La crisi a novembre 2011

La crisi di novembre 2011 scatena gli animi degli italiani; 32 email scritte nel solo 1° novembre per chiedermi cosa stia accadendo, sono troppe per non intervenire subito con una riflessione, quando pare che tutto ci stia crollando addosso.

Le borse europee affondano e la nostra ancora di più, così la differenza tassi tra i titoli pubblici italiani e quelli tedeschi (considerati a torto più sicuri)

E’ vero, quanto sta accadendo appare come una frana che travolge tutti noi, ma non ci credo e spiego il perché.

Partiamo dalla richiesta di referendum del governo greco sull’applicabilità delle norme di austerity volute dalla UE. Qualsiasi esito abbiano, che l’Europa sia con o senza la Grecia, francamente non credo cambi molto. Ciò che invece modifica radicalmente il contesto, sono gli effetti di un possibile “no” greco alla UE per le banche tedesche e quelle francesi, che rappresentano il reale epicentro dell’attuale crisi perché molto esposte verso i titoli ellenici. In pratica la vicenda si sta sviluppando in questo modo:

– Francia e Germania stanno guardando alle prossime rispettive elezioni politiche, dove entrambi gli attuali leader non saranno rieletti e da qui nasce una profonda turbolenza in Europa;

– oltre alla guerra all’Italia da parte francese per strapparci la Libia cercando così nuovi argomenti elettorali, in realtà, chi sta veramente rischiando di veder fallire le proprie banche sono appunto i francesi e i tedeschi;

– per distogliere l’attenzione su di loro è stata fatta una grande pressione sull’Italia, esagerandone temi e i contenuti;

– non che il nostro Paese sia esente da critiche, ma l’Italia non è l’Argentina del 2001 anche se per difesa di diritti acquisiti e acredine sindacale, assomiglia alla Grecia di oggi (un precedente articolo che scrissi un anno fa aveva per titolo: l’Italia non è la Grecia ma quasi)

– ne consegue che l’Italia è vittima di una forzata esagerazione a tutti i livelli, indotta sia dai reali protagonisti della crisi (francesi e tedeschi) che da una perversa dinamica politica interna, principalmente autolesionista, incurante dell’interesse nazionale;

– fin qui una lettura immediata dei fatti. A ben guardare però e studiando l’intero quadro sociale quanto economico, s’identifica nell’attuale recrudescenza della crisi un crollo di un modo di fare e di vivere. La Nazione (non solo l’Italia) ha vissuto al di sopra delle sue possibilità e ora deve cominciare a pagare il conto.

– Non ci si arricchisce globalizzandosi ma al contrario producendo. Questa sarebbe la sintesi più immediata della seconda fase della crisi già lanciata nel 2008. Fortunatamente il nostro paese non ha delocalizzato come la Francia, ma resta il gravissimo collegamento tra: delocalizzazione-disoccupazione nazionale-povertà.

Si torna a questo punto su un argomento classico: la crisi siamo noi, ovvero è insita nel nostro modo d’essere, fare, lavorare, relazionare, pensare. Non ha più importanza di chi sia la colpa. Il fatto è che l’origine di ogni malessere non sia a Roma o nel sud del Paese o nei partiti come nei sindacati.

La crisi di novembre alberga dentro il nostro modo di fare che abbiamo preso (andazzo). Gli studenti studiano poco (hanno una vita privata da vivere pur essendo ragazzi) gli insegnanti spesso non insegnano, sporcando il lavoro della maggioranza che invece tiene alto l’onore del ruolo che lo Stato gli affida, gli imprenditori delocalizzano privando l’Italia di posti di lavoro, i politici litigano, la stampa e la TV non educano, addormentano o al contrario troppo eccitano e noi tutti non pensiamo più, tantomeno studiamo e quindi invecchiamo nella rabbia di un lento decorso, giorno per giorno digrignando i denti, rosi da un qualcosa che a turno soddisfa l’ira di scagliarsi contro qualcosa.

Ecco che ci si pugnala per un sorpasso, per una discussione di condominio introitando il concetto nichilistico (individualismo conflittuale) di conflitto contro tutto e tutti, indipendentemente che l’altro abbia ragione. Quando dico ai miei studenti di studiare per evitare di far parte di quel 29% di loro coetanei oggi senza lavoro, mi rispondono che “non la pensiamo allo stesso modo”.

Concludendo, da questa crisi se ne esce solo se sapremo abbandonare un modo di fare superficiale e conflittuale che ci ha dominato dai tardi anni Settanta ad oggi, per cui ora si deve pagare comunque il conto. Buon lavoro agli speculatori, a coloro che urlano e protestano, che criticano senza proporre, che delocalizzano, che non pagano le tasse (noi tutti) che fanno i furbi, che tradiscono la coppia e i valori, che non studiano e hanno idee “diverse”, che bighellonano la sera fino a tardi fuori casa e si sbronzano di vecchie idee, ascoltando ad alto volume la musica (spesso solo chiasso). Ai violenti perché altro non sanno essere e agli immaturi (coloro che non capiscono le conseguenze sociali di quanto fanno, perché presi dalla fregola di “vivere il momento”) Buon lavoro anche a quelli che brinderanno alla prossima camionetta dei Carabinieri incendiata e a chi fallirà, come imprenditore, per conservare il patrimonio personale, non potendo più “mungere” dall’impresa che ha costituito con sacrificio. In mezzo a tutta questa gente ci sono gli altri, quelli arrabbiati.

Ma la gente normale dov’è?

Buona ricerca di gente normale anche con la crisi di novembre.