Fascismo si e fascismo no nel post 25 luglio 1943. Perchè la guerra civile? La sera del 24 luglio 1943 la Casa Reale riprende la redini del Paese. Mussolini è arrestato e portato fuori Roma (verrà poi liberato dai tedeschi). Di fatto il fascismo, come era storica, si conclude ma così non è portando al Nord (ancora occupato dai tedeschi) la guerra civile. Perchè?

Fascismo come credo politico o modello di sviluppo? Scritto in maniera diversa, è fascista colui che segue un modello di sviluppo o perchè incarna un’idea precisa? Facciamo un esempio. La Democrazia Cristiana ha rappresentato un modello di sviluppo di successo del Paese. Quando per svariati motivi la DC si sciolse, gli elettori si divisero tra più partiti. Non ci fu alcuna guerra civile alla fine della DC! Quale allora la differenza tra essere fascista e democristiano? 

La risposta è contenuta in uno studio di Robert Conquest. Nel libro “Il secolo delle idee assassine”, a pagina 79 l’autore si dedica a Benito Mussolini. Cito testualmente: fu solo allo scoppio della Prima guerra mondiale, che Mussolini mutò un concetto fondamentale ai fini del partito. Non più identificazione della massa in una classe sociale, ma nella Nazione. A quell’epoca, Benito Mussolini era figura di spicco del socialismo rivoluzionario italiano. Sia Lenin sia Trockij considerarono Mussolini come l’unico che avrebbe potuto condurre una rivoluzione in Italia. Lo stesso Giovanni Gentile approfondì il pensiero di Mussolini divenuto nel frattempo fascista. Gentile scrisse: l’individuo si esprime più compitamente come parte di un’esperienza di massa. 

A questo punto l’identificazione dell’uomo nuovo, nei primi 40 anni del XX° secolo in Europa, (fascista, nazista e comunista) fu nella Nazione. Ecco la novità rispetto le democrazie.

Quando la Corona si riprese la guida della Nazione il 24 luglio sera, del 1943, finì il regime, ma non il fascismo. Essere fascista comportò sentirsi parte del problema di governo identificandosi nelle sorti della Nazione. L’individuo, nel suo umano limite, comunque volle reagire alla situazione “facendo vedere” la sua presenza e azione. Questo reagire per esserci e far vedere al mondo la fedeltà a precedenti valori, portò all’arruolamento nella Repubblica di Salò.

Questo meccanismo, valido solo al Nord d’Italia comportò complessivamente circa 100mila morti. I partigiani deceduti furono 47mila e altrettanto gli italiani della Repubblica di Salò. Impressiona osservare come i fascisti del sud Italia non reagirono alla fine del regime, mentre quelli al nord combatterono. E’ lecito pensare che il fascista del nord sia diverso da quello del sud? Comunque è importante una precisazione. Non è importante ai fini di questo studio quante persone morirono. Finti diverse offrono conti diversi. Che i morti furono 100mila o 200mila, in questa sede, non conta. Anche 1 sola persona deceduta, per questi motivi è un dramma se stiamo sprecando la vita umana. Scrivo queste parole perchè molti lettori di questo articolo si sono attaccati al numero delle vittime perdendo di vista il ragionamento sociologico più ampio. QUI NON SI DISCUTE QUANTI SONO I MORTI IN NUMERO PER PARTE. IL PUNTO E’ QUALE DANNO HANNO PRODOTTO ALLA NAZIONE MORENDO! 

L’Italia della ricostruzione sarebbe stata meglio impostata se avessimo avuto QUEGLI italiani attivi in più, anzichè morti. Con un processo di revisione storica, si sarebbe potuto restare fascisti tranquillamente, militando in un partito di destra. 

Quindi morti inutili? Nulla nella storia è inutile, ma certamente tanta tristezza, ora per allora, per un patrimonio di passione nazionale disperso. Le Nazioni non si risollevano con i cimiteri pieni.