Quando la globalizzazione produce povertà. Il fallimento di un modo di fare che ha portato disagio sociale. Nessuno vuole ammetterlo. Ecco perchè si accomuna la globalizzazione e la società aperta alla dittatura. 

Quando la globalizzazione produce povertà. Bruna scrive:
Buonasera Prof. Carlini. Leggo sempre molto attentamente i suoi articoli. Mi sorprende ogni volta che il suo pensiero è quello che io provo. Esattamente sento in quel momento le stesse cose senza averle espresse bene come Lei. O meglio, detto da un economista è un’altra cosa, ma Lei non è un economista normale. Questo perchè afferma cose che pensano tutti quelli che hanno un minimo d’intelligenza. Cioè tutti meno i nostri governanti! 

Io sono proprio una di quelle che si è battuta per il lavoro. Che ha lasciato i figli piccoli con i nonni, con gli zii e con chiunque capitava. Questo pur di non perdere una giornata di lavoro. Anche se non sono laureata, ho fatto in modo d’apprendere, tramite il lavoro. Si tratta di quelle nozioni che mi mancavano. Il risultato che a quasi 50 anni, sono fuori dal mondo del lavoro da poco più di 6 mesi.

Negli ultimi anni ho svolto due part-time. Uno da 600 euro netti mensili (settore artigiano legno) e l’altro da 440 euro netti mensili (azienda agricola).

All’atto della dichiarazione dei redditi lo Stato chiede di pagare euro 1.200. Questo perchè le detrazioni per lavoro dipendente spettano in uno solo dei due rapporti. Non è possibile conguagliare le buste paghe a fine anno. Sa qual’è la beffa? che ho preteso l’assunzione per evitare il lavoro in nero. Nel caso fossi stata in nero ma adesso non avrei avuto nulla da pagare!

Non sono mai sta un’individualista. Sono una di quelle che ha sempre manifestato con scioperi, assemblee e quant’altro. Oggi non mi ritrovo in questa Italia, ma sto cercando di conviverci preparandomi al peggio. Meno male che almeno il primo dei miei figli è all’estero per lavoro.

Grazie Bruna per questa lettera, ci sono tanti aspetti sui quali riflettere.

Tanto per iniziare, noi tutti NON abbiamo lavorato, studiato e appassionati per un’Italia ridotta così! Ci troviamo di fronte a uno sbilanciamento clamoroso tra aspettative e risultati. Le responsabilità? 

In un tempo di crisi drammatica, assegnare le colpe non è l’esercizio migliore. Sicuramente di fronte a tale disastro sociale, il ringraziamento inizia dal sindacato. Una realtà che ha fortemente contribuito alla delocalizzazione industriale.

Il problema del lavoro in Italia non è limitato al solo “cuneo fiscale”. Ruota intorno ai rapporti azienda-dipendente ancorati alla legge 300 (statuto dei lavoratori – 1970) E’ storia di questi giorni.

A Padova, nella mia esperienza degli ultimi 20 giorni, il sindacato fa ancora quadrato. Intorno a chi? Un dipendente che, da falegname artigiano, è stato assunto 15 anni fa. Oggi offre ampia e documentata dimostrazione di non adeguatezza e capacità agli incarichi affidarti. Quindi rifiuta lo spostamento dal reparto falegnameria al magazzino. Il tutto nella stessa azienda. 150 metri di distanza. Nel frattempo si è dovuto assumere un altro falegname per assicurare il lavoro non svolto.

L’impresa è da 130 dipendenti con un ritmo d’assunzioni per 1 unità alla settimana. 11 milioni di euro di fatturato, esportato al 70%. Questi atteggiamenti da parte del sindacato fanno male alla Nazione spingendo alla delocalizzazione.

Così facendo il sindacato si perde dietro un personaggio non adeguato. Restano sulla piazza 3,5 milioni di disoccupati.

Le responsabilità vanno assegnate anche agli imprenditori! La mera ricerca di profitto ha portato alla delocalizzazione. Il che tradotto in parole semplici a un furto di posti di lavoro. Chi ha permesso questo? QUANDO LA GLOBALIZZAZIONE PRODUCE POVERTA’.

Perché non si è proceduto con dazi e tasse a danno degli imprenditori che emigrano? Identificate le responsabilità (è un esercizio di scarsa soddisfazione) al contrario serve capire cosa si può fare. Emigrare all’estero? 

Gli imprenditori l’hanno già fatto! I singoli cittadini lo stanno facendo.

Il dramma della Grecia non risiede solo nei conti che non quadrano e nel numero dei suicidi. Certamente le menti più fertili della nazione greca sono già emigrate. Abbiamo soluzioni? Non esiste un problema senza almeno una soluzione! Lo afferma l’economista-sociologo Max Weber, agli inizi del Novecento. 

La soluzione è ristabilire i fondamentali che sono andati perduti dall’inverno caldo del 1969. Sapremo ridiscutere gli ultimi 43 anni individuando i valori e gli sbagli?

Il rispetto, la dignità, il lavoro e l’azienda erano e sono ancora dei valori che vanno confermati. Questo anche quando la globalizzazione produce povertà.