Aperti al mercato internazionale in un’economia aperta quale condizione per lo sviluppo? NO! non è affatto così. L’approccio al mercato aperto è solo una conquista, un passaggio di un percorso evolutivo autarchico già avviato da decenni e consolidato.

Si perviene al mercato aperto solo dopo meditata scelta e consolidata azione d’apertura al di più, allo spreco e ai consumi alternativi; e certamente in regime di piena occupazione o similare.

Lo spunto proviene da un simpatico studente che lezione durante ha risposto, senza alcun indugio, che il mercato aperto è meglio di quello chiuso e autarchico.

Il ragazzo ha pensato che fosse “buono” solo quello che ha visto, illudendosi che si dovesse fare “in quel modo”; del resto è giovane per questo, gli manca l’esperienza della meditazione. Lo stesso studente aggiunge a fine lezione: m’impressiona constatare quanto ciò che ritengo scontato sia in fondo discusso e inizialmente applicato da appena qualche decina d’anni e questo mi spaventa molto!

La risposta è stata: stai maturando.

Le donne hanno un ruolo nella società, e in particolare e solo in quella Occidentale (il 10% del pianeta Terra) d’appena 103 anni. Che si discute d’omosessuali se malati o “sani” è dal 1976 quando la patologia fu cancellata dall’annuario delle malattie del genere umano, e così via.

La macroeconomia è in discussione dal 1936 e l’economia moderna ha conquistato dei passaggi importanti solo dalla fine dell’Ottocento.

Che i mercati debbano essere aperti è un ragionamento che ha una cinquantina d’anni.

Aperti al mercato internazionale? Si se!

Se si è in piena occupazione e tutti hanno un lavoro/reddito che consegni stabilità al benessere nazionale. Ancora si se i settori strategici dell’economia nazionale sono protetti e non scalabili in forma aggressiva da altri.

Potrebbe essere “si” se si volesse offrire ai cittadini un di più, maggiore scelta e spreco. Ovviamente il “si” non è affatto irreversibile, come la scelta di partecipare all’Unione Europea o d’aderire alla moneta unica.