Considerazioni che emergono dalle elezioni presidenziali in Francia

Considerazioni e comparazioni: a) la classificazione destra-sinistra ha perso consistenza. In Francia è stato votato il candidato socialista non perché espressione della sinistra, ma come anti-sistema, ovvero contro un modo di concepire sia l’Europa, rea di rigidità e d’aver lanciato una moneta senza struttura, che verso un concetto di Nazione spersonalizzato, privo di sensibilità verso i suoi stessi cittadini. In realtà il vero obiettivo, contro cui votare, non è il Sarkozy (che di colpe ne ha in abbondanza) ma ciò che lui rappresenta. Se l’antitesi all’attuale perdita di coscienza della Nazione si chiama Hollande, ben venga, indipendentemente dal suo “partito”. Questa linea di tendenza resta valida, anche se l’innaturale soccorso offerto dall’estrema destra al presidente uscente fosse confermato;

b) in merito al superamento della visione destra/sinistra ultimamente, nel nostro Paese, è curioso osservare come la sinistra si sia barricata in una battaglia di retroguardia sull’art. 18 della legge 100/70, inchiodandosi su concetti di trent’anni fa invertendo i ruoli con la destra. Solitamente la sinistra è la fazione più progressista, mentre la destra conservatrice. Pare che queste considerazioni siano ora superate. Preso atto dell’inversione di prospettive, il vero problema non è tanto nel considerare obsoleto il confronto destra/sinistra, ma nel non poterlo sostituire con altri schemi;

c) un anticipo di questa tendenza si è avuta a Milano un anno fa, dove pur d’allontanare il sindaco uscente si è votato senza convinzione di partito l’attuale. Oggettivamente la Signora Moratti non ha brillato nel suo ruolo, ma ciò raramente giustifica un plebiscito contrario come invece è avvenuto, perché hanno sempre dominato le logiche di fedeltà al partito. Un anno fa nessuno sospettò che la radicalizzazione politica avrebbe comportato un voto anti-sistema, come invece ora si manifesta in Francia;

d) ciò che c’è in contestazione, è un modo di vivere inaugurato dagli anni duemila giunto al capolinea. In realtà il malessere è dentro le persone. Questo male si chiama globalizzazione e delocalizzazione nei suoi risvolti sociali verso le singole nazioni occidentali. Sembrava che “fosse tutto facile e nobile” combattendo la povertà nel mondo consegnandogli la parte sporca del lavoro, mentre ci siamo accorti che abbiamo solo importato miseria nelle nostre case. Questo è avvenuto attraverso la disoccupazione a carico dei figli costretti alla coabitazione con i genitori, ritardando il matrimonio, l’indipendenza e la maturità. Quando questi ragazzi saranno finalmente genitori, avranno probabilmente un’età più avanzata per educare la prossima generazione. Sarà un bene?

e) nel 1978, i genitori erano più ricchi dei figli e le assunzioni erano a tempo indeterminato potendo costruire una famiglia e delle certezze su cui invecchiare. Oggi non è più così; stiamo forse meglio? Sempre a quella data l’India e la Cina valevano appena il 3,4% del Pil mondiale. L’Europa era stabile al 27,9% ma gli USA avevano perso 7 punti a favore del Giappone, pronto a soddisfare le nuove tendenze di consumo. La Cina per come la conosciamo adesso, “ha fatto il botto” nel 2009, confermando quanto sia immatura e gonfiata la sua presenza sul mercato mondiale. Questi pochi dati ci confermano come siano recenti quegli aspetti di globalizzazione e delocalizzazione, che ci appaiono certezze, da cui non ne capiamo la crisi, in realtà più che logica e annunciata dai ricercatori;

f) una grande ferita è stata inferta alla politica e alla democrazia in Italia. Le considerazioni espresse corrono all’attuale governo non eletto osannato a livello di “salvatore della patria”, quando solo ora ci si rende conto che non basta conoscere l’economia per dirigere una Nazione, necessitando un senso d’opportunità sconosciuto all’attuale esecutivo (ad esempio il rifiuto nell’ospitare i giochi olimpici a Roma ha rappresentato un mancato investimento in un’economia ferma). Fin qui sono i dati oggettivi, ma il problema nasce non individuando una classe politica dotata sia d’opportunità che di competenza. Manca una cultura di governo. Il rischio è d’affidarsi a leader occasionalmente eletti come anti-sistema;

g) il problema non riguarda solo le imminenti elezioni amministrative italiane e il probabile cambio alla Casa Bianca per novembre, ma un aspetto ancora più profondo e pericoloso. Quando i “contestatori” (noi tutti) ci accorgeremo d’aver spodestato una Cancelleria per erigerne un’altra, la delusione sarà grande. In pratica abbiamo politici non preparati nell’accogliere un cambio culturale di governo che salvi quanto di buono in questi ultimi anni, rivolgendosi ai valori di un’Europa delle Nazioni (De Gaulle)

h) Sul piano delle citazioni, va ricordato il teorema di Thomas: se gli uomini definiscono reale una situazione, essa lo è nelle conseguenze.

Conclusioni e considerazioni

Le ideologie dell’800 che così tanto ruolo hanno giocato nel 900, sono oggi rigettate perché se annulliamo il concetto di Stato-Nazione nella globalizzazione, abbiamo bisogno di nuove forme politiche. Al contrario, se recuperassimo lo spirito nazionale come appare probabile, rigettando gli eccessi da delocalizzazione, le precedenti formazioni ideologiche classificate tra destra-centro-sinistra non risponderebbero più ai bisogni. Servono forse partiti sovranazionali che sappiano interagire con le comunità nazionali, senza evolversi in carrozzoni. Certamente manca un quotidiano europeo, una tv europea, un respiro europeo, che sappia al contempo essere nazionale. Oggi la UE è estranea al tessuto sociale europeo, anche se rappresenta una prospettiva continentale interessante, al netto della colpa d’aver partorito una moneta unica praticamente fallita. Abbiamo bisogno di una nuova classe d’interlocutori che oggi non ci sono. Probabilmente andranno cercati fuori dal mondo della politica. Ecco perché queste note sono pubblicate su SIDERWEB.