Osservatorio. Il quadro generale per l’industria degli stampi a cura del prof Carlini

La rivoluzione d’ottobre
Questo rapporto viene scritto a metà novembre 2010. Porre delle date oggi è più importante del solito perché stanno accadendo dei fatti in grado di capovolgere completamente delle situazioni che sembravano assodate. Del resto se vogliamo vivere nella globalizzazione dobbiamo abituarci alle velocità quale mezzo espressivo dell’evoluzione. Ogni cosa qui scritta non poteva essere pubblicata al 30 settembre e in ottobre ancora non era del tutto chiaro costa stesse accedendo. Casomai si poteva immaginare e così ho fatto per anni, scrivendo e discutendo di qualcosa che solo oggi è finalmente nota a tutti, perché liberamente pubblicata su ogni quotidiano del mondo. La fine della Cina per come la conosciamo oggi e il risveglio prepotente dell’America.

Il risveglio prepotente dell’America

Per spiegare nel dettaglio ogni cosa, si dovrebbe partire dall’11 settembre 2001, quindi dal calo negli afflussi di capitali sulle piazze finanziarie statunitensi e la volontà del Presidente Bush di limitare la dipendenza dall’estero in termini di finanziamenti, quindi al lancio di una nuova politica della casa negli USA per risollevare l’economia con 50 milioni di nuove case e villette. La traduzione bancaria di questo progetto si chiama sub prime.
Quanto è accaduto sia prima che dopo il 2008 è noto a tutti. Ciò che è però sfuggito a molti è il tracollo dell’attuale presidenza destinata a restare in sordina fino alle nuove elezioni di novembre 2012. In America ormai non si discute più se Obama sia stato solo una moda o abbia ancora qualcosa da esprimere, ma chi sarà il nuovo Presidente fra 2 anni: uomo o donna? Si pensa a una donna. Tutto ciò fa si che il Paese è praticamente governato dalla FED la quale per recuperare quel doloroso 10% di disoccupazione, ha lanciato una aggressiva e micidiale politica dei cambi.

La guerra dei cambi

L’America è malata di “made in China”. L’unico modo per limitare se non stroncare questo fenomeno è rendere più care le merci cinesi, il che comporterebbe il ritorno in patria di molte di quelle attività produttive che gli imprenditori americani hanno incautamente e frettolosamente de localizzato in Asia e in Cina in particolare.
La manovra che la FED sta svolgendo è quella d’abbassare in forme molto decise il cambio con il dollaro affinchè, per naturale tendenza e grazie a un’esagerata liquidità presente sul mercato, le altre valute (yen, real brasiliano, euro e quella cinese) siano costrette a crescere di valore, aumentando di fatto i prezzi delle loro merci, che così non sono più competitive sul mercato americano.
Tecnicamente la FED sta acquistando i suoi stessi titoli di stato, che pagando, gli consente d’ immette liquidità sul mercato. In questo modo s’abbassa il rendimento (interesse) sul dollaro a vantaggio delle altre monete, che si vedono di fatto essere più “apprezzate” stroncando i rispettivi export. Limitare così violentemente e rapidamente l’export di Paesi che fino al 30 settembre si sentivano i nuovi padroni del mondo (Brasile e Cina in primis) significa esporli ad altrettanto violente reazioni sociali interne, quindi instabilità sociale e rischio di collasso.

Il collasso sociale della Cina

Per anni questa frase è stata mormorata ma mai detta. Io personalmente l’ho discussa con il gotha dell’imprenditoria italiana, ma mi è stato sempre detto, in forma molto garbata, che se fosse stata discussa come ipotesi, “l’Ambasciatore cinese se la sarebbe presa”.
In pratica un’ipotesi di questo tipo, tutti gli economisti l’anno pensata, ma nessuno ha osato dirlo. Oggi è pubblicata su tutti i giornali, ma non perché uno studioso occidentale sia riuscito a discuterne liberamente senza censura applicata dalla stampa, ma per diretta ammissione del Governo Cinese.
Il 2 ottobre come il nostro ministro Tremonti ha direttamente e schiettamente chiesto ai cinesi di rivalutare la loro moneta, gli è stato risposto, dagli stessi cinesi, senza mezzi termini che una crescita inferiore all’8% in Cina, avrebbe provocato disordini sociali di una tale ampiezza, da porre in discussione la stessa sopravvivenza del Paese come oggi lo conosciamo.
Francamente, in tale ipotesi, l’unica realtà che scomparirebbe è l’attuale governo cinese che è ancora comunista e praticamente dittatoriale il che, a seconda dei punti di vista, non è considerabile necessariamente un male. Personalmente credo che se la Cina dovesse diventare un normale paese democratico, fra 50 anni potrebbe veramente essere una nazione leader nel mondo. Nell’attuale condizione è solo un pericolo per se stessa e gli altri.

In cosa consiste la novità

La novità non pensabile fino al 30 settembre e in ottobre è constatare quanto siano deboli le arroganti economie “promesse del futuro” (Brasile e Cina) e come sia invece molto forte quella Americana.

Come andrà a finire

Su questo aspetto ora è molto difficile muoversi. Sicuramente va presa in considerare la seria prospettiva di un robusto calo dell’export europeo verso gli USA e questo, a noi italiani importa non poco, perché è un danno. In fin dei conti, la conseguenza più diretta è un impoverimento della nostra economia, che opera non tanto sul solo mercato statunitense, ma risente in forma “facciale e diretta” di uno svantaggio di valuta.
Sul piano più generale, avremo un robusto potenziamento del mercato americano a danno degli emergenti, i quali affronteranno delle crisi economiche e sociali gravissime, ma per noi europei e italiani, sarebbe sbagliato non posizionarsi, in prospettiva futura, sull’unico grande mercato che ripartirà prima degli altri e meglio di tutti; gli Stati Uniti.

Perché questo è possibile negli USA e non in Europa

Vivendo negli USA alcuni mesi all’anno da diverso tempo, posso affermare che in America l’autocritica è possibile, a differenza di quanto accade in Europa. Vuoi per ragioni religiose che comportamentali, colui che afferma d’essere un alcolista, ad esempio e decide pubblicamente di non esserlo più, ha un suo aspetto e ruolo sociale, che agli europei la Scuola di Francoforte (il regno del pensiero nichilista) ha tolto. Per gli Americani aver veramente esagerato in tutto, negli ultimi anni e ora dire “basta”, si rincomincia da capo è un aspetto culturale compatibile con la loro storia.

Il punto di vista di uno stampista italiano: Scalici Alessandro

Devo ammettere che dopo aver ricevuto un punto di vista così ampio sul piano macroeconomico adesso ho più chiavi di lettura per capire quanto sta accadendo intorno a noi soffrendo, nel mio piccolo, una situazione abbastanza caotica.
Partendo dalla mia attività, dirigo una PMI (siamo 10 persone) vivo quotidianamente le situazioni più disparate proprio dai miei clienti, soprattutto quelli nuovi su cui lavoro in particolare, sperando d’acquisirli in forma stabile. Ebbene da questa categoria di persone e ditte, ricevo input che non vanno più di pari passo sui valori che abbiamo sempre posto in primo piano nel rapporto cliente – fornitore come stampisti italiani.
Qui purtroppo si sfocia nel solito luogo comune dove è solo il prezzo che distingue la qualità del lavoro, laddove nessuno più si preoccupa di capire che cosa ha in mano se non dalla targhetta del suo costo. Del resto proprio quest’ anno in occasione dell’incontro noto come Eurostampi si è tenuto un’ interessante incontro su come dare e far percepire ai clienti il valore degli stampi e del nostro lavoro. Nonostante ciò il mercato ormai va in una direzione direttamente proporzionale al fenomeno sempre più crescente del consumismo, con vita media dei prodotti molto bassa ; il tutto si traduce per noi terzisti in diminuzione di tempi e costi, pur mantenendo una qualità molto alta ( ma naturalmente poco riconosciuta in termini di euro)
Credo stia a noi, piccole imprese, riuscire a rimanere sul mercato riorganizzandoci internamente per poter produrre di più a parità di struttura e magari coalizzandoci in un pool d’aziende che collaborino per far si che almeno nel nostro paese arrivino richieste da parte dei nostri clienti che non siano più delle”forme di ricatto”derivanti da una battaglia sui prezzi combattuta tra noi stessi, fratricidi/stampisti. Naturalmente e purtroppo dobbiamo tener conto che saremo sempre soli perchè lo stato e le banche per le piccole imprese fanno e faranno sempre poco e niente.
Se le nuove tendenze portano ad approcci con paesi a basso costo, noi non siamo tra quelli ed insieme dobbiamo trovare il giusto modo per farlo percepire al mercato a patto che non ci sia un disegno strategico di trasformare il Paese in un call center.

Le tendenze delle materie prime

Acciaio

La tendenza di fondo è per un progressivo calo dei prezzi su tutto il comparto rispecchiando quella che è di fatto la prosecuzione della crisi economica. Secondo l’ultima rilevazione della Commissione Prezzi della Camera di Commercio di Milano, i prezzi hanno registrato diminuzioni comprese tra i -30 euro la tonnellata della treccia e del trefolo e i -5 euro la tonnellata delle travi, dei larghi piatti e dei laminati. Invariati invece, rispetto alla precedente rilevazione del 2 novembre, la vergella, il tondo, il trafilato a freddo e la rete elettrosaldata.
La vera domanda è per quanto tempo durerà questa tendenza? Per rispondere alla domanda ne nasce un’altra: perché tutti si sono dimenticati che gli economisti (categoria piuttosto squalificata ultimamente non avendo saputo prevedere quanto accaduto) indicano nel 2015 il termine dell’attuale turbolenza? Che serva così tanto tempo o meno non è questo il punto. Sicuramente per restare sul mercato è necessario cambiare sistema di lavoro, approvvigionamenti, tecnica di realizzazione e progettazione delle soluzioni, alleanze, sinergie, marketing, finanza ed infine mercati.