I giovani

I giovani sono il futuro e se educati, anche un ottimo investimento per un mondo migliore, ma restano materia prima da formare e aiutare, affinchè evolvano in un qualcosa di comprensibile. Si tratta di un concetto semplice che è stato normalmente disatteso negli ultimi 25 anni, provocando importanti guasti.

Scendendo nei particolari, un posto di responsabilità in un’azienda non è possibile affidarlo a chi non ha almeno 20 anni d’esperienza di lavoro (sia dentro che fuori la realtà).

A conti fatti, se ci si laurea mediamente a 26 anni, (si stanno descrivendo posti di lavoro dove si decide la sorte e la fortuna delle imprese) la dirigenza è quella soglia da varcare sotto i cinquanta. Affidare importanti aspetti aziendali, a persone soggette a un ciclo evolutivo e formativo incompleto, comporta l’assunzione di rischi crescenti con il diminuire dell’età.

La globalizzazione ha comportato una modifica di questa regola, permettendo l’accesso a ruoli importanti a persone a ciclo formativo incompleto, da cui quegli esiti che conosciamo tutti. L’intero ragionamento parte da un bisogno di revisione delle norme e regole che hanno contraddistinto questo periodo di globalizzazione, essendone giunti alla conclusione subendo una lunga crisi in corso dal 2008 in Europa e dal 2006 negli Usa. Una caratteristica, tra le tante di questo periodo così superficiale, è stato l’aver modificato i tempi di maturazione nelle carriere, riducendone la durata.

Che forse un 35enne di oggi sia più maturo di uno di 30 anni fa, grazie all’uso di internet e facebook e di un rilassamento dei programmi scolastici come universitari, dove la laurea di 4 o 5 anni è stata contratta a 3? (fenomeno solo italiano)

Il ragionamento si fa complesso, antipatico ma necessario. Di fatto va riconosciuto come non ci siano segnali tali per cui l’intelligenza delle persone adulte di oggi, sia clamorosamente aumentata nell’arco di qualche decennio, tanto da poter affidare la direzione di un’area importante dell’azienda a un giovane anziché a un maturo.

Le persone in evoluzione andrebbero seguite in un iter formativo di decenni alle dipendenze dell’attuale management se questo fosse stato forgiato nell’esperienza, ma se gli attuali dirigenti sono dei quarantenni in carriera, che da tempo ricoprono ruoli di responsabilità, di fatto dov’è la formazione per le nuove leve?

Anche su questo aspetto c’è da ragionare. La crescita umana è fatta di nozioni o di maturazione interiore? Ovviamente da entrambe le componenti, quindi servono anni per imparare a capire, più che ripetere a pappagallo qualcosa che è scritto in un libro, appena letto, ma non sedimentato profondamente.

Questo scritto non è una apologia contro i giovani, ma un tentativo di rimettere ordine dove s’è perso. I deludenti risultati ottenuti dalla società occidentale, alla fine dell’esperienza della globalizzazione, dove ad esempio un biglietto aereo costerà anche poco tra Milano e Londra, ma ci manca il lavoro, come numero di posti impiegati, impongono la revisione e modifica di una classe dirigente che decide senza capire.

L’euro è stato progettato dimenticando le implicazioni nazionali. La globalizzazione è stata realizzata senza considerare le conseguenze sui posti di lavoro e il consequenziale impoverimento della società. Questo vuol dire decidere senza capire.

Come già accennato stiamo assistendo a un’era in corso di cambiamento; cosa resterà domani di quello che stiamo vivendo oggi?

Sicuramente irreversibile è ormai diventato il concetto di iter di carriera. Prima (fino agli anni Ottanta) la storia lavorativa individuale era sviluppata in una, due al massimo tre esperienze lavorative in aziende diverse, oggi è destinata a percorrere diversi settori merceologici e realtà operative, sia nella Pubblica amministrazione che nel privato.

Purtroppo a questo vagabondaggio d’esperienze (che migliora le persone nella loro crescita) va aggiunta la precarietà come caratteristica non più modificabile nella nuova economia. Ne consegue una ridotta propensione al consumo, matrimoni ancora più ritardati nel tempo, figli avuti in età più elevate rispetto alle precedenti generazioni, da cui genitori più “stanchi” e arrendevoli nell’educare la giovane prole. Tutto quanto appena descritto resterà vivo nei prossimi decenni (purtroppo) e così anche il difficile distacco dalla famiglia d’origine.

Se tutto questo non è modificabile, qualcosa però si può fare per correggere gli errori del passato: smettere d’assegnare compiti d’alta responsabilità ai giovani, intesi tali fino alla soglia dei quaranta anni. Concludendo: si spera che nelle imprese riparta un processo di selezione attraverso il quale non i figli dell’imprenditore o i giovani possano dirigere, ma solo attraverso un processo di maturazione decennale studiato appositamente per ogni singola azienda.