Stiamo vivendo una stagione sociale e politica dove manca la base culturale per ragionare.


by Giovanni Carlini

Socialmente, politicamente e individualmente, ma anche nelle relazioni di coppia, usualmente litighiamo, discutiamo, ma ragioniamo poco; perché? Una dinamica di questo tipo avviene sopratutto sul piano sociale relazionando con gli altri. 
Basta solo accendere la TV dove in luogo delle idee e concetti assistiamo a eterni e costanti litigi tra fazioni. 

Dove sono i punti di vista e visuali che ci servirebbero per gestire la crisi (che pare avviata a soluzione, ma senza attenuazione del problema fondamentale: la disoccupazione!) Eppure in luogo di valori e opinioni, abbiamo solo discussioni e battibecchi con ripicche, vendette e minacce. 

Su questo dramma che ci tocca tutti (rapporti con il coniuge, i figli e “altri) per naturale evoluzione si giunge sul piano nazionale e collettivo.
Ad esempio la questione dell’ILVA.

Entrare nel merito della vicenda è complicatissimo: di fatto l’Italia (e non solo) resta scioccata da questa storia avviata 14 mesi fa.
Stringendo all’essenziale, anche per cercare di capire qualcosa, la magistratura avviò una procedura di responsabilità penale contro l’alta dirigenza, attaccando contemporaneamente anche l’azienda. Il governo Monti ridimensionò l’iniziativa salvando la continuità dello stabilimento.
Il governo Letta, con legge varata dal Parlamento in agosto, ha nuovamente permesso alla magistratura d’estendere la responsabilità dalle persone all’azienda.
Questo è il senso dell’accaduto. Come uscirne?

Non serve un altro decreto, ma un cambio di cultura e precisamente in ambito giuridico. L’aver esteso la responsabilità individuale e personale anche all’attività professionale o industriale è un errore concettuale.
Nel corso dell’estate, un’impresa totalmente dedita ad attività criminose è stata posta in liquidazione dalla magistratura. Si tratta del primo caso in Italia. Laddove questo esempio possa rappresentare la palese eccezione non va considerato estensibile, a discrezione del magistrato!
In queste ore, pare, che l’ILVA abbia adempiuto a un atto dell’organo inquirente che ha richiesto il fermo della produzione. Il dubitativo è necessario, perché non c’è affatto chiarezza. Che questo particolare sia vero o falso non cambia la sostanza.

L’Italia aveva delle imprese che funzionavano e oggi, tutto questo si traduce in 1400 nuovi disoccupati, oltre alla perdita di fette di mercato.
La Nazione oggi è “orfana” di una cultura del diritto che tuteli il Paese, le imprese e gli italiani. La soluzione del problema non risiede in un nuovo decreto come già fece il Governo Monti, ma in una revisione del ruolo del rapporto cittadino-Stato dove cessi il terrorismo fiscale in atto, si stabiliscano dei limiti di civiltà tra l’Agenzia delle Entrate – Equitalia – Guardia di Finanza – apparato della Giustizia e la vita della Nazione.

Tutto il resto sono cerotti su una ferita aperta; qui serve ricucire una 
fiducia spezzata. Ne consegue che non è più in causa la questione dell’ILVA, ma il nostro modo di vivere che oggi è danneggiato. Che poi il governo sia di destra o sinistra non importa, perché entrambi hanno contribuito a minare la base della relazione sociale.
Sarà possibile dal caso ILVA ricostruire la Nazione? E’ facile criticare “la classe politica” senza aprire un esame di coscienza individuale, privato e riservato.

Il governo non cambia, se non cambiamo noi. E’ vero che ora si apre la parte sociologica dell’articolo, ma non c’è alternativa. Imprenditori e disoccupati, studiosi e studenti dobbiamo chiedere al nostro partner (da soli non è possibile alcuna seria revisione nel carattere) o ai genitori se ancora giovani, un confronto dal tema: posso diventare una persona migliore?

Di fronte a questa domanda nasce un’idea, per cui essere migliori, significa, ad esempio, evadere di meno le tasse, anche se lo Stato non ha alzato la qualità modesta dei suoi servizi, ma vuol dire anche migliorare la qualità del proprio rapporto personale e privato in amore verso i figli e il partner, impegnandosi a saper riscoprire cose note, ma non assaporate alla luce della maturità (il tempo in scorrimento) che giorno per giorno si raccoglie intorno a noi.

Tradotto in parole semplici, quello che crediamo di conoscere, perché scoperto 25-30 anni fa, oggi è completamente diverso e resta ancora alla nostra portata, ma noi non ce ne rendiamo conto perché offuscati dall’abitudine e dall’eccessiva attenzione ai clienti che non pagano, alla commessa industriale che non matura e ai mercati che non vanno come vorremmo.

In pratica abbiamo una giusta (forse in eccesso) energia dislocata in un’area, normalmente professionale, quando trascuriamo quella strategia e fondamentale capace di renderci persone migliori. Il guaio è che la Nazione, adesso avrà anche bisogno di gran lavoratori, ma sicuramente sta cercando persone in gamba, cui affidarsi che non trova!

Abbiamo bisogno della “persona”, donna come uomo che sappia pensare, comunicare, assumersi le responsabilità, motivare, affermare, parlare altri linguaggi, animato da passione e vigore, quindi idee e concetti. Tutto questo è possibile, solo se il professionale è in armonia con il personale. Hanno sbagliato quelle teorie che hanno permesso che si spezzassero i due ambiti consentendo mezze persone.

Ci si chiede da dove sia emersa la crisi del 2008, dei subprime, come sia crollato il sistema di benessere faticosamente costruito dalla fine della guerra, fino a un erroneo concetto di globalizzazione.
Ebbene gli errori commessi, come quello di queste ore che annuncia un’uscita dalla crisi senza assorbimento della disoccupazione, nascono da un sistema educativo errato, appunto quello delle persone a metà.
Dalla crisi nazionale che si chiama ILVA e dai palesi eccessi della magistratura in lotta contro il Paese e l’interesse collettivo, potrà esserci un esame di coscienza per persone nuove?