Incosciente delocalizzare senza considerare le conseguenze in povertà per la Nazione

Incosciente delocalizzare! La crisi ungherese ci ricorda quello che abbiamo già discusso sul mondo arabo, in occasione della “primavera araba” (oggi inverno) e anticipa le considerazioni da fare sulla Cina per il suo prossimo collasso sociale. Il concetto è: non si può delocalizzare senza considerare il rischio paese.
Precauzioni di questo tipo sono talmente ovvie, che sono disattese da tutti.

L’origine delle crisi

Com’è stupefacente osservare lo sviluppo delle diverse crisi nella storia, tutte causate da un aspetto: gli eccessi. Ci si riferisce a un eccesso di speculazione, oppure un’esagerazione da delocalizzazione, quindi troppa globalizzazione etc. Il punto è drammaticamente sempre lo stesso: capire quando l’esagerazione diventa azzardo. Si tratta di capire quando il superamento di una certa linea invisibile divide tra una seria e forse azzardata ma opportuna capacità d’osare, da una completa e incosciente voglia di fare qualcosa forse più per superare un generico stato di noia. In realtà va ricordato come la noia sia una malattia.
Tornando alla base di tutte le crisi economiche degli ultimi 300 anni, la costante è l’eccesso portato a una dimensione fuori controllo perpetrata nel tempo. L’essere umano è fatto così, però la rassegnazione non è una buona soluzione perché si spera nell’evoluzione, ma ecco a cosa serve lo Stato e le Istituzioni. Concetto quest’ultimo non sempre applicato, perché rimasto a traino dell’economia.

Il concetto di rischio

Si definisce “rischio” qualcosa d’imprevisto che potrebbe essere “calcolato” oppure assunto come “imponderabile”, sperando che comunque vada bene. Laddove questo rischio si limiti, per esempio, a una puntata alla roulette o a un gioco, l’eventuale perdita potrebbe essere riassorbita facilmente, quando invece si passa a mettere in discussione valori di base quali la famiglia, l’azienda, il proprio e l’altrui lavoro e lo stesso amore con la stabilità umana che ne deriva, allora bisogna chiedersi se ne vale la pena.

Il rischio paese: rendere possibile incosciente delocalizzare 

Siamo abituati a un certo equilibrio tra lo stile di vita che ci contraddistingue e il livello delle istituzioni dello Stato nel quale viviamo. In Europa e in tutto l’Occidente (che oltre il Vecchio continente comprende Nord America, Australia e Nuova Zelanda) non c’è un apprezzabile scarto tra modelli di vita e apparato statale. Frattura che invece cresce enormemente partendo dai cosiddetti “bric” proseguendo nel mondo arabo, africano e la stessa Russia.
Fuori dall’Occidente solo il Giappone e in una certa misura l’America Latina (ad eccezione dell’Argentina e del Brasile) garantiscono il rispetto delle regole quindi un equilibrio tra stato e stili di vita. Il resto del mondo, non avendo assimilato i concetti base di Voltaire, quindi Rousseau e Montesquieu non ha maturato la coscienza di uno Stato costruito intorno all’uomo e alla sue necessità, ma si trincera dietro la tribù (la Libia ad esempio) il clan o il partito (la Cina)
Si potrebbe anche dire, di queste parole, che esprimono una base di razzismo, però qui non c’è disprezzo verso gli altri, ma semplicemente analisi delle differenze. E’ più importante il singolo o la sua comunità? Non è opportuno entrare nella filosofia perché non ne usciamo più fuori. Una cosa è certa; il mondo è diverso e ha regole diverse quindi diversi livelli di civiltà del diritto.
In Cina ad esempio, sembra che le rogatorie non siano ammesse, il che vuol dire che il ricavato di un furto o truffa non è perseguibile in quell’ordinamento giuridico. Certo non serve andare in Cina per questo, ma un’impresa che abbia ancora la malaugurata idea di delocalizzare (dopo i guasti da disoccupazione provocati in Occidente, la delocalizzazione è un crimine contro la civiltà) deve, sempre di più assumersi il rischio reale di alcuni problemi tra i quali:
– una diversa applicazione del diritto tale da discriminare tra il locale e l’impresa occidentale (accaduto spesso in Ucraina, dove il socio di minoranza ucraino ha avuto buon gioco nella revisione unilaterale del contratto di società con un’azienda occidentale prima della naturale revisione, compromettendo l’investimento già effettuato)
– ipotesi di nazionalizzazione (da considerare nei paesi arabi)
– sempre sull’applicazione del diritto, va ricordato il caso Battisti in Brasile e la conseguente non affidabilità di quell’ordinamento giuridico;
– ipotesi di mancato pagamento o di non conformità (è frequente con la Cina)

Ciò che rende tristi: incosciente delocalizzare! 

L’azzardo della Unicredit sull’Ungheria dovrebbe rappresentare un onere a carico degli azionisti di quella azienda laddove invece, con un Governo non votato dal Paese e troppo sbilanciato sugli interessi bancari, il costo dell’insuccesso andrà suddiviso tra i cittadini. Questo è accaduto negli USA e si è concretizzato in Francia/Germania sia per i subprime, che ora per i titoli del debito pubblico greco da loro posseduti. Il timore è per tutte le imprese italiane che stanno inseguendo la Cina, senza rendersi conto che quel paese è il più esposto a un collasso, i futuri guasti non dovranno essere distribuiti, ancora una volta tra gli italiani, ma accadrà così.