QUESTA VERSIONE DEL TESTO E’ STATA APPOSITAMENTE MODIFICATA PER CONSENTIRE UNA MIGLIORE LETTURA ALLA COMUNITA’ DEL PARKINSON

Appunti di studio sociologico sul il prigioniero da Parkinson: l’ira come perdita di controllo

prigioniero da parkinson

Oggi sono stati studiati gli assetti comportamentali di 8 prigionieri da Parkinson notando in ben 2 casi, dei fortissimi scontri o scariche nervose avvenute sia tra loro che verso e contro lo studioso. Questo nervosismo da intolleranza e frattura sociale è particolarmente interessante da studiare anche per le sue conseguenze in termini di rottura delle relazioni che genera.

Descrivendo i fatti.

Un Signore, autorevole e rispettabile, importante (o presunto tale) nella sua comunità, chiede un contatto con il sociologo interrogandolo sulle sue competenze. E’ curioso questo aspetto nel il prigioniero da Parkinson. Più che le idee e concetti, nel mondo del Parkinson, ci si preoccupa dei titoli acquisiti, indifferentemente dalla bontà o meno delle argomentazioni. Già questa diffidenza di fondo esprime una fragilità strutturale in molte persone nella condizione de il prigioniero da Parkinson. Comunque, al di là della diffidenza avvengono i seguenti fatti:

PRIMO CASO DI STUDIO SUL NERVOSISMO CONFLITTUALE IN AMBITO DEL il prigioniero da Parkinson 

Il signore afferma: mi dispiace professore per le difficoltà che ha incontrato nell’illustrare le Sue idee nel sito zx

Il sociologo risponde: sono stato invitato nel contesto zx e ho trovato delle persone particolarmente conflittuali che hanno voluto lo scontro anche in termini offensivi. Ne consegue che i miei studi non li pubblicherò più nel sito zx, ma solo nel mio finché non verrà fatta pulizia in casa vostra isolando i facinorosi.

Il signore afferma: lei mi sta offendendo professore

Il sociologo risponde: ??? ne è certo. Se dovesse essere accaduto me ne dispiace e mi scuso, ma dove e come l’avrei offesa?

Il signore risponde: Lei professore si lavi prima e solo dopo dica che dobbiamo fare pulizia tra noi, come si permette d’affermare questo a un malato di Parkinson?

Il sociologo risponde: stia attento Signore, non permetta alla malattia di chiuderLe la mente in una ira e nervosismo diffuso, senza capire cosa stia facendo.

SECONDO CASO DI STUDIO SUL NERVOSISMO CONFLITTUALE IN AMBITO DEL il prigioniero da Parkinson

2 amici di vecchia data, entrambi nella condizione del il prigioniero da Parkinsons litigano in forma verbale e selvaggia spezzando la loro amicizia decennale. Accade anche questo nella vita, ma è interessante studiarne la modalità. Uno rinfaccia all’altro di non essere un vero malato di Parkinson, come se l’esserlo significhi far parte di un gruppo a se stante e ben preciso. In pratica le parole sono:

Tizio A: tu sei un infiltrato tra di noi, anche se sono passati 10 anni che ti curi come noi, non hai i nostri stessi sintomi e non rispetti i nostri limiti.

Tizio B risponde: tanto tutto quello che potevi darmi l’ho già avuto da te.

La storia si dipana tra B che, affannato tra troppi impegni da coordinare, chiede l’assistenza di A, incurante dei suoi tempi e limiti. Tutto qui

ANALISI DEL COMPORTAMENTO IN AMBITO DEL il prigioniero da Parkinson

Si assite alla formazione di un clan tra persone affette dal medesimo morbo, altamente conflittuale e soggetto a ira verso chiunque altro, reo d’essere sano. Il gruppo si compatta in questo modo rendendosi impermeabile. La critica rivolta da uno esterno al gruppo, pur indicando palesi comportamenti d’inciviltà e maleducazione commessi da malati del tipo il prigioniero da Parkinson,  sono comunque considerati un attacco da respingere acriticamente.

L’affermazione “tu non sei uno di noi” spiega una mentalità da ghetto, tendente a chiudersi per esaltarsi nella malattia, ritrovando in questo modo un senso e immagine sociale.

parkinson

CONCLUSIONE DELLO STUDIO

Appare con maggior insistenza, esaminando diversi eventi connessi al il prigioniero da Parkinsons  come l’ira e il nervosismo conflittuale, costituiscono una delle manifestazioni più visibili della malattia, da combattere con le terapie mediche e sociologiche attualmente in uso. Certamente questo aspetto emerge come strategico nell’introduzione di qualsiasi cura al morbo. Concludendo vanno considerati i seguenti aspetti:

– per tutelare la fragilità caratteriale del il prigioniero da Parkinson va prima di tutto chiarito il contesto istituzionale da cui provengono le idee, in quanto il malato è generalmente incapace di seguire i concetti proposti se non sostenuti dai titoli (peccato che le migliori intuizioni spesso non provengano dagli addetti ai lavori)

– va considerata l’incapacità a un comportamento stabile, che espone a crisi di rabbia non spiegabile; (appunto frutto della malattia)

– alla crisi di rabbia non segue un processo di autocritica, indicando così una peggiore componente di presunzione, riscontrabile comunque nella società nel suo complesso e in questo ambito notevolmente peggiorata. Si intrecciano così 2 processi: quello oggettivamente danneggiato a un livello istrionico ghettizzante per colpevolizzare i “sani” ritrovando la compattezza del gruppo (vedi studi di Kurt Lewis sulla logica perversa del gruppo) in un ambiente sociale, ed ecco la seconda componente, dove generalmente più che gestire la patologia, se ne coglie l’aspetto afflittivo e consolatorio del gruppo.  Il quadro si complica.

Queste considerazioni rappresentano la base per una teoria sociologica del Parkinson. Relativamente all’isteria che compare solo in alcuni casi, sono eventi minori e limitati seppure presenti. Quantificare questa minoranza è difficile, comunque si contano solo 3 soggetti su un centinaio che inibisco gli altri alla reazione e risposta. Aspetto interessante e da approfondire. E’ singolare osservare 3 persone in disordine comportamentale, capaci d’inibire la reazione del gruppo. In realtà siamo in presenza dello stesso morbo con manifestazioni apparentemente opposte: il gradasso e il timido, uniti nella disperazione di una vita a tempo chiuso e in fondo già trascorsa. E’ lo scippo e la disperazione di una vita che si sta vivendo che è già trascorsa, che rende così disperato il comportamento del il prigioniero da Parkinson.

Urge una completa terapia sociologica che comunque sta muovendo i primi passi, (da ottobre 2014) per riprendere brandelli di vita trascorsa per chi ancora non li ha vissuti. Una vita già passata che si sta vivendo, ecco il dramma umano del Parkinson e il bisogno d’intervenite per cercare una qualità di vita ancora non stabilizzata. Quanta sofferenza, nelle rispettive famiglie, coppie e amori, questi comportamenti hanno determinato? quante coppie sono in crisi a causa di comportamenti non più controllabili? La perdita degli affetti è la peggiore delle maledizioni che possa capitare a un malato in stato di bisogno come il prigioniero da Parkinson.