Il surplus del consumatore rappresenta ancora la pietra angolare della nuova economia internazionale e microeconomia globalizzata; ovviamente il concetto è sbagliato. Nonostante il palese errore, si continua a pontificare sulla “globalizzazione” non avendo capito che è finita (e anche male).

Procedendo con ordine: perché è finita la globalizzazione?

Il primo colpo al metodo globalizzato è avvenuto con l’epidemia da polmonite cinese (detta “Covid 19” per non responsabilizzare la Cina comunista nella diffusione del virus che ha ucciso solo in Italia 190mila persone). A seguire, nel febbraio del 2022, l’attacco russo all’Ucraina ha confermato che non si compra più solo perché il prezzo è basso (uccidendo in questo modo le importazioni dalla Cina comunista).

Infatti noi compriamo il gas da altri fornitori pagandolo anche tre volte di più rispetto a quello russo.

La globalizzazione muore perché il prezzo non è più il criterio di selezione nell’acquisto dei prodotti; serve identificarsi nella cultura del produttore per compare quello che vende. Oggettivamente è veramente dura riconoscersi in una dittatura comunista qual’è quella cinese. Da qui la fine della globalizzazione. Ne consegue che la Cina comunista (da distinguersi da quella libera dell’isola di Taiwan-Formosa) è scesa da un PIL del +11% prima della pandemia da polmonite cinese, all’attuale 5% (un bello sbalzo!).

Liquidata la globalizzazione, grazie anche a dazi e protezione della civiltà del lavoro in Occidente, resta ancora attivo il mito del surplus del consumatore quale pietra angolare di una concezione errata dell’economia.

Per capire cosa sia il surplus del consumatore e quindi anche del produttore, serve una rappresentazione grafica.

Tutto lo spazio (un triangolo) che si trova a nord del prezzo, si chiama surplus del consumatore. A sud del prezzo e chiuso dalla funzione della produzione, si trova il surplus del produttore.

Capito l’aspetto grafico ora il concetto.

Si definisce surplus la differenza che si è disposti a pagare per un bene/servizio e il suo prezzo effettivo.

Ad esempio, uscendo da una marcia forzata nel deserto si giunge davanti a un chiosco, sulla spiaggia, che vende bibite gelate. Sicuramente il disperso nel deserto che ora ha ritrovato la corretta via è disposto a pagare una bottiglia d’acqua fresca un prezzo molto elevato, ammettiamo 50 dollari. Il negoziante gli chiede solo 1 dollaro; il surplus è pari a 50 – 1 = 49.

Chiarito anche concettualmente cosa rappresenta il surplus, l’economia contemporanea accetta il “made in China” perché capace di contrarre il prezzo dei beni (e anche la qualità) permettendo di spendere in più articoli (senza considerare i figli disoccupati privi di lavoro per assenza di fabbriche che producano quanto ci serve).

Una visione così limitata, che si chiude nel solo prezzo ignorando gli aspetti di sociologia più semplici (come il disagio da disoccupazione) non merita la nostra attenzione per cui vanno riscritti i testi d’economia, licenziati gli attuali docenti e rinnovata la dottrina che non a caso ha già assegnato ben 4 premi Nobel all’economia a psicologi comportamentali anziché il classico insegnante d’economia pieno di formule matematiche del tutto insignificanti per spiegare la realtà.

Qui si sta scrivendo la Nuova economia.