Gli americani, da mesi, stanno vendendo sottocosto sul mercato interno senza arrivare a chiusure d’attività.

Gli americani ci danno idee per analizzare meglio i Bilanci d’acciaio.

Gli americani e le idee nuova.  Quest’anno c’è stata una grande partecipazione d’imprenditori (dai 190 del 2010 ai 270 di questa terza edizione) nell’analisi che la Redazione offre ai suoi lettori su 3 aspetti:

– i risultati dei bilanci nel 2010 della categoria;

– prospettive per la conclusione del 2011;

– ipotesi sul primo semestre 2012.

Il mio interesse però è stato un altro: se in linea di massima tutti i presenti già conoscevano i dati esposti, il sentire confermata la tendenza da parte d’esperti e altri colleghi, modifica i criteri di gestione della rispettive imprese?

Con questa domanda provocatoria ho intervistato una trentina di partecipanti. Qui il comportamento è stato molto diverso. Chi mi conosce era divertito e ben volentieri ha detto la sua. Laddove altri non mi hanno mai letto, sono rimasti nel dubbio che una domanda così congeniata fosse uno scherzo, comunque hanno detto la loro anche se “sconcertati”.

Ebbene tranne un caso, tutti hanno espresso un ragionamento di questo tipo:

a) sono dati e tendenze che conosco ma apprezzo sentirli espressi da persone più autorevoli;

b) oltre a ricevere in forma ordinata quanto già noto, è interessante studiare i dati delle altre imprese con cui sono in affari;

c) non sono in grado di dire se la strategia d’impresa perseguita sino ad ora, possa modificarsi con queste conferme, in linea di massima si pensa di no.

Il personaggio che ha dato una risposta diversa è l’imprenditore Vettolato Enrico che dice: sono rimasto sorpreso dall’ottimismo generalizzato, perché dalla mia esperienza traggo dati e tendenze diverse. Se andiamo ad osservare, prosegue Vettolato, il comportamento di un certo numero di distributori nel vendere sottocosto la merce, la domanda che mi pongo è: per quanto tempo potranno proseguire così? Alla fine e questo sarà possibile vederlo entro la fine dell’anno o falliscono o cambiano strategia. Certo però che muoversi in questo modo è un segnale di pericolo per l’intera filiera.

Gli rispondo che gli americani, da mesi, stanno vendendo sottocosto sul mercato interno senza arrivare a chiusure di attività. Interviene l’imprenditore Gabrielli Andrea, lì presente, ricordando che questi temi saranno affrontati nel dibattito che segue alla presentazione dei dati di bilancio.

In effetti il dibattito ha alzato notevolmente il tono dell’incontro, perché si è spinto su argomenti nuovi e sui quali i presenti non erano pronti. Particolarmente “drammatico” (a mio modo di vedere) è stato quando il moderatore ha chiesto alla platea, chi stesse seriamente considerando l’ipotesi di un contratto in rete. Ebbene ha regnato il silenzio più assoluto, con nessuna mano alzata. Che brividi! Se mi è concesso dirlo, mi sono “sentito male”.

Ho sofferto nel constatare, ancora una volta, come il settore non sia capace d’unirsi, ma pronto a morire individualmente illuso da un eccesso di patrimonializzazione-speculazione, che ha arricchito, ma anche limitato le visuali degli imprenditori d’acciaio italiani. Il giudizio è duro, me ne rendo conto e mi scuso con i lettori, ma il mio compito è smuovere le coscienze di chi è arroccato su una falsa posizione difensiva dalla quale non ne esce, se non con una raffica di chiusure in effetto domino. Personalmente non concordo con la previsione ottimistica di un recupero dei lunghi nel 2012 grazie alla ricostruzione del Medio Oriente, perché una visione così strutturata non considera gli aspetti culturali. Su questo lato dell’analisi mi sento particolarmente impegnato perché sistematicamente trascurato da tutti.

Comunque i recenti sviluppi politici nel Maghreb, indicano una crescente importanza della religione, la quale facilmente potrebbe indirizzare le scelte commerciali più verso la Turchia che l’Italia anche se, per il momento, il cambio ci favorisce rispetto il competitor mediorientale e islamico.

Qui si potrebbe riaprire la riflessione sull’inconsistenza della presenza turca nella UE, in quanto la cultura e la religione dividono mondi opposti.

Tornando al convegno e concludendo, emerge da parte di tutti, il bisogno di riconoscersi in una categoria, in un clan dove “il già detto” sia ribadito e rinforzato. Questo non tanto per cambiare strategie la cui limitatezza è nota a tutti. ma per applicare il concetto che uniti si è più forti.

Purtroppo, aggiungo, questa mentalità andava bene negli anni Settanta-Ottanta, oggi al contrario, più che fare squadra e clan, serve maggiormente associarsi, fondersi, unirsi, contando meno sulla famiglia e di più su manager da cambiare spesso o sottoporre a intensi percorsi formativi per forgiarli, se li si volesse mantenere in azienda.

Insomma serve un mondo nuovo nell’industria siderurgica italiana. Buon lavoro.