In Italia ci sono molti editori e tantissime tipografie. Quale la differenza concettuale tra un editore e la tipografia per un paese che si è scoperto scrittore, dove tutti scrivono e vogliono pubblicare, ma pochi leggono? In effetti va meditato anche questo passaggio sociologico su un popolo che ama scrivere ma non leggere: frutto dei tempi di crisi e nichilismo. Si rammenta che nichilista è colui che si è costruito un mondo tutto suo, in perenne scontro con quello degli altri, che urla senza discutere, s’accapiglia senza trovare punti di contatto, litiga senza saper cercare l’accordo, muore prima ancora d’esistere. In poche parole abbiamo definito il comportamento comune degli italiani, afflitti dall’assenza di un sistema educativo nazionale, che dovrebbe essere di fonte governativa.

Tornando al significato di questo scritto, si scopre che la figura dell’editore spesso sconfina in quella del tipografo. Non che quest’ultimo non sia degna persona e sano professionista, ma tra editore e tipografo ci sono delle differenze abissali che è corretto riscrivere.

L’editore è un imprenditore, il tipografo un negoziante.

L’editore quando “annusa” un’opera, che gli viene proposta, ne capisce le eventuali potenzialità sul mercato. Paga quindi lo scrittore e investe su uno scritto che potrebbe avere uno ritorno economico, predisponendo un’accurata campagna pubblicitaria all’evento. L’editore inoltre è presente in tutte le librerie italiane e colloquia con lo scrittore, aiutandolo e correggendone alcuni passaggi. Tra editore e scrittore nasce un duo, finalizzato all’investimento e alla resa economica di un’opera del pensiero. Lo scrittore riceve un piccolo compenso per l’opera e avrà successivamente, in caso di successo, i diritti (in genere 5 o più euro per copia venduta). Il tutto grazie a un contratto d’edizione.

Il tipografo è un piccolo imprenditore, sostanzialmente un commerciante che vende copie, chiedendo allo scrittore di pagare per stampare o anche un congruo contributo spese alla stampa. Spesso si parla di 5mila o anche 7.500 euro. Fin qui nulla di male: è il mondo del commercio.

I guai iniziano quando i tipografi s’inventano nel ruolo e funzioni di editore e come tale si presentano sul mercato.

Il tipografo alias editore, non corregge le bozze ma le stampa, senza interlocutorio con lo scrittore (al massimo acriticamente invia una bozza in visione per pulirsi la coscienza senza un vero dialogo).

Il tipografo alias editore, quando stampa non verifica quello che emerge dal suo lavoro e se criticato per questo, s’offende assumendo atteggiamenti infantili (rifiutandosi nel contraddittorio e/o proponendo di rescindere eventuali altri contratti d’edizione).

Il tipografo alias editore, è colui che assume e/o chiede la collaborazione a un qualche professore universitario, per coprire la vera natura di tipografia diffondendo di sé un’immagine irreale da editore anziché tipografo!

Il mercato editoriale italiano è così intasato da tipografi, alias editore, che stampano senza capire quello che fanno, contribuendo alla confusione del lettore. Non resta che auspicare che questa nuova figura, il tipografo alias editore fallisca, chiudendo un’attività deleteria per la cultura nazionale, ma anche in questo c’è un problema: le nuove idee non giungerebbero sul mercato delle opportunità se i tipografi, alias editore, chiudessero, perchè la gerarchia culturale in essere, solitamente opprime e stronca ogni lavoro nella presunzione del monopolio della scientificità, ovvero di una parola/presunzione  necessaria a chiudere la bocca a chi la pensa in forma diversa.

Come conciliare il bisogno di nuovo, con la mafia dell’ufficialità del pensiero scientifico corrente, che non ama la concorrenza? Ecco a cosa servono i tipografi, alias editore. La scomparsa di quest’ultimi sarebbe un danno per la genuinità delle idee e la ricchezza del pensiero. Potremmo auspicare a tipografi, alias editore che maturino?

Speriamo che sia possibile formare e istruire una nuova generazione d’imprenditori nei tipografi che oggi s’atteggiano a editore, perché è solo attraverso loro che il nuovo rigenera il pensiero incastrato. Per fare questo serve un rinnovato patto tipografo-scrittore che ancora non si vede.

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