Solo un cambiamento formale per competere è quello che chiedono (spesso) le PMI padronali.

Cambiamento formale per restare sul mercato! Un’impresa del nord est da 120 dipendenti mi chiama per affrontare un problema di svecchiamento e rilancio dell’azienda.

Tra le tante cose che emergono, c’è anche (ovviamente) un costo del personale che incide sul fatturato al doppio di quanto dovrebbe essere, il che impone sia un rilancio commerciale che una revisione della produttività nelle maestranze.

In ambito di marketing parte immediatamente un corso da full immersion, dove si coniugano i grandi concetti della teoria alla dura pratica. Fin qui, stanziando un blocco di 120 ore, incluso il piano di marketing costruito insieme, non è un gran problema lavorarci .

Passando contemporaneamente all’area del personale si nota la totale assenza di una connessa politica, limitandosi ad assegnare all’impiegata amministrativa anche l’onere di svolgere le funzioni da “ufficio del personale”, dove per altro non esiste neppure un organigramma e mansionario.

Al contempo la proprietà familiare dell’impresa lamenta assenteismo praticato da almeno 10 operai, il che significa un tasso del 10% a cui si aggiungano quei normali eventi umani collegati alle gravidanze etc..Per capire come vivono le maestranze predispongo un questionario che, approvato dalla proprietà, viene consegnato ai dipendenti i quali al 70% in 24 ore rispondono.

Emerge una realtà che, come al solito, è fatta di agnostici, (5%) incazzati sociali (15%) gente eternamente scontenta, (21%) attivi-vivaci disponibili a essere coinvolti se ci fosse un’idea o un programma adeguato (il 37%) partecipativi e creativi di proprio (22%)

Non solo, ma l’intero sabato e domenica resto in ufficio, in azienda, in attesa d’eventuali colloqui privati e in effetti si presentano 27 operai con lamentele e richieste d’aiuto non limitatamente economiche, ma per l’organizzazione stessa del lavoro.

Senza entrare nel merito delle risposte al questionario, le quali in linea di massima segnalano una proprietà distante e arrogante, quando ne discuto con i titolari mi dicono: ….i nostri dipendenti sono persone che vivono bene nel loro angolo, non vogliono novità o eventi che scombinino il naturale tran-tran quotidiano. Farli parlare o eccitare con novità di questo tipo, induce in loro confusione, disagio e smarrimento. L’idea di riceverli, addirittura in un fine settimane intero, li porta a parlare e sparlare, ovvero lei consegna loro un metodo che non sanno gestire. Se noi qui alla direzione ci impegniamo a migliorare ogni cosa, non possiamo coinvolgerli in un processo di revisione delle loro attribuzioni, perché li faremo sentire smarriti”.

A questo ragionamento ho ovviamente annuito (tecnica di relazione) spiegando che se non cambiamo noi, sicuramente è il mondo esterno, che ci impone di chiudere delle realtà non più adeguate, perché “ammalate da costi non sostenibili”. In pratica è il mondo che è cambiato e con esso i mercati; se non ci adeguiamo con sagacia e intelligenza sarebbe saggio scegliere un altro mestiere. Mi sono trovato, quindi, tra 2 fuochi (succede spesso) confrontandomi con una proprietà che in perfetto stile tratto dal romanzo “Il Gattopardo”, vuole che tutto cambi intorno a sé, ma non per loro e delle maestranze che ancora mi rispondono: ….non ti compilo il questionario anonimo perché così il padrone non sa quello che penso e comunque non cambierà mai nulla.

Finchè i padroni non evolvono in manager e le maestranze non imparano a chiedersi come mai un operaio rumeno è felice con 500 euro al mese, mentre noi scontenti con 1.100 non si riescirà a “quadrare il cerchio”. Certo diranno tutti: con un costo della vita “all’ italiana maniera” 1.100 euro sono da fame, laddove in Romania forse 500 daranno agiatezza. Qui si apre un discorso “enorme” sugli eccessi di ricarico nei vari passaggi. Ho clienti che ricaricano il 160% e si lamentano! Altri che a fatica vivono con il 15%. Quindi comprendo e condivido l’angoscia di chi vive a 1.100 euro al mese con una famiglia da gestire, ma non approvo la tristezza da rassegnazione.

Per non divagare, concludo sul cambiamento formale come richiesta di sostanza. 

Che futuro potrebbe avere un’impresa importante e innovativa nel prodotto che è rimasta a trent’anni fa sul piano organizzativo e di valorizzazione del fattore umano? Nel frattempo chiudendo la valigia, un altro cliente mi chiama perché ha molta determinazione e fretta di sfondare nella green economy, recuperando l’acciaio dai pneumatici consumati. Forse in quest’altra avventura riesco a dare il meglio per audacia e determinazione nel fare presto e bene. Auguriamoci buona fortuna e facciamo i migliori auguri a 120 dipendenti che non diventino disoccupati.