La Cina è una dittatura comunista. Cos’altro c’è da dire in termini di compatibilità con la democrazia?

Francamente ogni discorso dovrebbe chiudersi qui auspicando che anche il popolo cinese raggiunga quella maturità istituzionale necessaria per relazionare con il resto del mondo.

Nonostante una chiarezza così lampante e lapidaria, in era globalizzata e solo in quest’epoca del futile e fortuito, si è riusciti a mischiare le carte.

L’obiettivo è stato far accettare una dittatura nel mondo della democrazia.

Perché è accaduta questa forzatura accogliendo degli anti-democratici nel mondo democratico?

La storia della globalizzazione è nota. Il Presidente Nixon, cercando d’uscire dal conflitto vietnamita, inviò in missione segreta il segretario di Stato, Henry Kissinger in Cina nel 1971.

Kissinger chiese, senza tanti preamboli ai dirigenti del partito comunista cinese, se volessero proseguire a crepare di fame (vedi ultima carestia da 25 milioni di morti degli anni Cinquanta) o invertire il corso della storia.

La Cina accolse la proposta americana per capitali e industrializzazione in cambio di un attacco militare al Vietnam del nord alleggerendo la pressione sulle truppe americane in Indocina.

Da quel momento, primi anni Settanta del Novecento, la Cina divenne una colonia produttiva statunitense.

Con l’attacco alle Torri gemelle, a settembre 2001, la Cina divenne un alleato degli Usa anche sul piano dei servizi segreti in funzione anti terrorismo islamico.

L’ingresso del paese asiatico nel WTO per volontà Usa, dando avvio di fatto alla globalizzazione, fu il prezzo da pagare da parte degli americani per l’aiuto cinese nella nuova guerra al terrorismo.

Questa è la storia.

Passando dai concetti all’atto pratico, oggi ci troviamo un paese comunista (e ovviamente dittatoriale) che relaziona tranquillamente nel mondo democratico.

Si tratta di un’anomalia che va corretta.

La Cina finché sarà comunista, va espulsa dal sistema delle relazioni sociali-culturali-politiche ed economiche.

In pratica basta evitare di comprare “made in China” o frequentare locali cinesi o acquistare dai cinesi.

Tutto ciò che è “cinese” avremmo potuto produrlo noi, con mano d’opera nazionale e nostri disoccupati in meno.

Chi ha il coraggio di pensare e applicare questi sani concetti di democrazia?