Appunti di geopolitica per le PMI a favore dell’internazionalizzazione. 

Appunti necessari a un mondo, quello delle PMI, che partono per tentare l’internazionalizzazione senza saper distinguere una dittatura da una democrazia.

In merito alla crisi del mondo arabo, spesso sulla stampa compaiono inviti a intervenire. Per carità! Sono di parere profondamente diverso e desidero che l’Occidente ne stia non solo fuori, ma lontano “mille miglia” dalla crisi araba.

Ovviamente ogni posizione sensata ha le sue motivazioni.

Per essere sintetico ricordo il film Lawrence d’Arabia dove si descrivono gli sforzi inglesi (e al contempo anche francesi) per indirizzare il risveglio arabo dell’epoca, dalla dominazione ottomana al nuovo nazionalismo. Si formarono gli attuali Stati che compongono il mondo arabo. Cosa ne resta oggi dell’impegno anglo-francese? Sicuramente una forte influenza commerciale e politica, profondamente ridimensionata dal fondamentalismo (iniziato negli anni Settanta)

Ecco che abbiamo focalizzato 2 importanti momenti dell’evoluzione araba in questo secolo: il nazionalismo e il fondamentalismo. Ovviamente un ragionamento così lineare ce lo possiamo permette oggi, osservando 110 anni di storia con la calma e riflessione degli studiosi. Ecco da dove nascono questi appunti.

Entriamo nel dettaglio e parliamo di oggi. Quelle che sono state rivolte “del pane”, (a gennaio) in realtà si sono rivelate (a febbraio) moti politici di ribellione che hanno azzerato due classi dirigenti (Tunisia, Egitto). E’ palese che oggi, nei restanti stati arabi in agitazione, la reazione governativa non è più comprensiva verso le masse ma repressiva, per cui lo scontro è destinato ad acuirsi ferocemente. A giudicare dal flusso d’immigrazione dalla Tunisia (attesi 80mila clandestini, dopo aver autorizzato 98mila immigrati il 31 gennaio a lavorare da noi a fronte di 2,1 milioni di disoccupati in Italia) non sembra che il cambio di regime abbia migliorato la situazione. Mi spiego. La sensazione è che indipendentemente dalla classe di governo in carica, la qualità di vita araba era e resta tra le più povere del mondo. Non è un problema di direzione governativa, ma di cultura.

La classe dirigente pro tempore rubacchia quanto può, in attesa d’essere destituita a vantaggio di chi arriverà, animato da altri interessi. Se questo punto di vista dovesse essere corretto il cambio di regime non modificherebbe il mondo arabo, che resta ancora indietro sul piano culturale.

Ecco il vero handicap arabo: un gap culturale verso le altre quantificabile in almeno 300 anni. Se il concetto di Nazione, da cui deriverà il nazionalismo, nasce in Europa con la pace di Westfalia nel 1648, gli accenni in Medio Oriente risalgono al 1908. La differenza è abissale.
In un mondo le cui strutture culturali non sono ancora definite, oscillando da un estremo all’altro, ogni intervento non solo è prematuro, ma anche dannoso.

Le opzioni oggi sul tavolo sono il fondamentalismo e il modello turco; entrambe sono ancora “inzuppate” nella religione. Chi scrive è cattolico, ma no per questo pensa, agisce e giudica in base a criteri religiosi. Il rapporto con Dio è qualcosa di così intimo e radicato nei contatti personali che in un Occidentale troppo laico, diviene comunque fonte di forza e sicurezza anziché discriminazione.

Una studentessa islamica, accolta nelle scuole italiane e di fatto cittadina italiana, scrive in un compito che ho assegnato agli studenti sui problemi d’immigrazione: l’Italia e l’Occidente sono convertibili. Sullo spessore deviante o patologico come terroristico di una ragazzetta di 20 anni ci credo poco, ma certamente ha espresso l’ambiente in cui vive.

Con un mondo che divide le persone tra fedeli e infedeli, in eterno bilico (anzi spesso già rotolati dentro) su una invadenza religiosa intollerabile per noi Occidentali, ecco che la Turchia è bene che resti fuori dall’Europa e per l’intero mondo arabo, attendiamo che nei prossimi 50 anni si profilino atteggiamenti compatibili con il loro sviluppo, qualità di vita e schemi comportamentali.

Cosa dovranno fare le nostre imprese in Medio Oriente? Non potendo partecipare a un processo evolutivo troppo confuso, si vende in contanti quello che si può, sperando che quanto abbiamo osservato nel corno d’Africa, non si replichi sulle coste settentrionali del Mediterraneo.

Certamente per il mondo arabo la globalizzazione e delocalizzazione sono concetti “siderali” appartenenti a un’era prossima che noi oggi maturi e adulti non vedremo applicata da loro. Buona meditazione per questi appunti di geopolitica.