Terzo settore e ONG rappresentano la moda di questi ultimi anni in era globalizzata. Aiutare il prossimo rappresenta un atto di nobiltà dell’uomo e della società senza però ripiegarsi su se stessa. Mi spiego.

Il vero aiuto che si offre a chi è in difficoltà, consiste in un lavoro o una casa o qualcosa che risollevi dal bisogno. Questo ovviamente se la persona è in grado di reagire alle avversità della vita.

Si comprende come L’AIUTO non sia solo e soltanto fornire servizi gratuiti (come avviene verso gli immigrati in questo momento in Italia).

L’AIUTO E’ POSSIBILE IN UN CONTESTO DI PRODUZIONE DI RICCHEZZA. Detto in altri termini solo con la crescita del PIL (ricchezza nazionale) è possibile aiutare le persone.

Il Terzo settore non produce nulla. Le ONG sono piatte nei termini della produzione di ricchezza. Entrambi “aiutano” in un fine a se stessi senza accumulo o produzione di valore economico e sociale.

L’estensione e spessore del cosiddetto Terzo settore come delle stesse ONG rappresentano terreno perduto, in ambito economico. Si determina così un’occupazione di forze e spazi non produttivi tali da danneggiare la crescita del PIL.

Ecco uno dei motivi della bassa produttività delle società occidentali rispetto agli anni Settanta, Ottanta e Novanta del 900.

L’era globalizzata, ovvero dal 2000 ad oggi, ha portato in Occidente ad un ridimensionamento del PIL con conseguente impoverimento della società. Infatti come reazione a questa variazione dal senso storico occidentale di sviluppo, emerge la Brexit, l’amministrazione Trump e la posizione italiana euroscettica.

Concludendo, l’aver concesso spazio in economia al settore non produttivo, si è rivelato un boomerang per le sinistre europee ed americane così sbilanciate verso il Terzo settore e le ONG.

La previsione è semplice. Con l’affondamento del capitano della Sea Watch e la bocciatura sia del sindaco di Roma sia di Torino, termina un’era del superficiale che si è mischiata con la globalizzazione. Oggi siamo già in un’epoca di post globalizzazione. Un mondo d’accordi bilaterali anziché collettivi.