A febbraio aspettative per il collasso sociale della Cina. Prof Carlini

Aggiornamento a febbraio 2010 di Giovanni Carlini

Fonti:
– Quotazioni Ufficiali London Metal Exchange – indici LME, COMEX e NYMEX.,
– Quotidiano: Il Sole 24Ore e suo sito “Metalli 24 materie prime”
– Associazioni: Assofermet e Camera di Commercio di Milano

CONSIDERAZIONI A CARATTERE GENERALE E PROIEZIONI FUTURE

Prosegue lo show d’import selvaggio cinese
Le importazioni di minerale ferroso nella provincia di Heibei (Nord Est della Cina) sono cresciute del 60,59% nel 2009, sfiorando gli 83 milioni di tonnellate e registrano il valore più alto in termini assoluti da quando esiste un sistema di rilevazione. Alla base di questa continua tendenza, sembrano esserci i prezzi competitivi del materiale d’importazione rispetto a quelli cinesi, oltre all’incremento della produzione siderurgica, che ha spiazzato i piani d’estrazione delle miniere cinesi. Le principali fonti d’import sono l’Australia, il Brasile e l’India, rispettivamente con il 49%, 26% e 12%.
Una tendenza di questo tipo si registra su tutti i comparti. Ad esempio sul carbone.
Secondo le ultime statistiche doganali, nel mese di gennaio la Cina ha importato 16,478 milioni di tonnellate di carbone, segnando un aumento del 450% rispetto al gennaio 2009 e del 6% rispetto al mese di dicembre. Sono aumentate anche le scorte, sempre di carbone, nell’ultimo periodo presso i porti cinesi. Infatti, nel porto di Qinhuangdao (nord est) il valore di stoccaggio è salito da 5,46 a 6,97 milioni di tonnellate. Un andamento simile è stato registrato anche presso il porto di Guangzhou (sud della Cina). Nel frattempo, come dichiarato da Wang Lifeng, CEO del Qinhuangdao Ocean Shipping Coal Transaction Market, i prezzi del carbone continuano a scendere. Con la chiusura di alcuni impianti produttivi e la stagione invernale in via d’esaurimento, le richieste d’energia per riscaldamento stanno calando e il mercato del carbone entra così in una stagione debole.

Anche l’export cinese crolla

Secondo gli ultimi dati ufficiali, nel 2009 i produttori cinesi della provincia di Hebei, hanno esportato 3,68 milioni di tonnellate di prodotti siderurgici, con un calo del 60,57% rispetto al 2008, ricavando 27,37 miliardi di dollari. Le vendite in questione costituiscono il 14,99% delle esportazioni cinesi dello scorso anno.
Nel 2009 le acciaierie di Hebei, hanno prodotto 151 milioni di tonnellate di acciaio, registrando, rispetto l’anno precedente, un -0,05% nel fatturato e un -7,46% nell’utile.

La Cina è solo una colonia produttiva?

Ormai è palese, la Cina quale attore economico è stata “inventata” di sana pianta dall’Occidente per lì delocalizzare quanto da noi sporca e inquina, ma non solo, anche per ottenere beni e prodotti a prezzi più bassi, pagando di meno il costo della mano d’opera.
Se la Cina serve come “colonia produttiva”, oggi ci si rende conto che la sua nuova missione è quella di spingere la produzione-importazione da un Occidente asfittico e privo di spunti. Cosa i cinesi facciano di quanto importano (purtroppo non serve alle necessità del loro mercato interno) poco interessa al mondo; una cosa sola è importante, che questo paese produca e importi. Che poi questo “gioco” di crescita a due cifre, comporti di fatto il collasso della Cina, come oggi la conosciamo, francamente interessa ancora meno. Sarà cinico quanto scritto, ma è decisamente realistico.

Il bisogno d’evitare il collasso in Cina

Secondo quanto dichiarato dal ministro dell’industria cinese Miao Wei, le linee guida ministeriali per la riorganizzazione del settore siderurgico cinese, sono state definite e saranno presto rese pubbliche. Nel documento saranno specificati gli impegni del Governo in questo piano, con particolare riferimento alla promozione delle aggregazioni.
Nel corso del 2009, la produzione d’acciaio in Cina è stata pari a 568 milioni di tonnellate, un valore di oltre 100 milioni superiore rispetto a quanto previsto dai piani governativi. Secondo Miao Wei, solo 300 milioni di tonnellate provengono da acciaierie ufficialmente autorizzate, il che spiega i come e i perché che così tanta produzione cinese sia ai più bassi livelli di qualità possibili, non solo ma che anche quella autorizzata, di fonte governativa, non sia poi così eccelsa, per quanto dei grandi passi in avanti siano stati fatti, negli ultimi 18 mesi.
Un rafforzamento dei rapporti con l’estero potrebbe salvare la Cina
Il produttore cinese Baosteel, starebbe portando avanti studi preliminari, con l’obiettivo di formulare un’offerta o di siglare accordi di stretta partnership, con il produttore spagnolo Acerinox e con il finlandese Outokumpu. Secondo quanto appreso a fine febbraio, il gigante cinese avrebbe stanziato una somma compresa tra i 5 e i 10 miliardi di dollari, per l’operazione, indirizzata verso la sua sprovincializzazione sia delle idee che produzioni in corso.
Da alcuni anni, Baosteel sta facendo grandi sforzi, in tema di ricerca e sviluppo, nel settore inox e conterebbe, con questa operazione, di massimizzarne i risultati.
Tra l’altro sia Acerinox sia Outokumpu hanno già progetti che riguardano la Cina: la prima sta valutando la costruzione di un impianto, mentre la seconda ha già ufficializzato l’apertura di un nuovo centro servizi entro il mese di aprile, quando la presente rubrica sarà pubblicata.
Con questa ulteriore spinta verso l’Occidente, le autorità cinesi cercano d’acquisire quelle tecniche che non riescono a porre in essere per assenza di scuole e formazione adeguata, perché il grande paese asiatico, va ricordato, soffre sempre di una grande povertà sia materiale che politica, come di idee. L’internazionalizzazione è un passaggio strategico, che potrebbe però accelerare il temuto collasso sociale della Cina dovuto a uno scollamento tra la sua economia e la mediocrità-miseria della sua vita sociale.
Il ridimensionamento delle manovre di protezionismo USA contro la Cina
Il Dipartimento statunitense del Commercio (DOC) ha pubblicato a metà febbraio, i dazi antidumping definitivi contro le importazioni di lamiera cut-to-length dalla Cina.
Il DOC ha stabilito un margine di dumping pari a zero per il produttore Hunan Valin Xiangtan Iron & Steel Co., Ltd. Lasciandolo inalterato per gli altri produttori cinesi. Si rammenta che il dazio è operativo in ragione del 128,59% del prezzo originale. Il prodotto in questione viene importato negli USA da Toyota Tsusho America, Inc..
La conseguenza è che se è vero che una nuova interpretazione del protezionismo statunitense verso la Cina è stata lanciata, resta il problema. Il concetto è che va gestito quell’errore di fondo che è stato commesso, delegando al paese asiatico produzioni prima normalmente realizzate a Pittisburgh come in altri e più siti produttivi nordamericani, oggi “spenti”, ma che consentono produzioni più competitive, inserite nel rispetto delle norme sociali quanto ambientali e culturali.
Inizialmente l’indagine, svolta in merito alle consegne effettuate dal primo novembre 2007 al 31 ottobre 2008, riguardava anche Anshan Iron & Steel Group (AISCO Anshan International Sincerely Asia Ltd.), Baoshan (Bao/Baoshan International Trade Corp./Bao Steel Metals Trading Corp., Shanghai Baosteel Group Corporation and Baoshan Iron and Steel Co., Ltd., Shanghai Pudong Steel & Iron Co.) e Baosteel Group, ma successivamente il DOC ha interrotto le procedure amministrative nei confronti di queste tre società pubblicando in data 10 agosto 2009 solamente i margini provvisori relativi a Hunan Valin Xiangtan Iron & Steel Co.
Le procedure erano state intraprese a seguito della denuncia sporta da Nucor Corporation e ArcelorMittal USA, Inc.
I prodotti sui quali si sono concentrate le indagini sono registrati nell’Harmonized Tariff Schedule of the United States (HTSUS) mediante i codici 7208,40,3030, 7208,40,3060, 7208,51,0030, 7208,51,0045, 7208,51,0060, 7208,52,0000, 7208,53,0000, 7208,90,0000, 7210,70,3000, 7210,90,9000, 7211,13,0000, 7211,14,0030, 7211,14,0045, 7211,90,0000, 7212,40,1000, 7212,40,5000 e 7212,50,0000.

Il bisogno di razionalizzare
Il 25 febbraio i due produttori siderurgici giapponesi Nippon Steel Corp. e JFE Holdings Inc hanno annunciato d’aver concluso un accordo, per la reciproca fornitura di semilavorati, nel caso si verifichino improvvisi squilibri di mercato. Secondo quanto riportato dalle agenzie giapponesi si tratta del primo passo di una collaborazione che potrebbe svilupparsi ulteriormente nei prossimi anni. Già lo scorso mese, Nippon Steel aveva fornito bramme a JFE per consentirle di lavorare, nonostante un incendio che aveva bloccato il forno.
Al momento Nippon Steel è al secondo posto tra i produttori siderurgici del mondo, mentre JFE occupa la sesta posizione. Questa necessità relativa al mercato giapponese in realtà riguarda tutto il mondo non escluso il ritiro della russa Sevestral dalla Lucchini e di molti altri passaggi di questo tipo. Il concetto di fondo è sempre lo stesso: se non si razionalizza, si perdono quote di mercato rischiando di mettere in discussione la stessa permanenza dell’impresa.
Ovviamente a sostegno di questa tesi non c’è solo il Giappone o l’Italia, ma anche i contatti tra i coreani e gli ucraini. A fine febbraio il CEO di Metinvest Holdings, produttore leader in Ucraina, ha visitato la sede di POSCO per esaminare gli impianti del principale produttore sud coreano. L’obiettivo era la valutazione di possibili partnership strategiche.
Come già riportato dalla stampa internazionale, le due società avevano già firmato una lettera d’intenti nell’ottobre 2009, nella quale si formalizzava l’intenzione di studiare nuove possibilità di business nel settore siderurgico e delle materie prime nell’Europa dell’Est e nell’area CIS.

Il futuro della Lucchini – Italia
Dopo le indiscrezioni trapelate dalla stampa russa durante il mese di gennaio, l’interesse degli operatori è volto a capire chi potrebbe essere il compratore della quota di maggioranza della Lucchini attualmente detenuta dal gruppo Severstal. Inizialmente sembrava da escludersi l’ipotesi Riva e il riacquisto da parte della stessa famiglia Lucchini, mentre si rafforza quella che vedrebbe interessata Baosteel, produttore cinese da 36 milioni di tonnellate, già presente in Italia e soprattutto finanziariamente solido e meno appesantito di altri dalla crisi. Si parla comunque anche di ArcelorMittal, anch’esso già presente in Italia, oltretutto anche nelle immediate vicinanze dello stabilimento Lucchini di Piombino.
Oltre al mondo siderurgico, anche quello politico e sindacale si stanno muovendo per meglio comprendere questa possibile operazione. Infatti è di fonte sindacale un aggiornamento sulla vicenda. La Severstal, che rappresenta anche il principale produttore siderurgico russo, starebbe valutando cinque potenziali offerte per la vendita della divisione italiana Lucchini. Lo ha riferito il segretario nazionale della Uilm, Mario Ghini, al termine di un incontro, avvenuto a metà febbraio con il governo sul destino dell’azienda italiana. Secondo quanto riportato dalla stampa russa e italiana, in febbraio, Severstal ha avuto colloqui con diversi investitori per la cessione della propria quota – o parte di essa – in Lucchini. “Ci sono state nove manifestazioni di interesse, ridotte a cinque dopo una prima valutazione da parte della società russa”, ha detto Ghini in una nota. “Trovare una soluzione per evitare il declino del secondo polo siderurgico del Paese è di estrema importanza. Insieme ai tecnici del ministero seguirò personalmente l’evoluzione della vicenda, perché non possiamo assolutamente permetterci di perdere una realtà fondamentale come il gruppo Lucchini. Non possiamo consentire un’altra Alcoa”, ha dichiarato il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola.

La vicenda Alcoa
Alcoa sconta l’assenza di un prodotto valido da presentare al mercato in termini di “k termini adeguati” e di prezzi rispondenti ai bisogni di mercato. Una errata politica di relazione con i distributori ha quindi messo in crisi la Alcoa e la sua divisione alluminio per infissi che si chiama Sapa. Nello spazio commerciale lasciato libero della Sapa/Alcoa, si sono introdotte realtà molto aggressive in questo campo, come il marchio e nome “Fresia” (purtroppo forte, ma limitato al solo Piemonte) quindi il Consorzio Allu Sistemi, capace d’operare su tutto il territorio nazionale, forte di una quindicina di distributori e altri estrusori che tutti insieme occupano la fascia media del mercato, dove si colloca ancora la Sapa, alla ricerca di un modo d’agire praticando clamorosi ribassi di prezzo. Purtroppo questo è un copione già visto nella degenerazione aziendale che precede la scomparsa del marchio.

I livelli dei prezzi si attestano sul 2007
Si tratta di una sintesi che emerge da un’intervista con un protagonista del mercato dell’acciaio. Dato il miglioramento delle condizioni di mercato, ArcelorMittal Temirtau, controllata kazaca del gruppo ArcelorMittal, stima che nel 2010 il suo output di acciaio grezzo, aumenterà del 20% rispetto all’anno precedente raggiungendo i 3,6 milioni di tonnellate.
Frank Pannier, CEO di ArcelorMittal Temirtau ha spiegato che la previsione è basata sui dati di produzione registrati nei primi due mesi di quest’anno (che hanno fatto segnare un +20% rispetto al medesimo periodo del 2009) sulla ripresa del mercato siderurgico e sulla domanda, che si dimostra migliore rispetto a quella vista dalla fine 2008 a questa parte. Frank Pannier ha inoltre dichiarato: “I prezzi di vendita sono migliorati, ma rimangono bassi, attestandosi sui livelli del 2007 e per questo motivo la redditività di ArcelorMittal in Kazakistan non ha ancora equiparato quella registrata nella seconda metà del 2008”.

LINEE DI TENDENZA – L’ANALISI DEGLI ULTIMI 6 ANNI CON I GRAFICI DEL LME
C’è un prima e un dopo
Prima delle intense trasformazioni in corso al LME, i magazzini dov’era stoccato il metallo fisico (società del tipo Steinweg, Pacorini, Metro, Henry Bath) rappresentavano lo specchio dei “fondamentali”, intesi nei termini di ciclo di produzione, consumi e scorte. Oggi la crisi è dovuta a un eccesso di prezzi praticati dalle società di stoccaggio (appunto i magazzini). Per ironia della sorte, in questo caso, il costante incremento di prezzo ha sortito un effetto boomerang contro gli interessi degli stessi depositi. Ne consegue che il LME si sta orientando sempre di più verso “altri” operatori di mercato per ricercare un obiettivo risparmio creando però un nuovo problema: quanto entra/esce, nelle nuove strutture non è certificato e quindi misurabile, da cui deriva una nuova incertezza sul mercato aprendosi a nuove speculazioni (le trattative non chiare sono sempre l’humus naturale per la speculazione)
Purtroppo, riepilogando la storia, anche questa è “breve”. Con costi di custodia scorte saliti del 59,9% dal 2004, gli utilizzatori non hanno più alcuna convenienza a lasciare il metallo presso i depositi, perché il premio a tre mesi, rispetto al pagamento diretto in contanti (cash) non copre i costi di stoccaggio. Da qui la scelta di ritirare quanto si paga e il venir meno del ruolo e funzione del deposito che tornerebbe così alle origini prima dello scoppio della bolla speculativa ancora in pieno corso. Però non si può dire che la manovra del LME sia finalizzare allo sgonfiamento della bolla sui metalli, tutt’altro.
Su questo versante della vicenda si nota anche un robusto spostamento del LME al finanziario, come se i guasti prodotti dalle difficoltà del 2008 non fossero mai avvenute. Sicuramente dallo studio di questi fatti, si conferma quanto sia difficile imparare dagli errori commessi. Di fatto il LME è in “iper attività”, nella produzione di vecchi strumenti speculativi, su nuovi metalli. In questo modo, a fine febbraio, sono iniziate le contrattazioni sui futures a tre mesi per cobalto e molibdeno, in un contesto di aperta interazione con il Baltic Exchange, per negoziare insieme anche i contratti sui noli marittimi. Ovviamente il LME sta cercando d’offrire il suo sistema di raccolta elaborazione dati, al London Bullion Market Association (Lbma) che gestisce il fixing dell’oro.
La motivazione ufficiale da parte del LME è che mentre il Lbma è un’associazione, loro sono un mercato, per cui l’oro non può restare quotato in un sistema privo di stimoli come quello dei metalli, pur escludendo il lancio di un future sull’oro. Il vero motivo di tanto attivismo per il LME, risiede anche in un futuro dove le difficoltà del momento non sono destinate a essere superate così rapidamente, come sbrigativamente si è più volte scritto e detto nell’autunno 2009, da qui il bisogno d’espandersi su più settori e lanciare un maggior numero di scommesse speculative (futures) per allargare una base di lucro, che non è più così certa.

In termini dimensionali come volume degli scambi eseguiti al LME, il 1°marzo 2004 ammontavano, come cash buyer a un dato medio di 1.729 dollari per tonnellata. Lo stesso 24 febbraio del 2010, questo valore si concretizza in 3.398,5 L’apprezzamento è pari al 96,59% nel corso di questi anni, ovvero il 18,92 % all’anno.
Rispetto alla rubrica semilavorati di LAMIERA del mese scorso, il valore degli scambi complessi nei 6 anni trascorsi fu del 113,52% il che segnala un decremento degli scambi che però non hanno prodotto ancora quel reale, quanto consistente, sgonfiamento dei prezzi. Sul piano più complessivo è possibile osservare un generalizzato calo dei prezzi, anche di ampia entità, non destinato a fermarsi nei prossimi mesi. Nel dettaglio, qui si presenta un confronto tra quanto in percentuale è cresciuto il singolo metallo in 6 anni di rilevazione, dal 2004 a oggi, nel rapporto pubblicato un mese fa e quanto invece è stato conteggiato oggi. Sostanzialmente, in un solo mese, si osservi la variazione negativa di prezzo, tranne per una sola eccezione.

Per le innumerevole polemiche che questo criterio di calcolo provocherà, è bene chiarire meglio il suo punto di vista. Considerando il comparto metalli sotto assedio da una speculazione in cerca di vittime, quando poi chi ci rimette è se stessa, lo studio del prezzo per ogni singolo metallo avviene su un lasso di tempo di 6 anni.
In questo periodo, osservando il prezzo che fu registrato e quello segnato oggi, si calcola una differenza in percentuale; ad esempio, l’alluminio in 6 anni è cresciuto del 26,89% con un ritmo annuale del 4,48%. Rilevando ogni mese lo sviluppo di questi parametri, si osserva, nel dettaglio che se a fine gennaio 2010 il rame “valeva” il 201,60% in 6 anni, a fine febbraio gli stessi parametri rilevano un prezzo che si è evoluto, nello stesso periodo, del 130,47% con una contrazione del 71,13 punti. Questa è pura matematica, ma il nesso con la previsione è chiaro.

COMMENTO ALL’ANDAMENTO DEI PRINCIPALI METALLI
ALLUMINIO

In termini di valore il prezzo dell’alluminio era 6 anni fa, quindi nel 2004 pari a 1.625 dollari la tonnellata, quando al 23 febbraio 2010 quotava 2.062 dollari. L’apprezzamento nel corso di questi 6 anni è stato pari al 26,89% e del 4,48% su singolo anno (il precedente incremento registrato nella rubrica semilavorati di gennaio per LAMIERA fu pari al 36,85% nei sei anni e del 6,14% per anno, il che indica un consistente ridimensionamento del valore dell’alluminio non destinato a fermarsi nel corso della primavera)

RAME
In termini di valore il prezzo del rame era 6 anni fa, quindi nel 2004 pari a 3.057 dollari la tonnellata, mentre al 23 febbraio 2010 quotava 7.045,5 dollari. L’apprezzamento è pari al 130,47% nel corso di questi anni, ovvero il 21,75% per singolo anno.
Se si dovesse fare un confronto con la precedente rubrica semilavorati di LAMIERA i dati registrati furono pari al 201,60% e 33,60% nei 6 anni, il che indica che il rame non solo si è fermato nella sua ascesa di prezzo, ma è in deciso sgonfiamento. Si presume che questa fase di rientro dalla bolla speculativa a cui il metallo è stato soggetto, possa proseguire ampiamente raggiungendo un range di prezzo tra i 6.000 e 7.000 dollari la tonnellata già in primavera.

PIOMBO
In termini di valore il prezzo del piombo era 6 anni fa, quindi nel 2004 pari a 880 dollari la tonnellata, mentre al 23 febbraio 2010 ha quotato 2.167 dollari. L’apprezzamento è stato pari al 146,25% nel corso di questi anni, ovvero il 24,38% all’anno.
Nella precedente rubrica semilavorati di LAMIERA i valori registrati furono, a fine gennaio, del 223% come crescita complessiva nei 6 anni e del 37,16% su ogni anno. Anche per il piombo non si riesce a prevedere una crescita di prezzo. In linea di massima una contrazione del 10% dell’intero comparto è all’ordine del giorno.

NICHEL
In termini di valore il prezzo del nichel era 6 anni fa, ovvero nel 2004, di 13.395 dollari la tonnellata, mentre al 23 febbraio 2010 quotava 20.060 dollari. L’apprezzamento, nel corso di questo periodo è stato pari al 49,76% ovvero ha guadagnato mediamente il 8,29 ogni anno.
Nella precedente rubrica semilavorati di LAMIERA i valori registrati furono, a fine gennaio, per una crescita di prezzo complessiva del 27,95% nei 6 anni e dello 4,65% su ogni anno. Perché il nichel è in completa controtendenza rispetto l’intero comparto dei metalli non ferrosi? A ben guardare come fu per l’alluminio, qualche mese fa, oggi è il turno del nichel.
La speculazione è alla disperata ricerca di un “cavallo su cui puntare”. Prima era il rame, poi ultimamente si è “scoperto” l’alluminio, che adesso è alla deriva come prezzo e oggi è il nichel. Si tratta sempre della stessa storia; del resto anche monotona, rispetto il metallo reale e alla vita operativa di tutti i giorni per quegli operatori che devono fronteggiare un gennaio a -40% di produzione e vendite e un febbraio che si sta chiudendo a -50%. Per questi imprenditori i problemi sono reali e la speculazione resta solo un ronzio fastidioso.

STAGNO
In termini di valore il prezzo dello stagno era 6 anni fa, quindi nel 2004 di 7.145 dollari la tonnellata, mentre al 23 febbraio 2010 quotava 16.695 dollari. L’apprezzamento nel corso di questi anni è stato pari al 133,66% quindi il 22,28% all’anno.
Nella precedente rubrica semilavorati di LAMIERA i valori registrati furono, a fine gennaio, del 190,33% complessivo nei 6 anni e del 31,72% su ogni anno. Anche per lo stagno il ridimensionamento di prezzo è palese. Non solo, ma si attende una accentuazione di questa tendenza nel corso della primavera.

ZINCO
In termini di valore il prezzo dello zinco era 6 anni fa, nel 2004 di 1.154,5 dollari la tonnellata, al 23 febbraio 2010 quotava 2.285 dollari. L’apprezzamento è stato pari al 97,92% nel corso di questi anni, che corrisponde al 24,48% per singolo anno.
Nella precedente rubrica semilavorati di LAMIERA i valori registrati furono, a fine dicembre del 156,51% totale nei 6 anni e del 26,08% su ogni anno. Anche in questo caso la contrazione del prezzo è manifesta.