Commesso trasformato in venditore. Strategie. Studi prof Carlini

Commesso & venditore. Premessa: Questo articolo si rivolge sia alle aziende che operano nel settore del “verde” con una rete di vendita articolata, pur se su pochi agenti, che al garden. Entrambi, come si spiegherà di seguito, hanno una comune necessità nel veder maturare il loro modo di relazionare con la clientela.

Il punto d’incontro tra le due realtà è in una figura specifica che qui andremo a definire “venditore aziendale”.

L’analisi si combinerà alla narrazione. Per quanto concerne il garden, l’obiettivo è di elevare il commesso al ruolo di consulente di vendita per il cliente, in ambito imprese invece, lo sforzo è che possano dare, alla forza vendita, un riferimento concreto in tecniche di relazione con la clientela, organizzazione della merce e quindi, vendita.

E’ vero che il commesso oggi sa rispondere alle diverse domande dei clienti, sulla stagionalità dei prodotti, prezzi ed altro, ma questo non basta più. Quanto il commesso “usa” nel suo mestiere è solo improvvisazione, nei termini di bagaglio di esperienza, ma non di consulenza e quindi proiezione di un bisogno del cliente su quello che sarà a 4 mesi, a 6-8 mesi la sua scelta d’acquisto.

Il commesso di garden, oggi è un uomo pratico, che si è fatto negli anni, non uno specialista di vendita e consulente. Se questa trasformazione non dovesse avvenire ed anche in fretta, come se anche gli agenti commerciali dovessero continuare a muoversi più sulla fortuna e relazioni sociali, che altro, presto il mercato del verde, in Italia, e non solo, verrà letteralmente rimpiazzato da gruppi industriali, nell’arena commerciale, in avvicinamento al Sud Europa.

Tutte le aziende, in particolar modo, quelle italiane, si affidano ad un canale commerciale che vede la figura dell’agente, spesso plurimandatario, ma anche mono, agire sul cliente nel comune interesse di una provvigione dietro vendita di merce. Questo sistema, pur zoppicando, in effetti funziona, ma presta il fianco a troppi problemi di gestione per una forza vendita, che non vuole essere dipendente, ma ne ricerca le sicurezze.

Il Direttore Comm.le non può pretendere di stilare un piano settimanale di visite dei clienti, perché altrimenti scatterebbe “l’assunzione”, laddove l’agente è libero di organizzarsi come meglio crede…etc..etc.. Insomma una polemica, che va a colpire direttamente le potenzialità di un’attività, che potrebbe essere ben più impegnativa se si cambiassero le regole del rapporto.

Come se non bastasse, c’è anche la formazione devoluta al corpo di vendita, che ha i suoi costi e che non tutti gli agenti applicano, oltre al vizio di portarsi dietro i clienti, ottenuti sulla piazza, quando si cambia azienda da rappresentare.

In ambito garden, l’imprenditorialità è seduta e dolorante per un trend di mercato non esaltante, ed il personale di vendita resta un “giardiniere” che tra un invaso e l’altro, scaricando il bancale di terriccio, gira la chiave del muletto ed ascolta le necessità del cliente. Le domande poste dall’utenza non sono mai chiare, ma esprimono prima un desiderio di acquisto e poi di ricerca per un prezzo corrispondente al valore che si intende riconosce a quella scelta.

Un tale stato di cose, non consente modifiche radicali, però degli accorgimenti sono opportuni. Anche perché, sempre più spesso agli agenti e commessi mancano esempi, punti di riferimento a cui agganciarsi per meglio lavorare. In azienda il Direttore comm.le, si riduce ad essere solo cinghia di trasmissione tra le necessità del budget e l’operatività sul campo, senza avvalersi di una funzione di marketing, che da suo pari, operi all’interno dell’azienda. Nel garden, la vendita è istintiva, il marketing nella mente del proprietario, e nessuno si sogna di “progettare” lo sguardo del cliente per pilotarlo su soggetto che sappia gestirlo.

C’è poi anche un altro aspetto; l’agente, rispetto al commesso, non è un tecnico, limitandosi ad “intrattenere” il cliente, stabilendo con lui un rapporto quasi fiduciario negli anni, ma senza mai colpire effettivamente le esigenze tecniche dell’utenza e quindi lascia aperta la porta ad una concorrenza più aggressiva, che sa usare argomentazioni pertinenti sorrette da una politica dei prezzi migliore.

Qui il commesso di garden è in una posizione migliore, ma la sua conoscenza tecnica, raramente è diffusa al cliente se non grazie a domande dirette (rare) dal cliente.

Quanti commessi si avvalgono di una lavagna per indicare le cose che spiegano o un personal computer per far capire ciò che spiegano? Infine, l’agente è sempre troppo preso dalla vendita per offrire consulenza alla clientela ed il commesso troppo preso dai lavori interni al garden. I tempi di gestione del cliente si sono allungati, negli ultimi anni; se quindici anni fa il tempo medio intercorrente tra la prima visita e l’emissione di un ordine era di 15 giorni, oggi siamo su un livello di 30-45 giorni. Il differenziale tra i precedenti 15 e gli odierni 40 è solo giustificato dall’informazione tecnica, che il cliente richiede prima di procedere all’acquisto.

E’ falso, chi ritiene che questo lasso di tempo sia dovuto alla scontistica e connessa politica dei prezzi, che comunque riveste la sua importanza.

In ambito garden è da notare come si emettano più scontrini in periferia che in città, ma quelli urbani sono tendenzialmente più impegnativi come importo, il che significa che servono meno visite per acquisto fuori dai centri urbani che in città.

Spiegandosi

Dislocazione geografica del Garden numero scontrini fiscali emessi valore unitario

In centro urbano ad esempio, in un giorno 50 vendite da 25-30 euro l’uno

In periferia al giorno 200 vendite da 18-25 euro l’uno

Ma c’è anche da rilevare “la fatica” che si fa per vendere. In città per vendere serve che il cliente venga in negozio, in garden, veda la vetrina o giri tra gli scaffali, almeno 1,7 volte. Cioè servono poco meno di 2 visite per una vendita.

In periferia il rapporto è di 1:1; si entra, si vede, non si può non comprare anche per la benzina spesa per raggiungere la località periferica, ma il valore dello scontrino tende al simbolico, come se fosse un ricordo della gita fatta. Questi dati e le connesse tecniche di vendita sono noti agli attuali commessi?

Da queste poche righe si aprirebbe una riflessione tesa a differenziare i prodotti tra periferia e centro città, perché il “significato sociale” che si ritrova a quanto acquistato nei due posti è diverso. Ma sarà oggetto di altro articolo. Tornando all’azienda sicuramente, richiedere al cliente un 50% di acconto, sulla merce alla formulazione dell’ordine, perché altrimenti l’agente chissà quando vede la provvigione è miope.

Un’esperienza interessante, in tal senso proviene dagli Stati Uniti, dove le dottrine di vendita sono soggette a frequenti verifiche ed aggiornamenti. In questa scuola è degno di nota una figura intramontabile; il venditore, colui che vive di vendita da professionista inquadrato nell’azienda, ed ecco dove risiede la differenza con l’agente.

Mi spiego.

Il venditore aziendale vive l’impresa/garden per cui lavora ed è in questa realtà che vende all’interno degli show room appositamente organizzati o nei garden; egli attende e riceve la clientela, che vi si reca per verificare le offerte ed anche spuntare un buon prezzo. Questa figura di venditore ha una retribuzione in termini di un fisso, in linea con la soglia della povertà, l’eventuale ricchezza del venditore professionista deriva solo dal ben accogliere e piazzare la merce, con soddisfazione da parte dell’utenza. Un’utenza soddisfatta non può che tornare a comprare.

L’uso di una metodica simile richiede, da parte dell’azienda/garden un miglioramento della sua politica di immagine, che diviene aggressiva, entrando nella percezione dei bisogni del cliente. Tornando al venditore aziendale, (ormai super commesso o compagno di lavoro dell’agente) questo non è mai giovane; il perfetto venditore è un uomo maturo a cui dare affidamento ed esporre le proprie problematiche per trovare una soluzione più dettata dall’esperienza che altro. Il venditore è posto dall’azienda, nel ruolo di consigliere del cliente a cui far riferimento nella fase di ricerca, acquisto ed uso delle merci acquistate.

Questo tipo di professionista è anche pratico di “esposizione della merce”, quindi dispone delle tecniche di visual merchandising al fine di sviluppare la vendita.

Un ragazzo non è percepito come un consulente; il suo posto è in rinforzo ed aiuto del venditore titolare. Nella mentalità corrente europea, il venditore aziendale è un giovane, che quando si fa “senior” passa alla libera professione, appunto l’agente mono o plurimandatario. La mentalità anglosassone invece, punta molto sull’assistenza ed accompagnamento alla vendita, nei confronti della clientela, utilizzando per questo delle figure carismatiche per esperienza ed quindi età. Recependo questo tipo di sensibilità al mercato, cosa dovrebbero fare la aziende e garden italiani?

Attualmente la vendita avviene per “gravità”,ovvero si aspetta la giornata buona dopo aver seminato in visite ai clienti o il commesso attende che entri il cliente, che guardi e chieda. Questa alea va modificata, portando in primo piano l’azienda con le sue idee e missione, affinché spieghi all’utenza la sua ragione d’essere, invertendo così il flusso di comunicazione che non è più agente/commesso-cliente, ma azienda-mercato-agente/commesso-cliente-azienda.

Invertire vuol dire, aspettare che la rete vendita svolga il suo ruolo, ma l’azienda/garden stessa deve fare “comunicazione”, accogliendo in spazi predisposti, la curiosità dei suoi clienti da provocare per temi, prezzi, occasioni ed altro. Quindi aprire spazi permanenti di esposizione, presentazione e contrattazione dove le domande del cliente vengano spontaneamente poste, ma da noi guidate, al commesso ora venditore aziendale.

Il grafico va letto nei termini di resa in vendite tra le tre tipologie di venditori. L’agente, in blu, segue il suo standard basto su conoscenze, visite, rapporto con il cliente, pianificazione dei contatti, pressioni da parte dell’azienda, prezzi e politiche commerciali.

Il venditore aziendale, in amaranto, al contrario non gira, non bussa o telefona per farsi dare un appuntamento, ma aspetta che sia il cliente a venire da lui.

E’ vero che se un potenziale cliente si sposta per andare in azienda o nei suoi show room è già predisposto all’acquisto, ma il venditore aziendale non è “prezioso” per il solo fatto di vendere (a parità degli agenti che nella stessa posizione e ruolo si farebbero onore) bensì per riuscire a collocare al cliente un “sistema di articoli” in luogo del solo e singolo pezzo.

Anche qui va spiegato il concetto. Vendere significa dare qualcosa a qualcuno, che più o meno lo richiede, e/o va convinto/imbonito, questo qualcuno, su un bisogno che percepiva ed ora, ottenutolo, è soddisfatto. Il salto di qualità che l’azienda ottiene miscelando politiche di marketing e commerciale non è nel vendere, ma collocare un sistema di articoli che dia una risposta ad un modo di porsi sul mercato del cliente.

Con una simile strategia, si dà all’utenza la possibilità di ben figurare nei suo ambiti con la scelta d’acquisto eseguita. Così facendo il venditore aziendale “consegna” delle soluzioni all’utenza e non degli articoli e basta come pensa e provvede a fare l’agente di vendita, roso dalla fretta di collocare ordini su cui vivere. Si tratta di un cambio di riferimento nel tratto commerciale che produce un generico 20% in più di fatturato alle aziende nei diversi segmenti merceologici.

Ecco perché “il sistema americano” è più produttivo rispetto quello europeo ed italiano, schiacciato da un costo del lavoro obiettivamente più alto, ma sicuramente gestito peggio.

La filosofia di vendita da perseguire sia da parte degli agenti/commessi che del venditore aziendale è nota, e si chiama “vinco io-vinci tu”. Si osservi lo schema esposto. La logica risiede nel bisogno di soddisfare il cliente nelle sue necessità. La vendita perfetta, è solo quella per la quale il cliente, ha effettivamente ottenuto un reale vantaggio, capace di elevarne le prestazioni, ottenute dal recente acquisto.

Il venditore aziendale si muove solo entro questi “confini” è da ciò che deriva la “calma professionale” che lo contraddistingue, anziché il nervoso piglio di chi a fine giornata, deve produrre ordini di vendita.

Se si considera il concetto, che la vendita è solo la conclusione di un lungo iter tutto interno all’azienda/garden, non è difficile convenire come sia necessario un programma di vendita, articolato su processo sistematico, sequenziale, ripetibile e semplice, tale da permettere di definire esattamente il proprio posizionamento presso il cliente, in termini di immagine e di risposta ai suoi bisogni.

Anche perché vendere una sola volta ad un cliente o semplicemente “manutenzionarne” il contatto, è troppo caro, per l’azienda/garden in termini di costi vivi. Il solo singolo contatto, o vendita, ad un cliente che poi non ritorna, è sempre una perdita che andrebbe addirittura addebitata anziché concessa come provvigione al venditore/agente/commesso.

Per far questo va modificata non tanto l’azione e tecnica di vendita, ma va interessata la stessa filosofia commerciale aziendale.
Ho assistito alla programmazione di vendita per l’anno successivo eseguita da un responsabile di una media azienda, operante nel campo dei terricci.

Questi, direttore commerciale senza avvalersi di una funzione di marketing paritetica alla sua funzione (mai porre il responsabile marketing alle dirette dipendenze del commerciale, anche se è questa la tendenza degli anni 2000, che ha una gran fretta di vendere, ma non di restare sul mercato ) programma il budget in forma induttiva per cui, se un agente monomandatario ha prodotto 100 nell’anno a volgere, è probabile che se stimolato riuscirà ad ottenere 120 e così via.

Questo ragionamento viene realizzato in totale assenza di una politica di immagine, non solo, ma anche di un catalogo a titolo di presentazione dell’intera produzione, anziché solo fogli sparpagliati. L’errore di fondo di troppe aziende e di garden è quello di lasciare che le fortune commerciali siano affidate solo alla rete di vendita, od al commesso, ad un pizzico di pubblicità ed infine alle condizioni climatiche.

Se tutti questi concetti non vengono messi a fuoco non si riesce a capire come mai, due imprese, ipoteticamente uguali per numero dipendenti, fatturato e tipologia di mercato, quella negli USA produce, in termini di redditività il 18% in più di una italiana nel settore specifico. L’arcano è chiaro, si tratta di utilizzare un sistema di relazione con il mercato anziché, singoli atteggiamenti di vendita, così cari agli italiani ed europei.

La produttività delle società commerciali statunitensi, nel periodo 2000-2003 utilizzanti in massa, criteri di accoglimento della clientela e, contemporaneamente avendo anche una rete di agenti commerciali, integrata dalle vendite via internet e con politiche sia commerciali che di marketing, sorpassa abbondantemente ed impietosamente gli sforzi dei garden ed aziende italiane ed anche europee.

CONCLUSIONI

Il presente saggio, nato solo per illustrare una figura, dedita alla vendita, che in Italia è di fatto scomparsa, il venditore aziendale, ha coinvolto, nella meditazione, sia l’azienda che il garden, nella sua parte dedicata all’interfaccia con il cliente.

Sicuramente il venditore aziendale, qui pensato “appassionato”, che lavora nei binari più sicuri dell’azienda, e la sua connessa controfigura di oggi, in un impiegato di garden seppur potenziato rivisto e corretto, è un profilo da riprendere in considerazione, nel panorama delle strategie commerciali nazionali.

Non va mai dimenticato, che quanto manca al nostro sistema produttivo è un METODO.

Significa usare il marketing-mix, ovvero una combinazione di fattori di marketing capace di comprendere le decisioni relative al prodotto, il prezzo, la pubblicità, la promozione ai canali di distribuzione ed alla rete di vendita.

Utilizzare internet per trovare nuovi clienti, fidelizzarli, promuovere il nome aziendale, i prodotti ed i servizi, quindi distribuire e ampliare il mercato. Immaginare soluzioni univoche di sviluppo è sicuramente complesso, laddove la creatività è indispensabile. Serve un occhio di riguardo ai bisogni dei consumatori e chiedersi se il prodotto di marca ha ancora o no un ruolo sociale.

Esclusa questa funzione, la marca non serve più a nulla e paga solo la capacità di saper ben gestire le differenze tra diversi mercati, facendone tesoro per il futuro; i business di nicchia pagano molto se mirati. Inoltre c’è il problema di una fortissima indifferenza alla pubblicità. Messe tutte insieme queste cose, si torna al venditore aziendale o commesso capace di fare consulenza al cliente.