Report.Osservatorio sulle condizioni economiche dell’industria degli stampi. Prof Carlini 

aggiornamento al 10 giugno 2011

Report per un mercato molto difficile

Al di là di nuovi virus mutanti, destinati a sconvolgere le nostre abitudini alimentari (ad oggi sono 18 le persone morte in Germania, non solo ma la Russia ha bloccato ogni importazione dall’intera territorio comunitario e la nostra industriale alimentare, ha già perso oltre 20 milioni di euro d’export la settimana) il mercato nel suo complesso, tra “stop and go”, si rivela sempre più complesso. Una congiuntura difficile, richiede una classe d’imprenditori adeguata, formata, aggressiva, riflessiva, capace. Il punto di vista di questo rapporto STAMPI è che una simile categoria, in questo momento, in Italia, nel contesto dell’industria degli stampi, non sia diffusa a livelli adeguati, il che mette in crisi l’intera categoria.

Perché non sarebbero adeguati gli imprenditori degli stampi a gestire il mercato

Si tratta ovviamente di una provocazione e di una generalizzazione, che serve ad aprire un dibattito interno e riservato per ogni singolo operatore, affinchè si ponga il problema.
Lo scopo di questo scritto non è irritare il lettore (che poi è un imprenditore) ma aiutarlo a porsi un quesito: se il tempo cambia inesorabilmente, dall’altre parte, la nostra capacità di comprensione, azione e risposta è sufficientemente mutata?

Intervistando gli attori di questo mondo

Ormai sono molti mesi che questa rubrica si rivolge direttamente agli attori del mondo degli stampi in Italia, ascoltando i loro punti di vista. Da tutti, sintetizzando emerge:
– una diffusa lamentela sulla congiuntura;
– un grande desiderio d’accedere ai mercati stranieri (in primo luogo Germania, Svizzera e Francia) ma non saper “come fare”;
– delle dimensioni d’impresa molto piccole;
– una quasi totale assenza nel campo della ricerca e sviluppo e una bassissima tensione nell’investire sull’aggiornamento tecnologico;
– una completa incapacità di relazione sociale nel sapersi costruire un’immagine, riscontrata nella vergogna-ritrosia, che la massa degli stampisti, manifesta rifiutando interviste e risposte da pubblicare su questa stessa rivista;
– una endemica crisi di liquidità, dovuta sia a un difficile rapporto con le riscossioni, che di conseguenza con le banche, inquadrabile in una radice profonda: la carente volontà di rifinanziare la propria attività, rientrando così in un male comune a carattere nazionale.

L’immaturità comunicativa

Si parla da un decennio di globalizzazione, da più tempo di marketing, quindi di un mercato che “prima si rivolgeva a noi e che adesso dobbiamo andare a cercarci”, ma su tutto questo non si innesta una paritetica capacità di raccontarsi, descrivendo il perché un cliente dovrebbe appoggiarsi ai servizi che lo stampista sa offrire. Se questo è il problema sul quale è difficile obiettare perché troppe volte riscontrato, mese per mese negli ultimi anni, che si fa?

La vergogna a comparire in foto in un’intervista, il “non saper che dire della propria impresa”, il “non aver idee”, il solo lamentarsi, sono tutti segnali di una scarsa tensione alla formazione permanente, che non grava solo su questa categoria, potendo condividere con una intera generazione lo stesso handicap. La cultura, che tanto qui s’implora per salvare l’industria nazionale dalla dismissione o chiusura (in Italia, dai dati pubblicati sulla stampa economica, chiudono 30 impresa al giorno da quasi un anno) è quella di un imprenditore che sappia:

– adottare le più naturali tecniche gestionali per condurre la propria impresa (il riferimento corre all’adozione della contabilità industriale e quindi di un piano di marketing, la conoscenza del proprio punto di pareggio per stabilire i prezzi da praticare e quindi di una curva di TAM – tendenza annua mobile – per decidere quando, come e perché sviluppare una qualche forma di pubblicità. Si tratta di procedure elementari che distinguono una impresa ben condotta, dal retrobottega familiare di un’avventura non dotata di un respiro tale da poter coinvolgere, in sicurezza e continuità, più generazioni. Purtroppo però si nota quanto questa sensibilità non sia molto diffusa, causando un doppio danno: una gestione approssimativa dell’attività e una carenza d’argomentazioni dotte, sulle quali confrontarsi a livello imprenditoriale. Insomma la categoria non può ridursi a una massa di meccanici in eterno apprendistato.

– Per ottenere idee serve anche frequentare con assiduità l’Associazione di categoria e i numerosi eventi che organizza a favore degli iscritti. Qui va chiarito un concetto. L’iscrizione all’Ucisap non è un “di più”, ma il minimo! Poter fronteggiare le mutevoli condizioni del mercato significa confrontarsi, ascoltare, capire, sperimentare, attraverso l’esperienza altrui, sapere cosa accade nei mercati esteri e poter interagire con colleghi di cui mai si sarebbe saputo neppure l’esistenza. Non solo, ma il senso profondo della partecipazione alla vita dell’Associazione, consiste nel ricevere e studiare dati e numeri, sui quali misurarsi per capire come altri hanno saputo affrontare gli stessi problemi. Questa attenzione e disponibilità rappresenta la condizione di base per potersi dichiarare imprenditori. Va chiarito come la sola iscrizione non risolva il bisogno di sapere e capire per un Capo d’azienda, ma è certamente un grande aiuto, in grado di contrarre tempi e percorsi formativi, considerati ormai, a questo punto, imprescindibili per restare sul mercato.

– Collegata alla partecipazione all’Associazione (se esiste una possibilità perché non sfruttarla al meglio?) esiste anche la stampa di settore. Sono due aspetti della stessa tensione evolutiva senza la quale mancherebbero le informazioni per capire. L’attuale pressione da parte dei lettori, a contribuire nel formare la loro rivista, è pari a zero o a valori molto ridotti rispetto a quanto sarebbe necessario. Di fatto abbiamo degli imprenditori che non leggono ma sfogliano, che non studiano ma orecchiano, che non partecipano ma passeggiano.

– L’assenza degli imprenditori degli stampi dalla loro associazione di categoria e dalla viva partecipazione alla stampa, si nota anche nelle camere di commercio specializzate chi sulla Germania, che per rapporti italo-francesi, e verso la svizzera come infine su altre. C’è una forma d’allergia nel chiedere e candidarsi (la stessa che impedisce di rispondere alla interviste) in questi contesti, per intercettare corrispondenze da valorizzare, al fine d’ampliare il proprio giro d’affari. Qualche stampista si è affidato, senza successo, a dei consulenti per affacciarsi in Europa. L’idea del consulente è sana quanto saggia, ma sulla relazione con l’estero è meglio rivolgersi a chi è deputato istituzionalmente a questa funzione, avendo costi e servizi dedicati. Nonostante ciò, pare che la categoria ignori completamente potenzialità del genere, pur lamentandosi per una profonda solitudine che gli impedirebbe d’accedere all’Europa.

INTERVISTA

Domanda: Signor Niero, questo dossier, sulla capacità della sua categoria a reagire alle note difficoltà, è purtroppo molto duro. Probabilmente non è piacevole da leggere, ma non lo è stato neppure scriverlo. Del resto però sulle cartelle cliniche, per cercare di salvare il paziente, non si scrive che va tutto bene, quando questo non è vero. Lei cose ne pensa?

Niero:certo che un intervento di questo tipo è molto duro ma lo apprezzo, perché ci vuole coraggio per dire le cose e soprattutto quando sono vere, ma ignorate. Condivido il richiamo a una maggiore partecipazione, sia verso l’Associazione che nella stampa di settore. Va detto però, a discolpa della mia categoria, che noi spesso siamo “soli” nel fare tutto, il che ci mette in difficoltà nel non saper essere così polivalenti come dovremmo essere anche se, oggettivamente, il mercato richiede questo oggi con maggiore insistenza. Con il 2008 è cambiato tutto e quindi anche noi stampisti dovremmo adeguarci. Ad esempio, racconto una mia cattiva esperienza. Ho sbagliato nell’affidarmi a una società di consulenza, anziché al singolo professionista (quando lo si trova). Errando nella scelta, ho perso tempo e denaro, restando con l’amaro in bocca. Ora devo convincermi che quella strada era da non percorrere, salvando però il concetto della consulenza personalizzata. Mi serve e necessita, a noi tutti, quella figura che sa aiutarci coprendo un largo spettro di necessità dal gestionale, al personale, quindi al marketing fino alle strategie. Senza un apporto di questo tipo, rischiamo di perderci.

Domanda:Il motivo per cui la Redazione si rivolge nuovamente a Lei signor Niero è perché, in un momento di crisi dove tutti i suoi colleghi si sono fermati e rimati in dubbio se chiudere o no l’attività, lei ha investito, invertendo la tendenza. In onore al suo coraggio e audacia, ci può raccontare cosa l’ha portata ad essere così innovativo?

Niero: ero un operario sono un imprenditore. La mia azienda è tutto, non posso perderla e con tenacia ci lavoro dentro. Non voglio apparire come un uomo che non può perdere quello che ha, ma qui io mi gioco tutto il mio futuro, quindi non posso che lottare con fantasia e innovazione. La mia spinta è far crescere sani i miei figli e il sorriso di mia moglie.

Domanda: Signorina Actis Dato, unitamente al suo collega Niero anche lei ha innovato l’impresa dotandosi di quegli strumenti di controllo, ormai indispensabili per restare sul mercato. Non solo, ma Lei ha visto “lontano”, nel senso che si è mossa già dall’anno scorso. Cosa l’ha portata ad essere così vivace e preveggente?

Actis:fu una consulenza felice che ci fece capire quanto orfani fossimo d’idee e punti di vista. Ci siamo dovuti adeguare dotandoci di un mezzo senza il quale non possiamo misurare, nel bene come nel male, l’andamento della nostra impresa.

Domanda: Signori Niero e Actis, la vostra capacità di reagire alle difficoltà, chi sul piano delle acquisizione di macchinari e chi gestionale, ha prodotto un incremento di fatturato?

Actis:Si, nella difficoltà abbiamo tenuto il che non è lo stesso andamento degli altri.

Niero: Confermo non solo la tenuta ma anche una crescita, certo non stratosferica, ma per me significativa, il che vuol dire che ho fatto bene ad investire e credere nel mio lavoro.