Moda italiana come industria e l‘impatto della BRI sulle relazioni commerciali. Capitolo 3 della tesi di laurea.

Moda italiana come prodotto nazionale. La sensibilità italiana verso questo tipo d’industria è nota e grande.

Come per i francesi e gli americani l‘industria degli armamenti non si fa scrupolo della forma di governo a cui vendere, purchè non siano schierati nel campo avverso, altrettanto è per la moda in Italia.

Che la Cina rispetti o no i diritti civili e sia una nazione democratica passa letteralmente „fuori campo“ per gli operatori del settore moda a partità dell‘industria della meccanica, chimica, italiani, francesi e tedeschi.

Su questi aspetti di non civilità del settore produttivo ci sarebbero delle ampie riflessioni da fare. Addirittura anche le lezioni di micro e macroeconomia all‘università, sono incapaci d‘includere gli aspetti socio-politici nei loro approfondimenti.

Noto è il caso dei dazi, comunemente disprezzati dalla dottrina economica e fortemente voluti dalla politica, quella che non può tollerare di perdere voti a causa di un eccesso di disoccupazione e povertà in Patria.

Quando la dottrina economica è incapace di spiegare gli eventi della vita e della storia, si riduce ad essere „cultura incompleta“.

Considerazioni di questo tipo possono apparire a un lettore superficiale e forzatamente orientato politicamente, come inconsistenti e fuori moda; potrebbe anche essere.

Di fatto l‘11 settembre 2019, quindi una data vissuta molto recentemente rispetto a quando questi ragionamenti saranno letti e valutati come tesi di laurea, negli Stati Uniti è accaduto qualcosa di singolare e interessante.

Tutta la stampa e i diversi rappresentanti delle più televisioni hanno celebrato in data 11 settembre gli eventi di 18 anni prima, nel 2001, allorchè gli islamici attaccarono Manhattan a New York abbattendo entrambe le Torri Gemelle provocando oltre 3mila morti.

In senso e volutamente contrario, la testata Wall Stree Journal non ha voluto celebrare l‘evento e tanto meno commentarlo.

La massa di protesta e d‘indignazione ha letteralmente travolto la testata che è dovuta ricorrere al riparo il giorno dopo, il 12 settembre, titolando a tutta pagina le celebrazioni ormai avvenute.

Perchè la redazione di un giornale così importante ha commesso un errore così grande?

L‘insegnamento che si può trarre dagli eventi dell‘11 settembre 2019 a danno del Wall Street Journal, in termini di credibilità e adeguatezza della testata nel narrare e spiegare il mondo, si applicano alla superficialità dell‘insegnamento dell‘economia nelle università.

Non solo, il pezzo forte arriva adesso.

C’è un ridotto spessore di cultura e sensibilità nel mondo degli affari e dell‘industria nel cercare accordi con chiunque, indipendentemente dalle sue credenziali di durata nel tempo, rispetto dei diritti umani e di partecipazione al mondo globalizzato e capitalista.

Con questo senso d‘incompletezza e di vago come superfluo, ci si accinge ad analizzare il comportamento del settore moda italiano nei confronti del mercato cinese.

Mentre in Italia è Milano che vanta il primato della passerella di moda più audace, la corrispondente cinese è la città di Shanghai.

Si prega esaminare l‘immagine numero 8 per meglio focalizzare la localizzazione geografica della città di Shanghai nel territorio cinese. (come ormai noto le mappe sono pubblicate nella versione a carta della tesi)

Milano e Shanghai al momento sono in contatto da 40 anni nell‘interscambio di merci.

Tale coordinamento si rinnova nei diversi eventi fieristici organizzati di volta in volta nei rispettivi Paesi. Così avviene a Milano a settembre di ogni anno per la settimana della moda italiana, evento chiamato in un abuso di lingua straniera, Fashion Week.

Anche i cinesi hanno qualcosa d‘analogo, ma non limitato alla sola moda, bensì all‘intero settore di ricezione turistica dove anche la moda ha il suo spazio. Questo evento è chiamato a Shanghai, Forum d‘investimento e affari, detto anche Investment & Business in Shanghai.

In Shanghai il distretto della moda, a confronto con la Via Montenapoleone milanese si chiama Jing‘An, capace di tenere insieme addirittura 1 milione di persone. Come ordine di grandezza, Milano ha come residenti 1,5 milioni che diventano 3 durante il giorno con l‘afflusso dei pendolari.

Il distretto di Jing‘An, ospitando 6.000 aziende straniere, rappresenta il 50% del fatturato dell‘intero cluster con imprese occidentali e indiane dall‘India, che hanno deciso di presidiare il mercato sinico.

Il distretto/cluster s’estende su un‘area di 37 kmq rappresentando forse il più importante centro d‘affari cinese. Non a caso questo distretto è anche detto la Manhattan d‘Oriente.

Sul breve periodo la cooperazione tra industria della moda italiana e quella cinese, avrà come palcoscenico oltre al Forum Investment & Busines in Shanghai anche l‘expo cinese, China International Import Expo e il Salone del Mobile italiano concentrato sul distretto cinese Jing‘An.

La nuova via della Seta (BRI) dovrebbe incrementare rapporti bilaterali già aperti.

La misura di tale incremento e le conseguenti pressioni politiche (rischi derivanti dal diverso assetto politico tra una nazione dittatoriale e le altre che sono democratiche) che ne conseguono, sono aspetti non quantificabili al momento, ma immaginabili.