Considerazioni sul mondo arabo alla luce del fallimento della sua “primavera”. Un lettore ha chiesto un’idea in merito agli sviluppi in Nord Africa.

Considerazioni sulla fallita primavera araba. Circa 3 mesi fa, un lettore di SIDERWEB ha scritto nella rubrica “l’angolo di Carlini”, chiedendo un punto di vista sui paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo.
Per poter rispondere è servito del tempo, me ne scuso, ma ho dovuto partecipare in diverse missioni commerciali per cercare di capire il contesto. Quindi ho visitato il Marocco la Tunisia e l’Egitto. Con queste esperienze ho un abbozzo d’idea su quanto era la “primavera araba” solo un anno fa. Per semplicità i diversi aspetti sono espressi in punti:

a) quanto era prima una primavera oggi è “inverno” nel senso che il fattore religioso ha inquinato ogni prospettiva d’evoluzione sociale e civile nei paesi arabi. Ovviamente c’è un motivo storico che non è possibile approfondire in questa sede. Schematicamente non c’è una sufficiente cultura laica in grado di competere o sostituire il senso religioso, che resta così immanente. Va ricordato che la cultura nasce dalla religione che ne rappresenta il primo stadio;

b) se questo è vero, ecco giustificata la maggiore influenza turca sull’intera costa araba del Mediterraneo, che gioca un ruolo confessionale e insieme tecnico offrendo prodotti precedentemente d’origine italiana;

c) si può dire che l’Occidente sia stato messo fuori gioco nelle prospettive future e a breve del Nord Africa specie dopo le ultime elezioni egiziane? No, quest’affermazione è da considerarsi sbagliata. La Francia, che ha fatto la guerra all’Italia per “prendersi la Libia” mantiene la sua influenza, grazie anche a una tradizione di politica estera filo-araba. La Germania in Turchia e in Marocco conserva intatto il suo prestigio. L’Italia, persi i suoi punti di riferimento forti in Tunisia e Libia, con l’incertezza egiziana è sostanzialmente fuori gioco in questo momento;

d) va riconosciuto comunque che la possibilità di non essere pagati, per forniture e servizi offerti in quest’area, cresce progressivamente avendo già oltrepassato, dallo scorso anno la soglia di guardia!

e) All’Italia cosa resta? Una scommessa. Scommettere sulla stabilizzazione dell’Egitto guardando con interesse al Marocco, considerato il contesto socio-politico più sicuro del Nord Africa. Oltre la parte araba dell’Africa, il vivo consiglio che si offre al lettore è quello di distogliere lo sguardo da questo contesto per spingersi verso il Corno d’Africa, valorizzando un complesso di paesi solitamente abbandonati. Il riferimento è all’Etiopia, vecchia colonia italiana, che oggi merita d’essere scoperta. Dalla Somalia invece è meglio restarne lontani per i prossimi anni (purtroppo) mentre il Sudan del Sud è solo per gli avventurieri che possono permettersi il lusso di perdere una scommessa;

f) Considerazioni sul Marocco: ecco quello che ho capito visitandolo in termini aziendali. Si tratta del Paese più stabile dell’intera area. Queste caratteristiche però impongono un’altissima specializzazione e professionalità nell’offerta, perché il nostro lavoro è costantemente posto a confronto con quello dei tedeschi, veri leader del mercato. Qui la concorrenza turca non è preoccupante, nonostante la comune religiosità. Come ho consigliato a più di un’impresa, è possibile presentarsi in Marocco solo se si hanno le idee molto chiare su prodotto-innovazione-qualità-prezzo. Sicuramente qualcuno potrà dire che questo assetto vale su tutti i mercati, ma posso rispondere che non è così in Eritrea e ancor meno in Sudan del Sud. Concludendo se si è capaci di sentirsi leader nell’innovazione e soluzioni, il Marocco è un mercato fertile;

g) Algeria: al contrario del Marocco qui il prezzo è la determinante delle scelte per cui la concorrenza turca è molto forte. Non solo, ma l’Algeria ha un alto livello d’insolvenza, meno d’Egitto e al pari di Tunisia e Libia. Come presentarsi in questo paese? Con prezzi da strapazzo su grandi lotti, oppure dotati di una importante capacità logistica in appoggio a notevoli quantitativi da spezzettare a seconda delle necessità immediate e prossime del cliente.

h) Libia; il caos. Il paese corre il rischio di una spaccatura tra Cirenaica e Tripolitania. Erroneamente si credeva che il problema fosse il leader Gheddafi quando in realtà egli era l’espressione di un clan tra tribù attive e determinate. Per l’industria italiana se veramente la Libia si spezzasse potrebbe rappresentare una fortuna, lasciando agli anglo-francesi l’est. Allo stato attuale è corretto chiedere agli imprenditori di rischiare e tornare in Libia con un approccio “algerino”, ovvero da prezzi di realizzo e supporto logistico in area.

i) Considerazioni sul mondo tunisino: ci sono reali speranze di stabilizzazione del paese con un coinvolgimento italiano ma la presenza, anche qui deve mantenere un basso profilo nello stile “algerino” prima indicato.

j) Egitto: rappresenta la grande incognita dell’area. Le elezioni di fine maggio hanno impresso una svolta conservatrice alle istanze di primavera tanto da immaginare ulteriori spaccature drammatiche nel paese. In tutto il Nord Africa la contesa è tra i giovani che vorrebbero un modo di vivere occidentale e i genitori che non hanno sufficienti capacità laiche d’immaginare la loro vita. La presenza di dazi è veramente assillante (come in tutti i paesi arabi) favorendo di fatto i turchi. Il mix consigliato per l’Egitto è quello algerino-marocchino a patto che entro l’estate effettivamente si possa parlare di evoluzione sociale, politica ed economica egiziana.

k) Considerazioni sul finale: chi sarà la prossima Cina sapendo quanto questo paese sia a rischio di collasso sociale? Anche se con solo 22 milioni di abitanti l’Australia offre prospettive di grande interesse non ancora esplorate.