Donne divorziate in crisi, come ritornarne ad essere considerabili in un altro rapporto di lungo periodo?

Donne divorziate e conseguenze. Nei comportamenti osservati nelle donne in fase post separazione, all’atto della ricerca di un nuovo compagno emerge uno stallo.

Donne divorziate alla riscossa o incastrate in un ruolo sofferente? Nei casi studiati nell’ambito della teoria The Prisoner of Parkinson, si sono riscontrati, solo nel genere femminile, delle conseguenze dalla separazione particolarmente acute e paralizzanti nella successiva ricerca di un partner.

Non si crede che questo sia un effetto specifico della malattia o dell’importante uso di farmaci cui un prigioniero da Parkinson è soggetto, però l’attenzione a studiarne le correlazioni è accesa. Di fatto la donna che esce da un rapporto di coppia fallito, assume un atteggiamento simile al reduce da una campagna di guerra, per cui non trova dialogo o voglia di parlarne se non con altri “reduci” dello stesso genere. Si viene a creare in questo modo “un limbo” caratterizzato da sole donne che si rinforza e di conseguenza chiude al resto delle relazioni sociali. Da un rifugio di questo tipo creato artificialmente e comprensibile nelle prime fasi post separazione, emerge però una personalità femminile, solitamente adulta, incapace di relazionare nuovamente con altri uomini, dai quali apprezza l’interesse, ma che non sa gestire in forme propositive. Si conferma in questo modo una donna caratterialmente passiva pur desiderando una nuova relazione.

Il fatto d’essere passiva nella relazione sociale e affettiva, non rappresenta un problema se non quando si scontra con il vero bisogno di riaprire delle relazioni affettive ardentemente richieste; è a questo punto che nasce il dolore che si traduce in sconforto.

Le donne separate si trovano, in maggioranza, in una sorta di attesa per un qualcosa che potrebbe anche non accade, pur lamentandosi della volgarità e sesso sbrigativo dei maschi verso di loro. In pratica, come spesso è stato osservato, le donne “reduci” da una separazione vorrebbero rivivere quell’intensa fase di corteggiamento, che intorno ai 20-25 anni d’età, apprezzarono per giungere al primo matrimonio. Si tratta di una richiesta comprensibile che si scontra però con uomini “stanchi”, desiderosi di concretezza senza romanticismo. In pratica entrano in collisione 2 tipologie comportamentali, una romantica e un’altra brutalmente concreta, come del resto è in tutta la storia della relazione donna-uomo, ma che in seconda ricerca di stabilizzazione, per la donna, appunto in età avanzata e adulta, diventa drammatica per la passività e lo shock affettivo già subito.

Quello che pesa nel mondo adulto femminile, in ricerca di un nuovo amore, è la sofferenza subita dalla separazione assimilato a un tradimento consumato, indipendentemente dalle effettive e comuni responsabilità tra partner. Per il solo fatto di trovarsi sola, la donna si sente tradita e violata da una sorte/marito ingrati, rimanendo comunque acritica sulle sue effettive responsabilità. Si conferma così un processo d’assoluzione che non consente l’elaborazione “del lutto” affettivo subito, confermando la posizione di vittima cui rendere onori e rispetto, passivamente ricevuti. Quest’atteggiamento che si conferma sofferenza pura, impedisce alle donne “reduci” quella vivacità di quanto erano ragazze alle prese con gli stessi “maschi” concreti e brutali d’allora, che furono però educati e riportati a un livello di civiltà affettiva per sposarsi. Oggi la donna adulta scioccata dalla separazione resta disarmata, non più capace di proporre o reagire, restando passiva e impaurita, nell’attesa (spesso vana) d’essere nuovamente colta come frutto maturo da uomini “stanchi”. Che disastro sociale!

Questi studi valgono per l’intera società civile, ma quanto ha inciso il Parkinson sulla stanchezza nel reagire alla crisi?