Sono un nazionalista: quanto pesa scrivere queste parole!

Sono un nazionalista. Per scrivere queste righe sono serviti diversi giorni di riflessione e francamente, non le avrei neppure pubblicate. Il motivo di tanta sofferenza è semplice: sono un nazionalista!

Anche se la moda recente e anche la storia del 900 mi hanno squalificato, perché il nazionalismo è stato fonte di grandi guai a tutta l’Europa, continuo a credere nella mia Nazione, nella comunità da cui provengo e negli italiani. Ne consegue che ogni cosa pensi e possa fare, la indirizzo nell’interesse del mio Paese; l’Italia.

Questo mio essere nazionalista non mi porta a desiderare d’invadere il Canton Ticino, però mi irrita quando i cugini francesi ci fanno la guerra per impossessarsi della Libia, che rappresentava fino a febbraio 2011, uno sbocco per le nostre imprese.

Dell’Europa, o meglio dello spazio UE ho un’idea di puro e semplice coordinamento tra nazioni accomunate dal medesimo ceppo culturale, non credendo a tutta la retorica che gli è stata caricata negli ultimi 50 anni. Ecco perché non considero l’euro un valore ma solo un’utilità, che oggi ha cessato il suo ruolo. Che poi ci sia l’ordine perentorio di non dichiarare il fallimento di una buona idea applicata male, ciò rientra nei motivi per cui la crisi è destinata a durare più del dovuto.

In pratica la moneta euro è finita ma non può morire, come del resto anche la UE non è mai stata realmente la casa comune che abbiamo immaginato, ma neppure questo si può dire e bisogna proseguire con la finzione.

Nello spazio UE i contratti di lavoro, ad esempio, sono diversi, quindi l’amministrazione della giustizia, la progressione di carriera e le pensioni, gli stipendi e i governi. Insomma.

Oltre un’area di libero scambio commerciale (al pari del NAFTA in Nord America) la UE non riesce ad andare oltre. Al contrario se (ma di se e di ma la storia è piena) nel 2000 avessimo imposto agli europei di imparare altre 3 lingue oltre la propria (così per gli italiani il francese, inglese e tedesco e per un inglese, il francese-tedesco e l’italiano) come anche costringere ogni laureato a sostenere il 20% degli esami in altri atenei europei, o distribuire gli insegnanti in tutta Europa con il loro linguaggio e stile, come poter servire in amministrazioni statali di diversi paesi con un unico regolamento d’assunzione e quindi brigate miste inquadrate in eserciti diversi ma europei, allora si che potrei sentirmi europeo. In assenza di tutto ciò e con in tasca solo 1 euro resto per cultura, affetti e idee italiano, poco propenso a pensare in francese, agire in tedesco e comportarmi da inglese.

Della serie “facciamo finta che” c’è anche il Governo, attualmente votato e mantenuto in carica da un Parlamento che non vuole rinunciare a 11.700 euro mensili netti, in luogo degli usuali 5.000 riconosciuti in tutta Europa.
Sulla legittimità di un Parlamento così contestato e un Governo neppure votato dalla popolazione ci sarebbe da dire molto, sicuramente la sfiducia andrà imputata a quei partiti che, sostenendolo non hanno avuto il coraggio di presentarsi agli elettori. Entrando nel merito e quindi proseguendo nella finzione, veniamo alla manovra correttiva dei conti, che qui si ritiene errata perché:

a) non colpisce il nodo cruciale della spesa pubblica che è anche dovuto alle pensioni, ma in particolare trova origine dalla tassa che tutti paghiamo alla politica avendo istituito negli anni 70 gli Enti Locali. Se siamo veramente in emergenza di 20 regioni credo ne bastino 3: nord, sud e centro. Quindi anche di 107 provincie, nessuna resterebbe.

Abbiamo ben 8.039 Comuni che potrebbero lavorare meglio con quelle risorse tolte a troppe regioni e provincie. Una riforma di questo tipo, comporterebbe la chiusura dei finanziamenti pubblici e la naturale fine degli enti locali, che hanno distribuito tanti soldi a ben due generazioni di politici, senza offrirci una classe dirigente adeguata alle difficoltà.

b) Sul togliere i soldi agli italiani, in effetti, era una manovra da mettere in bilancio, in quanto a fronte di una grande quantità di persone in crisi, ce ne sono troppe che spendono esageratamente. Come fa la nazione ad essere povera, se c’è il “tutto esaurito”nelle località di villeggiatura? Quindi una contrazione ai consumi era da porre in bilancio.

E’ stato però lasciato completamente scoperto, ancora una volta, l’ossatura del problema: la struttura produttiva del paese. Nel dettaglio si possono dire tante cose, ma in particolare sul problema degli insoluti si sarebbe potuto intervenire. Con un accordo stato-fisco-banca a fronte di un eccezionale inasprimento penale del falso in fattura, le banche avrebbero potuto attingere a un fondo nazionale per limitare il fenomeno degli insoluti. Attenzione che molte imprese stanno fallendo anche per gli insoluti!

c) Su questo aspetto, perché attendere la sentenza di fallimento per considerare non esigibile un credito su cui è stata già pagata l’IVA? Ecco che modificare alcune regole per cui si versa l’IVA a riscossione e il credito viene considerato inesigibile (tranne reintegrarlo in contabilità) dopo un certo numero di giorni dalla seconda scadenza prorogata, espone certamente il fisco a degli abusi, ma forse aiuta le imprese.

d) Consegnando al fisco preventivamente i movimenti bancari degli italiani, è stato invertito nel diritto un concetto: non si è più perseguiti per un reato, ma ora c’è la presunzione di reato, per cui si viene perseguitati in anticipo, salvo poi chiedere “scusa”. E’ chiaro che presentando queste eccezione alla Corte Costituzionale, non è credibile che la noma possa essere confermata indicando come “traballante” l’intera impostazione Governo-norme “salva Italia”;

e) Su un altro aspetto il Governo si conferma misero in termini di grande idee e visuali. Assodato che la delocalizzazione per re-importare beni nella nazione è un furto di benessere alla Nazione, implicando disoccupazione e quindi calo di spesa nei consumi, la tassazione andrebbe differenziata.

Per la precisione dovrebbe essere un 100% in più per chi ha delocalizzato e un 50% in meno per chi è rimasto nel nostro Paese. In questa maniera è anche possibile battere sul prezzo le importazioni fraudolente, commesse da chi vuole solo lucrare sul differenziale di prezzo nel costo del lavoro.

f) Non entriamo nel merito sull’opportunità che anche la Chiesa paghi l’ICI: sono un nazionalista

Concludendo, la manovra correttiva è pessima perché non incide sui concetti di fondo, ma ci gira intorno, ed è stata “studiata” da tecnici che non rispondono alla Nazione.

Cosa c’è da attendersi? Per chi è cresciuto con la frase in testa dei genitori: “non ci sono soldi per arrivare a fine mese” e vedendo solo una boccetta di olio extravergine in famiglia riservata al bimbo; cambia poco. Questi ultimi 30 anni molti di noi li hanno vissuti con il sospetto che fosse tutto uno scherzo. Certamente abbiamo goduto, ma sappiamo anche tirarci su le maniche per rincominciare da capo.

La crisi sarà lunga (almeno per i prossimi 3 anni) per un motivo semplice: non si sta curando il male con la giusta medicina. Addirittura il Santo Padre solo oggi, dal 2008 è giunto alla conclusione che la crisi non è economica ma sociale e culturale!

A questo punto cosa fare?

a) la manovra è depressiva sulla Nazione e si aggiunge alla crisi in corso, ma i nostri imprenditori possono, valigetta alla mano, riprendere a viaggiare e interfacciarsi su tutti i mercati possibili, a cominciare da dove eravamo (in Libia) per raggiungere dove andremo (India e America Latina con tutta l’Africa);

b) servono pressioni sul Governo per favorire i crediti all’export, una nuove ICE (prima era un carrozzone di stato) e un appoggio simile a quanto godono i colleghi tedeschi;

c) serve un accordo azienda-dipendenti che recuperi il valore del lavoro e faccia cultura in azienda, attraverso la formazione e una diversa concezione del salario, affinchè sia più elastico e accolga una buona parte in natura (buoni benzina e pasto). Il concetto è che la crisi rappresenta la fine di uno stile di vita che va sostituito con un altro, che stavolta non può nascere dalla moda (mitico fu il film Wall Street) ma direttamente dal lavoro, in un nuovo accordo.

d) Serve anche smettere di raccontarci le favole come quella che l’Italia ha fatto la sua parte e il resto deve realizzarlo l’Europa. Cos’è l’ennesimo modo per rinviare la responsabilità del fallimento?

E’ saggio che siamo noi a riparare casa nostra dagli errori commessi. Sono un nazionalista.

Buon lavoro e viva l’Italia: sono un nazionalista