Economia dello sviluppo, una materia interessante a patto a che sappia esprimere gli elementi del problema in forma completa. E’ capitato d’osservare gli appunti che il docente ha rilasciato ai suoi studenti presso uno degli atenei più importanti di Milano, per accorgersi subito di una terribile dimenticanza: l’aspetto tecnologico.

Il docente afferma che la capacità del pianeta di sostenere lo sviluppo è limitata. Non è vero. Se le disponibilità della Terra sono adeguate o limitate, dipende dal livello tecnologico con cui sono estratte, raffinate ed impiegate!

Al massimo, si potrebbe affermare che con l’attuale sistema d’impiego delle risorse, la disponibilità potrebbe essere pari a tot anni/mesi/giorni.

Sapendo che l’innovazione tecnologica è continua, porre un limite temporale all’utilizzo delle risorse appare del tutto azzardato, forviante e privo di senso. Perché la materia di Economia dello sviluppo trasmette dei pensieri così limitati ai suoi studenti?

Il quesito è importante perché non coglie solo la preparazione del docente, ma il pregiudizio da catastrofismo che grava sull’argomento.

Chi discute d’economia dello sviluppo, a cui aggiunge anche la parola “sostenibile” per attirare studenti, DEV’ESSERE ALLARMISTA E CATASTROFICO. E’ un imperativo. Vietato ragionare o trovare punti d’equilibrio, perché NESSUNO LI VUOLE SENTIRE. E’ di moda annunciare la fine del mondo.

Peccato che questa storiella della fine del mondo, fu già annunciata negli anni Settanta per l’anno Duemila con i medesimi argomento d’oggi dell’economia dello sviluppo. Anche allora si previse la fine della vita sul pianeta e anche in quell’occasione non si seppe (o volle) considerare l’aspetto tecnologico.

Perché i catastrofisti sono così ripetitivi e monotoni rinunciando alla riflessione?

La moda impone dei pensieri ricorrenti (anni fa si chiamavano “tormentoni”) ma l’Università dovrebbe ancora essere il tempio della riflessione, comparazione, analisi e studio. Peccato constatare come spesso questa regola della ricerca sia tradita dagli stessi atenei votati alla moda e al pensiero già confezionato per slogan.