Il disoccupato rappresenta un personaggio che sta soffrendo una delle peggiori pene nell’ambito del mondo civile senza condanna. In pratica è una vittima. Detto ciò quando si è a contatto con il disoccupato per aiutarlo ad uscire da questa situazione, si riscontrano diversi problemi che sono:

  • un’acidità di fondo nel comportamento. Si tratta indubbiamente di una rabbia giustificata, ma che non depone a favore di chi desidera re-inserirsi nella società e quindi anche nel contesto lavorativo;
  • oltre ai problemi di relazione sociale (assenza di un sorriso largo e convinto, quindi d’aperta e fattiva disponibilità al confronto e al nuovo) c’è un altro problema che è considerato GRAVISSIMO. Solitamente il disoccupato percepisce, ad esempio la busta paga come una garanzia di diritti, un qualcosa che gli è dovuto, gli spetta e resta a suo esclusivo vantaggio. Ovviamente non è vero, ma si tratta di con concetto difficile da far percepire.

La busta paga è un contratto tra le parti, ovvero un accordo. Tale contratto presuppone (ed è qui il punto debole del disoccupato come del lavoratore medio) un connubio di diritti e doveri.

Solitamente il lavoratore dimentica apertamente l’intera parte dei doveri e in questo è gravemente complice il sindacato che alimenta questa dimenticanza.

Nel momento in cui il disoccupato (di fatto abbandonato anche dal sindacato) va recuperato e rilanciato nel mondo del lavoro, tutti i nodi vengono al pettine compresa la visione unilaterale già accennata.

Cosa fare per un fattivo modello comportamentale atto a superare la crisi che si sta vivendo?

  • sprizzare ottimismo e voglia di fare come mai nel passato (anche se nel cuore alberga un dolore e una sofferenza-umiliazione di grande dimensione);
  • aprire la mente per studiare, studiare, quindi studiare e riprendere a studiare (il disoccupato si lamenta ma non legge, non studia, non analizza i TG e s’estranea dal mondo ancor di più rispetto al passato).

Buona fortuna – il prof