Psicanalisi come livello di sensibilità che non è adeguato alla mia ricerca. Ho sempre vissuto con rispetto reverenziale e soggezione verso la psicanalisi, ma oggi dopo intense ricerche di cui un saggio è qui in copertina, non voglio più proseguire su questa strada di studio. Chiudo con la psicanalisi dopo le esperienze di ricerca condotte tra Cesare L. Musatti con il “Trattato di psicanalisi” e Nancy McWilliams autrice del libro “La diagnosi psicoanalitica”. Due testi fondamentali per vivere a capire, ma nei quali non mi ritrovo.

Grazie a loro mi posso ora indirizzare verso la psicologia clinica.

Il distacco dalla psicanalisi è dovuto a:

  • un eccesso di personalizzazione nelle teorie e oggettivamente un marcato eccesso nel numero delle stesse: il “primo” che si alza ne tira fuori una! Quando il pensiero è così frazionato e personalizzato, ciò è indice dell’assenza di una dottrina ed indirizzo da porre al servizio della persona;
  • in quest’ambiente ci si rivolge a “clienti” non a pazienti. Vuol dire che la persona decide autonomamente d’andare dal medico (psicanalista) utilizzato come un libero professionista ad uso e consumo del “paziente”. Il risultato è che i veri patologici sono “a piede libero” mentre coloro che stanno bene e hanno capacità economiche, utilizzano il terapeuta come una palestra;
  • la chiara ammissione che la psicanalisi non potenza il Sè ma lo indaga, motivo per cui non c’è sviluppo ma analisi. Questo passaggio è valido a patto che rappresenti una catapulta di lancio per raggiungere altri standard-livelli della personalità. Nella materia, al contrario si resta a livello di riflessione; interessante ma resta sterile non premessa di crescita;

Al posto di questo sport della personalità, quale si presenta la psicanalisi, l’attenzione diventa imperante se (nella mia ricerca di studio) rivolta a chi sta veramente male ed è ricoverato in un ospedale o comunque soggetto ad aiuto. Su questa ricerca del paziente, in luogo del cliente, l’approdo è la psicologia clinica.