Al latere della teoria “The Prisoner of Parkinson” nuove considerazioni

Prof. Giovanni Carlini

Studiando gli effetti del Parkinson, come dolore sul comportamento umano e le annesse conseguenze, emergono, in particolare verso le donne, delle riflessioni che valgono per tutte pur prendendo spunto dal mondo del Parkinson. In particolare emerge, nelle donne, un comportamento molto particolare del tipo “reduce di guerra” che condiziona la ricerca di un nuovo partner. Questo comportamento non è stato notato nei maschi in pari condizioni di bisogno affettivo.

Parkinson e separazioni/divorzi

Un evento traumatico di rilevanza sociale, che s’incontra nello studio delle modificazioni del comportamento umano per effetto del Parkinson, studiando la nota teoria sociologica The Prisoner of Parkinson, sono quelle separazioni avvenute sotto l’effetto del peso della malattia. Si tratta indubbiamente di pregresse fratture avvenute nel tempo passato nella coppia, pervenute a maturazione purtroppo e in coincidenza nel momento esatto di massimo stress di bisogno affettivo e d’assistenza che trovano nel Parkinson (o nella malattia) il motivo scatenante. Ovviamente nessuno dei coniugi separati, tra quelli studiati, gode di una dialettica aperta e schietta verso il partner, che avrebbe dovuto sviluppare in una politica d’educazione e sensibilizzazione alle nuove necessità. Al contrario sono solitamente persone che hanno preteso senza spiegare o che hanno cercato altrove quanto già avevano in coppia, oppure che sono state sopraffatte dalla vergogna degli effetti fisici che la malattia comporta.

Quanto qui scritto non è per giudicare persone sole e in sofferenza, al contrario per analizzare come un fallimento di coppia riversa i suoi effetti peggiori, proprio nel momento di maggior bisogno di cure e affetto nell’organizzare quella reazione al male che la teoria The Prisoner of Parkinson esorta ad assumere per gestire la malattia.

In pratica la separazione o divorzio, sotto l’effetto del Parkinson (probabilmente sarà lo stesso per altre patologie) deriva quasi sempre da una pessima comunicazione di coppia, dove i partner sono stati incapaci di spiegarsi come educarsi l’uno all’altro. E’ facile che questa dinamica avvenga anche nei divorzi consumati fuori dall’effetto della malattia.

Le conseguenze osservate nelle donne in fase post separazione, all’atto della ricerca di un nuovo compagno.

Nei casi studiati nell’ambito della teoria The Prisoner of Parkinson, si sono riscontrati, solo nel genere femminile, delle conseguenze dalla separazione particolarmente acute e paralizzanti nella successiva ricerca di un partner.

Non si crede che questo sia un effetto specifico della malattia o dell’importante uso di farmaci cui un prigioniero da Parkinson è soggetto, però l’attenzione a studiarne le correlazioni è accesa. Di fatto la donna che esce da un rapporto di coppia fallito, assume un atteggiamento simile al reduce da una campagna di guerra, per cui non trova dialogo o voglia di parlarne se non con altri “reduci” dello stesso genere. Si viene a creare in questo modo “un limbo” caratterizzato da sole donne che si rinforza e di conseguenza chiude al resto delle relazioni sociali. Da questo rifugio creato artificialmente e comprensibile nelle prime fasi post separazione, emerge però una personalità femminile, solitamente adulta, incapace di relazionare nuovamente con altri uomini, dai quali apprezza l’interesse, ma che non sa gestire in forme propositive. Si conferma in questo modo una donna caratterialmente passiva pur desiderando una nuova relazione.

Il fatto d’essere passiva nella relazione sociale e affettiva, non rappresenta un problema se non quando si scontra con il vero bisogno di riaprire delle relazioni affettive ardentemente richieste; è a questo punto che nasce il dolore che si traduce in sconforto.

Le donne separate si trovano, in maggioranza, in una sorta di attesa per un qualcosa che potrebbe anche non accade pur lamentandosi della volgarità e sesso sbrigativo dei maschi verso di loro. In pratica, come spesso è stato osservato, le donne “reduci” da una separazione vorrebbero rivivere quell’intensa fase di corteggiamento, che intorno ai 20-25 anni d’età, apprezzarono per giungere al primo matrimonio. Si tratta di una richiesta comprensibile che si scontra però con uomini “stanchi”, desiderosi di concretezza senza romanticismo. In pratica entrano in collisione 2 tipologie comportamentali, una romantica e un’altra brutalmente concreta, come del resto è in tutta la storia della relazione donna-uomo, ma che in seconda ricerca di stabilizzazione, appunto in età avanzata e adulta, diventa drammatica per la passività e lo shock affettivo già subito dalle donne.

Quello che pesa nel mondo adulto femminile in ricerca di un nuovo amore è la sofferenza subita dalla separazione assimilato a un tradimento consumato, indipendentemente dalle effettive e comuni responsabilità tra partner. Per il solo fatto di trovarsi sola la donna si sente tradita e violata da una sorte/marito ingrati, rimanendo comunque acritica sulle sue effettive responsabilità. Si conferma così un processo d’assoluzione che non consente l’elaborazione “del lutto” affettivo subito, confermando la posizione di vittima cui rendere onori e rispetto passivamente ricevuti. Quest’atteggiamento che si conferma sofferenza pura, impedisce alle donne “reduci” quella vivacità di quanto erano ragazze alle prese con gli stessi “maschi” concreti e brutali d’allora, che furono però educati e riportati a un livello di civiltà affettiva per sposarsi. Oggi la donna adulta scioccata dalla separazione resta disarmata, non più capace di proporre o reagire, restando passiva e impaurita, nell’attesa (spesso vana) d’essere nuovamente colte come frutto maturo da uomini “stanchi”. Che disastro sociale!

Questi studi valgono per l’intera società civile, ma quanto ha inciso il Parkinson sulla stanchezza nel reagire alla crisi?

Il dramma dell’incomunicabilità

Di fronte a donne che vogliono essere colte ma restano passive e uomini che hanno perso il senso romantico del rapporto amoroso, si vive un dramma che è quello della solitudine.

La teoria sociologica al Parkinson, nota come The Parkinson Prisoner, offre una risposta riabilitando il carattere del malato in una funzione antagonistica al male anziché di assuefazione, come solitamente avviene. In questa militarizzazione comportamentale, il prigioniero (ex malato) trova quegli elementi di riabilitazione caratteriale che sono poi quelli necessari all’atto del rilancio della relazione amorosa.

Quanto osservato in ambito di studi al Parkinson, relativamente alle dinamiche di blocco della reattività femminile alle sollecitazioni maschili in età matura, si ritiene possano essere valide anche come studio per la società civile più ampia.

In effetti, la maggioranza delle donne occidentali divorziate, si trova in questo incastro da mancata reazione, soffrendo di passività alle sollecitazioni definendo, in questo un problema culturale che richiede apposite cure per insegnare a reagire nella ricerca della serenità.

Purtroppo per curare chi è in crisi serve che sia cosciente del proprio problema, cosa che le donne oggettivamente riconoscono, senza essere però disposte a reagire, morendo così di inedia e astio da sfogare sul cibo o su un amore compensativo (quello per cani e gatti) o in altri casi sul volontariato, che sono tutti aspetti socialmente rilevanti e molto nobili, tranne la reale motivazione celando una povertà di carattere con difficoltà a reagire.

Che forse la teoria The Prisoner of Parkinson scopra nuovi prigionieri da liberare? Certamente, quale conclusione a questo spunto, servono sempre di più degli uomini che sappiano educare le donne a reagire, come quest’ultime vogliano effettivamente elevare il maschio a uomo, operazione spesso difficile ma non impossibile.