Geopolitica- appunti/1 di Giovanni Carlini – sociologo, economista

Geopolitica come analisi dei fatti collegati tra loro. In merito alle diverse primavere arabe c’è l’invito all’Occidente a prenderne parte. Per carità! Sono di parere profondamente diverso. Desidero che l’Occidente ne stia non solo fuori, ma lontano “mille miglia” dalla crisi araba.

Ovviamente ogni posizione sensata ha le sue motivazioni. Per essere sintetico ricordo il film Lawrence d’Arabia, che descrive gli sforzi inglesi per indirizzare il risveglio arabo. Una riscossa indirizzata contro la dominazione ottomana facendo leva sul al nazionalismo. Si formarono gli attuali Stati che compongono il mondo arabo. Cosa ne resta oggi dell’impegno anglo-francese di allora? Sicuramente una forte influenza commerciale e politica, profondamente ridimensionata dal fondamentalismo (iniziato negli anni Settanta).

Abbiamo focalizzato 2 importanti momenti dell’evoluzione araba in questo secolo: il nazionalismo e il fondamentalismo.

Entriamo nel dettaglio e parliamo di questi ultimi anni. Quelle che sono state rivolte “del pane”, (a gennaio) in realtà si sono rivelate (a febbraio) moti politici di ribellione. Eventi che hanno azzerato due classi dirigenti (Tunisia, Egitto).

E’ palese come, nei restanti stati arabi, la reazione governativa non sia più comprensiva verso le masse ma repressiva. Lo scontro è destinato ad acuirsi ferocemente. La sensazione è che indipendentemente dalla classe di governo in carica, la qualità di vita araba era e resta tra le più povere del mondo. Non è un problema di direzione governativa, ma di cultura.

La classe dirigente pro tempore rubacchia quanto può, in attesa d’essere destituita a vantaggio di chi arriverà, animato da altri interessi. Se questo punto di vista dovesse essere corretto, il cambio di regime non modifica il mondo arabo, che resta ancora indietro sul piano culturale.

Ecco il vero handicap arabo: un gap culturale verso le altre quantificabile in almeno 300 anni. Il concetto di Nazione, da cui deriverà il nazionalismo, nasce in Europa con le pace di Vestfalia nel 1648. In Medio Oriente è appena accennato  nel 1908. La differenza è abissale.

Il mondo arabo conserva delle strutture culturali non ancora definite, oscillando da un estremo all’altro.

Le opzioni oggi sul tavolo sono il fondamentalismo e il modello turco; entrambe sono ancora “inzuppate” nella religione. Chi scrive è cattolico, ma no per questo pensa, agisce e giudica in base a criteri religiosi. Il rapporto con Dio è qualcosa di intimo e radicato nella cultura occidentale tale da essere forza e non discriminazione.

Una studentessa islamica scrive in un compito che ho assegnato sui problemi d’immigrazione che l’Italia e l’Occidente sono convertibili. Sullo spessore deviante o patologico come terroristico, di una ragazzetta di 20 anni ci credo poco. Certamente ha sintetizzato l’ambiente in cui vive.

Con un mondo che divide le persone tra fedeli e infedeli è bene che la Turchia resti fuori dall’Europa. Relativamente al mondo arabo, attendiamo che nei prossimi 50 anni si profilino atteggiamenti compatibili con le altre culture.

Cosa dovranno fare le nostre imprese in Medio Oriente? Non potendo partecipare a un processo evolutivo troppo confuso, si vende in contanti. La speranza è che gli eventi di pirateria già registrati nel corno d’Africa, non si replichino sulle coste del Mediterraneo. Certamente per il mondo arabo la globalizzazione e delocalizzazione sono concetti “siderali”. Visioni che saranno vissute (se dovesse accadere) da altre generazioni. Questo quando l’Occidente sarà già fuori dalla globalizzazione.

Geopolitica – appunti /2

Del mondo arabo francamente ci interessa molto poco. Dobbiamo occuparcene solo perché sotto bombardamento immigratorio tra clandestino e legale. Sul piano commerciale ci sono le importazioni di gas/petrolio. Tolto il petrolio e gli immigrati cosa resta del mondo arabo? Inoltre c’è l’aggravante d’essere infedeli da convertire. La somma di questi aspetti divide, senza appello, la costa meridionale dell’Europa da quella settentrionale dell’Africa.

Il fatto di trovarsi su posizioni culturali inconciliabili, non vuol dire farsi la guerra (dal punto di vista Occidentale). Ecco che la geopolitica conferma la sua utilità. Lo scopo di questo studio di geopolitica è cercare di capire quali conseguenze all’Occidente, da un congelamento delle problematiche sociali e politiche arabe.

Gli aspetti ruotano su due aspetti: le importazioni di materie prime energetiche e l’esportazione di nostri prodotti in quell’area.

Parliamo di petrolio e di gas. Il rischio minimo è che rincari, quello massimo che si chiudano i rifornimenti (benedetto il nucleare!) Per i rischi minimi, un robusto rincaro del petrolio, ha il potere di bloccare ogni uscita dalla crisi.

L’Italia ha un 13% di disoccupazione, destinata a crescere per effetto del rincaro del petrolio. Questa tendenza non solo mette in forte discussione la democrazia ma deprime il mercato interno. Quello domestico è l’unica reale risorsa per l’intero sistema delle imprese.

Sperare sulla Cina e nei suoi nuovi consumatori, per uscire dalla crisi è sciocco. Perché la Cina è una dittatura. Ne consegue che la pressione innescata dalla globalizzazione sui sistemi tradizionali (mondo arabo e cinese in particolare) li scardina. Qui si conferma la geopolitica come scienza per le imprese nei processi d’internazionalizzazione.

In pratica, la rivolta o disagio popolare, comunque lo si voglia definire, partito da Tunisi è probabile che arrivi a Pechino. Questo rimodellamento della società deriva dal confronto tra una cultura ferma e una sin troppo mobile. Tra Oriente e Occidente.

Per molti anni, nel mondo accademico, ci siamo chiesti come potesse resistere l’Islam, alle grandi sollecitazioni. Questo perché l’islamismo è una religione poco disponibile all’accordo. L’attuale subbuglio sociale arabo si configura come “una morte annunciata”. Il tutto senza escludere anni “bui” di ritorno a una dittatura religiosa.

In una fluidità d’opzioni possibili (principalmente modello turco e fondamentalismo) resta l’ipotesi di tensioni con il mondo arabo.

In conclusione: l’Africa in senso lato, ma il mondo arabo nello specifico, non sono degli interlocutori affidabili nei rapporti politici e commerciali. La Cina, in prospettiva lo è ancora meno. Resta l’Occidente che è in crisi. Questa deprime il mercato e mortifica quello interno. Gli strumenti compensativi di reddito alla disoccupazione sono accesi, ma non bastano. E’ l’incertezza che frena la spesa.

L’unica reale soluzione a una nuova era da “anni bui”, è nel ruolo della Pubblica Amministrazione come volano. Ecco su cosa puntare, pena la stagnazione più crudele per l’intero Occidente. Questa scelta è già stata intrapresa dagli Stati Uniti con successo. Speriamo altrettanto nella vecchia Europa.