Taccuino americano 9. Se non puoi parlare del presente passa al futuro – da Charlotte (North Carolina)
Seguo in prima persona la politica statunitense dai tempi di John Fitzgerald Kennedy. Kennedy fu un presidente espresso dal partito democratico, nei primi anni Sessanta. Ricordo con viva partecipazione anche il fratello, Robert. Nel 1968 Robert stava per diventare anch’egli presidente, ma fu ucciso da un palestinese. Infine, ancora nel 1968 non posso dimenticare le gesta mitiche e l’entusiasmo per Martin Luther King.
Non solo ma ho molto apprezzato, a suo tempo, il silenzioso lavoro di costruzione di una grande società (great society). Fu un progetto d’integrazione con i neri, svolto da Lyndon Baines Johnson. Purtroppo la figura del Presidente Johnson resta ancora appannata nel giudizio storico, dalla guerra del Vietnam.
Si tratta di nomi sacri, scolpiti nella storia recente del partito democratico americano. Con immenso rispetto guardo e studio con passione l’impegno di un altro presidente democratico: Franklin Delano Roosevelt. Considerato dalla storiografia prevalente come il padre della Patria, ancor oggi debbo “litigare” con qualche ignorante cittadino statunitense. La visione gretta ancora oggi viva non comprende il senso storico impresso da Roosevelt a tutto il mondo occidentale (la presenza attiva dello Stato nella vita civile del cittadino).
Di quanto detto (e non è poco) è tutto ciò che personalmente apprezzo dal partito democratico negli Usa. Oltre queste esperienze, il resto delle gesta e uomini del partito democratico, l’ho vissuto come espressione della superficialità dei tempi, comprese le due sofferte presidenze di Clinton (1993-2001) e quella disastrosa di Carter (1977-1981)
La storia recente del partito democratico americano finisce qui. Non ci sono altri nomi da ricordare dal 1933 ad oggi. Resta solo l’uscente 44° presidente Barack Hussein Obama II.
Cosa ci sarebbe da rammentare di Obama, oltre il clamore mediatico? Ecco il problema. Sono passati quattro anni, dove è stata vissuta una delle più drammatiche crisi economiche degli ultimi 100 anni. Nonostante ciò non sappiamo dire nulla di una presidenza.
Che la nuova politica sia attendere gli avvenimenti che si chiariscano da soli per intervenire? Non è il pensiero di Roosevelt, ma neppure quello moderno. La modernità si caratterizza per l’interventismo, specialmente dalla scoperta dell’America ad oggi.
Questo giudizio sulla presidenza Obama è condiviso anche dall’attuale inquilino della Casa Bianca. Infatti nel suo discorso d’accettazione del secondo mandato non ha parlato di quello che ha fatto, ma di quanto farà. E’ sembrato d’assistere alla Convention democratica di 4 anni fa alla prima nomina.
Ecco la grande sorpresa che emerge da Charlotte, alla Convention democratica. Non ci sono novità e bilanci. Forse Obama verrà rieletto o forse no, resta comunque un fenomeno mediatico da studiare. Il personaggio ha saputo manipolare la Nazione inculcandone entusiasmo e passioni, poi sistematicamente tradite dai fatti. Il sensazionale è che la delusione non l’ha travolto.
Ecco perchè il Taccuino americano 9, pagina 9 è importante. Narra di quello che nessun giornale vuole pubblicare. La condanna dell’America ad essere delusa.
Da queste parole potrebbe essere classificato l’attuale presidente come un’illusione emotiva? In effetti si, ma è ancora presto perché se ne possa scrivere sui testi di psicologia sociale, considerato il clamore che lo circonda, specie in Europa che ancora crede alle illusioni. È il frutto dei tempi, dove l’immagine conta di più della realtà. Stiamo discutendo di quella generazione di politici, manager e studiosi, che non hanno saputo “vedere” la crisi del 2008 e neppure reagire ad essa, che ancora oggi occupa le posizioni chiave del sistema economico nel vecchio come nel nuovo mondo. Si tratta di persone mature negli anni, ma non nel pensiero, che hanno varato l’euro ad esempio cercando anche di proteggerlo senza saper trovare alternative o ammettere gli errori commessi.
Si parla di chi ha fortemente voluto la globalizzazione che lo stesso Obama, nel suo discorso conclusivo se ne distacca, parlando di creare (nel futuro) nuovi posti di lavoro per produrre merci “made in America” rispetto allo smantellamento del manifatturiero, iniziato da Clinton e proseguito da Bush e Obama. Cadendo Obama nelle prossime elezioni (nessuno ci crede e sembra non possibile come evento) si pone in discussione un vertice di potere bancario, finanziario e aziendale in Europa come negli Usa, che persegue a credere nelle favole, in un mondo cambiato dalla forza degli eventi senza averne preso coscienza. Obama è stato figlio dei tempi e la sua ipotetica conferma, il segno che ancora non si è capito se usare il cervello o le sensazioni.