Quando il fallimento te lo sei cucito sulla pelle: l’imprenditore immaturo. Casi aziendali vissuti

Quando il fallimento te lo sei cucito sulla pelle. Corso di marketing di Giovanni Carlini – sociologo e uomo di marketing

Quando il fallimento te lo sei cucito sulla pelle è una frase che emerge dai miei corsi di marketing. Si riferisce a più vicende che ho vissuto come osservatore.

Il riferimento è per iniziare a un’impresa di 25 persone che commercializza alluminio nel nord d’Italia. Subendo un calo di fatturato del 17,6% ha abbandonato il suo fornitore-produttore perché gravemente carente sul prodotto. Successivamente l’imprenditore si è lanciato in un consorzio tra distributori per una nuova serie di serramenti “made in italy” a prezzo competitivo.

Confesso d’aver fortemente influito in questo processo di ri-posizionamento sul prodotto. Non solo ho anche agito, su mandato della proprietà per allontanare l’unico manager.

Per evitare il fallimento il primo passo è stato risparmiare 150mila euro di compenso al manager allontanato. In realtà (come sempre) eliminati i “grandi temi”, spuntano quelli che apparentemente sono minori ma con peso determinante.

In questo caso (ogni volta è sempre una storia diversa) si chiarisce un trio a direzione dell’azienda. Un imprenditore che in seguito a gravissime vicissitudini personali, in pratica non dirige più nulla. Un figlio eternamente impegnato all’estero e infine un’amministrativa lì invecchiata da 22 anni. Di fatto è questa Signora che ha in mano l’impresa.

Fin qui, francamente non c’è nulla di male. La fiducia nella Singora dell’amministazione è ben riposta. I guai vengono dopo.

A parte errori “scusabili” in scelte sbagliate, emerge uno sbaglio dell’amministrativa. L’aver sottoscritto un prodotto derivato che ha generato un danno da 300mila alla società. L’affare, in realtà è stato per la banca. Emergono però altri aspetti. Ecco che si può dire: quando il fallimento te lo sei cucito sulla pelle.

Lasciata sola nella gestione e dovendosi “arrangiare” l’ammistrativa ha fatto del suo meglio. Priva di formazione e assistenza esterna, l’impiegata si è rivolta a 6 banche chiedendo finanziamenti per le spese ordinarie. Questa politica ha prodotto un impegno annuo di 486mila euro tra oneri e rate di rimborso per mutui/prestiti al sistema bancario.

A questo punto le banche hanno veramente sguazzato su quest’azienda! Si potrebbe pensare a mala fede da parte dell’amministrativa a favore delle banche. Non è così ma il sospetto c’è.

A conti fatti su un fatturato di soli 8 milioni gravano quasi 500mila euro verso le banche e 150mila di paga all’unico manager. Quindi una perdita di 300mila euro per un derivato sbagliato. Osservando l’impresa nel biennio si registra un calo di fatturato a quota 6,8 milioni. I marigni restano costanti al 30% con costi aziendali al 37% sul fatturato. Gli spazi di manovra per proseguire la gestione si fanno veramente critici.

Come tutti i problemi hanno una soluzione, anche qui c’è qualcosa da fare. Basta ri-finanziare. Aprire il portafoglio e metterci dentro quei soldi, che negli anni precedenti, la stessa proprietà ha prelevato, eccedendo nella vita privata.

Si scopre però che pur vendendo l’unica casa di proprietà dell’imprenditore, eliminandone il mutuo che grava sopra, al massimo possono entrare in azienda non più di 500mila euro. Questo non è sufficiente per un passivo di 2,2 milioni pur azzerando la posizione bancaria per 486mila euro annui.

Allargando il panorama ipotetico, grazie al rientro di capitali che tale non pare sia avvenuto, potrebbe essere possibile trovare un finanziatore. Anche questa soluzione non è gradita “al trio” (il titolare, il figlio e l’amministrativa) perché riduce il loro ruolo e prestigio.

Il meccanismo di blocco opera in questo modo: all’introduzione di una nuova argomentazione, che potrebbe andare bene a uno del trio, l’altro ci deve pensare e infine il terzo ferma tutto. Ovviamente la procedura di blocco non ha ruoli fissi, ma gode di perfetta alternanza.

Quando il fallimento te lo sei cucito sulla pelle: l’imprenditore immaturo!

Qual è la morale che emerge da questa esperienza, che preclude un probabile fallimento?

Tanto per cominciare va salvaguardato l’istituto della fiducia. Avere fiducia nelle persone a patto però che, nel corso del tempo (in questo caso di parla di ben 22 anni!) accettino di rivedere in forma critica il proprio lavoro. Trincerarsi nel “si è fatto sempre così” è la peggior cosa. E’ anche vero che da un’amministrativa invecchiata in azienda e lasciata sola si possa chidere poco!

Quindi ben vengano persone che “invecchiano” in azienda a patto che si sappiano rigenerare anno per anno. Nel caso specifico c’è anche un’aggravante psicologica di paranoia e disturbi del comportamento che influiscono sulle operazioni di recupero crediti.

Un’altra lezione è che “il Capo” deve essere sempre definito. Laddove la Proprietà non possa assolvere questo compito, lasci pure che altri lo svolgano senza “stop and go”.

Altro passaggio critico è smettere di pensare all’impresa familiare come a un regno a se stante. Solo l’azienda che sa riunire in sé l’energia di molti, può degnamente affrontare un lungo inverno freddo quale si prospetta in era globalizzata.