Showroom; quando si fa un buco nell’acqua.
L’uso della tecnica comunicativa ed espositiva, che definiamo con il termine showroom, non pone al riparo l’impresa da un cocente insuccesso o dal fallimento dell’azienda! Ecco lo studio di un caso “da manuale” che occorre meditare. L’errore di fondo qui commesso, ma anche molto diffuso nel nostro paese, consiste nel non considerare lo showroom parte di un piano di marketing, che sappia identificare chi è il cliente, come compra, a che prezzi e cosa offrirgli. L’assenza di una strategia di vendita, preventivamente studiata, lascia lo showroom come un palloncino sgonfio che vorrebbe invece volare.
L’errore è il non aver redatto un piano di marketing che sorreggesse l’idea showroom realizzata su intuito creativo!
Lo spunto viene dagli Stati Uniti dove la testata “Showroom”di Spazio Tre, si è recata per osservare e capire come il concetto d’esposizione del negozio, modello showroom è applicato, sapendo di trovarsi in un ambiente dove tutto ciò è particolarmente esasperato e diffuso.
Infatti il 98% dei nuovi negozi è strutturato con questa tecnica espositiva ed il 72% dei 37 milioni di esercizi commerciali statunitensi, ne attua le regole.
Cosa imparare da questa realtà?
– la scelta d’aprirsi al pubblico con uno showroom, non si basa sullo spazio, ma sul modo di organizzarlo;
– si sono definiti almeno 2 tipi di showroom: uno per la città e l’altro per la prima periferia.
Nel primo si punta molto alla qualità d’accoglimento dei clienti, grazie ad un personale di vendita particolarmente accattivante e coinvolgente, mentre nel secondo ci si basa principalmente sulla capacità d’offerta dei prodotti, prezzi, parcheggi e quindi sullo spazio espositivo organizzato. “Per dirla tutta” ci sarebbero due forme, sia di reclutamento per il personale e quindi conseguenti politiche di risorse umane da applicare, che d’organizzazione del negozio;
– sia nel piccolo (in città) che nell’esteso (in periferia) il concetto showroom richiede un itinerario che impegni il visitatore nella scoperta di un qualcosa, che in crescendo, colga il suo bisogno di stupirsi. In pratica è come andare al cinema!
– Il visitatore che segue “l’itinerario” non va abbandonato, ma seguito a distanza, attraverso o isole o punti di consultazione, da realizzare in entrambe le versioni; (la differenza tra isole e punti, consiste nell’organizzazione del posto d’ascolto. L’isola è una semplice scrivania con un computer, della carta e penna, mentre il punto gode di scaffali dove custodire proposte d’ampliamento delle domande poste dai clienti, quindi depliant delle diverse case produttrici e capacità di progettazione per interni con studi di fattibilità. Solitamente il numero dei punti è un terzo delle isole, quindi nello showroom cittadino troviamo normalmente 1 punto ed un’isola, mentre nei grandi spazi (dai 35.000 mq in su) 5-6 isole e 2 punti;
– Uno showroom è sempre la conclusione ed attuazione di un lungo percorso, tutto interno all’azienda, che è partita con un piano di marketing nel chiedersi:
a) chi servire (clienti a livello di nicchia o grandi strati di popolazione? Puntare quindi sulla qualità o sul prezzo o su mix differenziati tra questi elementi?)
b) dove farlo (in città a livello di “provocazione” per il passante o in periferia dove accogliere il cliente con uno spettacolare impiego di spazi e risorse?)
c) con quali mezzi, merci, e prospettive (si punta a vendite selettive con interessanti margini di guadagno o ad un gran numero di merci vendute con bassi profili di ricarico, ma costanti ed in incremento continuo grazie a tecniche di fidelizzazione?)
d) con quali strumenti finanziari e tipologie di persone (se un piano di marketing è ben fatto e sa offrire spunti di riflessione interessanti il denaro, in genere, non è un problema. Gli interlocutori di un piano di Mk sono banche, investitori e chiunque lo legga perché capace d’influire sul decorso dell’iniziativa. Spesso si leggono ottimi piani industriali che non ottengono fondi, ma questo deriva non dall’idea o dal metodo adottato, quanto da pregresse situazioni finanziarie decisamente compromesse o particolarmente esposte con tassi d’evasione fiscale oltre l’accettabile)
Se queste sono “le regole d’ingaggio” per gestire uno showroom, perché è possibile fallire sul mercato utilizzando un tipo di metodo di relazione con il cliente così impostato?
Ovviamente lo showroom a se stante, non risolve alcun problema di collocazione del prodotto sul mercato (collocare il prodotto sul mercato è la definizione di marketing che offre lo stesso Kotler, ovvero il fondatore del marketing moderno. Di lui sono disponibili in libreria una trentina di libri, testi, tomi come semplici appunti, la cui lettura è consigliata)
Relativamente al mercato nordamericano ci sono molti giganti della distribuzione commerciale che sono, riferendosi ai nomi più diffusi, Wal Mart, K-Mart, Target, Sears, Safeway, CVS, Kroger, BestBuy, Office depot, Homehardware ed altri.
Per lo studio qui proposto, sul fallimento della tecnica di showroom, l’analisi si concentra su due grandi operatori, che sono The Home Depot ed il suo concorrente Lowe’s.
a) The Home Depot con 2.000 punti vendita nel continente. Ogni negozio ha dai 32.000 ai 50.000 mq e serve tutto quanto possa interessare dal giardinaggio al bricolage e quindi legname, vernici, infissi, elettrodomestici etc.. In tutto ci sono almeno 32 reparti espositivi in ogni negozio.
b) Lowe’s che ha aperto solo 2 anni fa, in concorrenza con The Home Depot, ma su un livello di qualità più elevato e prezzi leggermente più cari.
Entrambi si schierano sul territorio come grande distribuzione, con le medesime cubature, per singolo negozio. Il secondo però, oltre alla qualità, conta anche su un servizio d’assistenza alla clientela più “audace” rispetto Home Depot (maggior numero di punti ed isole con capacità di seguire a domicilio i lavori del privato e del contractor, che si è fatto consigliare ed ha acquistato le merci presso Lowe’s. Il contractor è una figura molto importante negli USA; praticamente è colui che ha ricevuto l’incarico dal privato d’eseguire un certo tipo di lavoro, costruendo e ristrutturando locali come case e palazzi)
A conti fatti, e grazie anche ad una limitazione delle importazioni dalla Cina, (che il consumatore approva ed apprezza) Lowe’s ha battuto per volumi di vendita e dati di affluenza del pubblico il rivale, The Home Depot che resta comunque il leader del mercato mondiale.
Per risalire la china, The Home Depot, senza modificare il livello medio basso in qualità delle merci ed i relativi prezzi, inclusa l’importazione dalla Cina, ha provveduto ad aprire, sotto altro marchio ben 30 negozi (del genere showroom) da 35.000 mq con il nome di EXPO. Questa nuova realtà si rivolge alla casa ed ai suoi bisogni intesi in termini di pavimento per parquet, ceramica o moquette, quindi infissi, e l’illuminazione, concludendo con l’arredamento del giardino ed aree connesse. Il tutto esposto in 10 reparti. All’inizio il mercato ha risposto favorevolmente all’idea che EXPO incarnava, ma subito dopo, considerati gli alti prezzi della merce esposta (tutta di qualità con zero importazioni cinesi) c’è stato un vertiginoso calo di presenze e quindi di fatturato. Questo sgonfiamento dei volumi di vendita è stato causato anche dalla percezione del prodotto, da parte del consumatore, come spudoratamente d’elitè, in un momento congiunturale, che invita invece alla moderazione e prudenza anche negli acquisti.
The Home Depot/Lowe’s e la crisi del mercato immobiliare statunitense
Il calo dei profitti di The Home Depot nel secondo quarto del 2007 è stato del 15% segnando il primo grande e clamoroso insuccesso in 4 anni per il colosso mondiale.
Il mercato immobiliare statunitense è il più importante del mondo ed è grazie a questo sistema di costruire e ristrutturare in bricolage, che è conseguentemente nato The Home Depot. Per l’americano medio, la scatola degli attrezzi per riparazioni domestiche è un punto d’onore ed il sistema The Home Depot il suo naturale interlocutore. Adesso che gli interessi sui prestiti immobiliari sono cresciuti a dismisura, (un’area felice come quella di Dallas, nel Texas, chiede 900 dollari al mese per un prestito di 100.000 idonei a comprare una grande casa su 3 ettari) la crisi ha investito anche l’indotto, ovvero il sistema di distribuzione in bricolage.
Ma la crisi, ora conclamata, non è giunta senza avvisaglie. Le vendite erano già calate del 1,8% (22,2 miliardi di dollari) alla fine del 2002, dato che aggiornato a Natale 2006 assume la dimensione del 5,2%. Ad agosto 2007 il calo è del 2,8% ovvero 58,30 miliardi di dollari, ma c’è un incremento di scontrini dell’1% come a dire che i clienti comprano di più, ma per un valore complessivo inferiore. I settori che tirano ancora sono le vernici, i pavimenti in legno (parquet) e gli elettrodomestici; in calo il legname per bricolage derivante da segherie e le cucine.
La crisi investe anche Lowe’s, ma in forme leggermente più lievi, infatti il se titolo Home Depot in borsa è calato del 17,6% (agosto 2007) per Lowe’s si tratta di un 13,9%.
In conclusione il mercato è indirizzato verso la ristrutturazione anziché l’acquisto di nuovi locali aggiuntivi o di ulteriori unità abitative. Si aggiunge, quale valutazione personale del corrispondente dall’estero di “showroom”, il sospetto che Home Depot stia valutando seriamente l’idea di ritirarsi dal mercato, per non accusare perdite ancora più accentuate nei prossimi mesi (USA Today – Wednesday August 15 2007 3B)
A questo punto la variabile critica non è tanto importare o meno dalla Cina per contenere i prezzi, quanto poter offrire un giusto livello qualitativo, senza esagerare sui costi. L’import dall’Asia ha addormentato la sagacia degli uffici acquisti nell’individuare buoni prodotti a costi competitivi. Nel caso del pavimento in legno, ad esempio, i più audaci stanno riscoprendo sia la Finlandia che la Germania e l’Ungheria come produttori, e questo accade in tutti i settori se ci sa muovere con fantasia, sapendo che quest’ultimo ingrediente è la base per attirare clienti ed affari.
Ci sono anche altri due problemi.
Il primo riguarda il tratto con il cliente utilizzato dal personale, mentre il secondo si riferisce al metodo pubblicitario. In ambito di contatto ed accoglimento del visitatore nel negozio, va rilevato come in Lowe’s il personale di vendita sia decisamente più attento e vicino al consumatore, rispetto a The Home Depot. Per questo aspetto va osservato come nell’apertura dei negozi sotto marchio EXPO, The Home Depot non ha assunto nuovo personale per questa avventura, ma trasferito da un tipo di negozio all’altro, le stesse persone, senza ulteriore formazione, le quali hanno esportato il modo di fare che avevano nel primo modo di lavorare al secondo.
La conclusione è che EXPO ha un livello qualitativo eccellente, a prezzi cari con un personale sbagliato. Cosa fare in questa situazione?
Le scelte operative di EXPO per scongiurare la chiusura del marchio e dei negozi, sono oggetto di un prossimo articolo, qui in questa sede va sottolineata la delicatezza del modo di fare showroom. Il successo non deriva dal solo metodo d’esposizione e provocazione delle proposte alla clientela, ma da una ricerca “a monte” capace d’intercettare gusti e bisogni mutando con essi, in una sorta di geometria variabile, che con fantasia cambi aspetti e formule in spazi definiti.
Resta da affrontare il secondo aspetto: quello pubblicitario.
Per contrarre i costi, The Home Depot non ha sostenuto una campagna pubblicitaria per EXPO, limitandosi ad informare i suoi clienti in transito, presso i proprio negozi dell’esistenza del nuovo marchio. La domanda che ci si pone a questo punto è: quando si apre un negozio serve la pubblicità? Ed in particolare laddove la nuova apertura sia sostenuta da un brand già noto e di successo, è opportuna una spesa pubblicitaria aggiuntiva?
Con “il senno di poi” si può concludere che il messaggio pubblicitario è sempre necessario, casomai si sarebbe dovuto utilizzare una grammatica visiva diversa dall’abitudinario, per coinvolgere l’interesse dei passanti verso il nuovo negozio, ma la totale assenza di informazione al pubblico ha infine nociuto. La conclusione che si può trarre da questo studio comparato è che lo showroom, come metodica di esposizione delle offerte al pubblico, può avere una doppia valenza, in positivo come in negativo, amplificando i difetti che possono esserci nella radice del negozio. Necessita non solo un piano di marketing prima di aprire uno showroom, ma anche delle strategie, degli stili, delle metodiche per spiegarsi al mercato che lo showroom esalta o mortifica. Lo showroom è quindi un amplificatore, una sorta di moltiplicatore di pregi e difetti e con questa prospettiva va utilizzato.