta: si hai centrato il tema, i nervi saltano non tanto perchè sono logori, ma in quanto è la vita che stiamo conducendo che li logora. Ovviamente servono i farmaci, ma innanzitutto necessita un reale cambio di vita nella sua effettiva qualità.

Nella serie di modifiche da apportare, nello stile dell’esistenza che conduci, la parte corporea è fondamentale e qui mi riferisco a quelle parole che tanto ti scandalizzano come corpo, nudità, sessualità, sesso, nudo, affetto, intimità, percezione epidermica delle emozioni (quest’ultimo aspetto è strategico imparando a sentire sulla pelle le percezioni emotive)

Mi dispiace usare parole che cozzano con la tua tradizione dove ti scandalizzi in un moralismo fuori luogo, ma il corpo non l’ho inventato io, bensì Dio, ed è il corpo che si ammala da cui la reale possibilità di salvarsi/gestire la malattia, con un eccezionale impegno su se stesso, dove certamente fai affidamento su un supporto farmacologico, questo è chimicamente necessario, ma non basta, perchè serve un indispensabile apporto morale, che solo tu puoi fornire a te stesso. Ecco perchè sei un prigioniero e in particolare un prigioniero da Parkinson.

In merito alla ricerca sperimentale che chiedi se esiste, è già stata sviluppata su un paziente italiano di Bologna, il paziente zero, come avrai letto negli studi pubblicati che sarebbe dovuto morire, ma applicando la Teoria del Prigioniero da Parkinson ha reagito rinviando il suo appuntamento finale con la vita. Vuoi essere tu il paziente prova successivo?

Sappi che mi addolora sapere che piangi e stai soffrendo, ma i nervi li salvi “con te stesso” non con i medici, i quali possono aiutarti ma non salvarti, possono rallentare, ma non guarire.

La guarigione è solo dentro di te, forse non assoluta, perchè dipende dalla qualità del danno, ma sei tu e solo tu che puoi lenire, gestire, ridurre l’entità del danno nervoso che stai soffrendo pur ricorrendo alla medicina e ai farmaci che ti aiutano, ma non risolvono il problema al posto tuo.

Questa impostazione non piace a nessuno e sai perchè? scardina il mondo della medicina che lo porta ad essere di supporto e non più principale interlocutore del paziente e scoccia ai malati (quest’aspetto è sorprendente) perchè li costringe a non sentirsi più vittime, ma guerrieri o pugili (vedi esperienza a Como) e questo è un contro senso.

Il malato vuole essere vittima.

Quando chiedi di reagire a un malato da Parkinson ti guarda storto perchè “non lo rispetti”. Ecco che in questo modo si conferma prigioniero/carcerato esprimendo così il vero e principale ostacolo alla nuova terapia, perché non crede in se stesso (forse non ha mai creduto).

Sociologicamente parlando, le diverse malattie dei nervi, incluso il Parkinson e altre, sono patologie dei tempi attuali, dove l’uomo “moderno” è in realtà così fragile che si ammala di se stesso.

Lo so è un ragionamento moralistico che non t’interessa allo stadio nel quale ti trovi. Come reagire?

Tanto per iniziare devi essere convinto che puoi e vuoi reagire (questo è il principale ostacolo) dopodiché inizia una riabilitazione caratteriale, personale, mentale, alimentare, sessuale, intellettuale, morale, tutta da discutere passo dopo passo, dove non c’è la formula magica da applicare uguale a quella di un altro prigioniero da Parkinson, ma va definita giorno per giorno, senza però ricreare quella dipendenza (schiavitù) già in essere con la medicina.

Ti auguro buon lavoro (su te stesso).