Settembre 2010 quali le tendenze. Osservatorio sull’industria degli stampi. Prof Carlini

Riferimenti a settembre 2010

http://www.toolox.com/surcharge.htm
http://www.lme.co.uk/
http://www.tokaicarbon.co.jp

Il quadro generale a settembre

Come il Presidente Giasini ricorda

In una recente intervista telefonica, concessa in esclusiva a questa testata STAMPI, il Presidente dell’Ucisap ci ricorda che: dare consigli in questa fase congiunturale è veramente difficile. Posso però indicare una tendenza (e anche auspicio) nel cercare d’affrontare la strada degli investimenti, del rinnovamento tecnologico e organizzativo. Ebbene su questa via abbiamo trovato nei fornitori un partner. Tra sconti, diluizione dei pagamenti e altro, si può costruire una vera e propria condivisione del rischio che quantificare è difficile, ma si aggira intorno al 20-30% dell’investimento in macchinari.
Con questo esempio si chiarisce un concetto: da soli, a livello di singola impresa, non possiamo fare nulla, serve sempre una “filiera” che coinvolga il produttore, lo stampista e in alcuni casi speciali anche il cliente, se di medie-grandi dimensioni. Ecco una ricerca di novità/innovazione che potrebbe darci una marcia in più, per contrastare l’attuale lunga fase di stagnazione.

Cosa fare in questo momento

C’è poco da girarci intorno, il quadro generale torna a rallentare. Finalmente, con candore, lo ammette anche il Presidente di Confindustria e quindi si apre il dibattito su cosa praticamente fare, per affrontare quella che negli USA è definita una seconda ondata della crisi.
A dire la verità, i ricercatori americani, quelli più audaci che seppero prevedere la crisi con mesi di anticipo, oggi parlano di “secondo colpo” ma solo per il continente nord americano e non per il resto del mondo e l’Europa in particolare. Questo aspetto è molto importante e va considerato in ogni direzione delle analisi sin qui svolte.
Il problema si complica quando nella ricerca economica intervengono anche i sociologi specializzati nei consumi e nei fenomeni umani connessi alla devianza (il consumo e la devianza comportamentale sono aspetti correlati) oltre agli storici dell’economia. Ebbene questi ricercatori affermano un concetto semplice: le attuali difficoltà non sono solo economiche, ma sociali. In particolare tutto non è scoppiato solo perché qualcuno ha smesso di pagare le rate del mutuo, ma le difficoltà sono dentro il sistema e non solo quello finanziario e industriale, ma nel modo di vivere per cui troppo si è speso, preteso e voluto. Se questo passaggio fosse vero o anche in parte condivisibile, dalla crisi non se ne esce con “vagonate” di investimenti pubblici (come fatto negli USA dall’attuale presidente) ma con una nuova sensibilità sociale e individuale.
Comunque, incidendo sull’anima delle persone si parla di tempi lunghi; in pratica di anni. In un contesto di questo tipo, osservato quanto la crisi economica sia stata affrontata solo con passaggi finanziari e limitati a questa sfera, la reale possibilità di una “ricaduta” che in gergo si chiama double dip è più che possibile. Inoltre, valutando la società europea più affetta da nichilismo e individualismo, rispetto a quella statunitense (valutazione personale ma fondata) l’idea che il secondo colpo impatti anche l’Europa è ritenuta credibile.
Se questo è il quadro macroeconomico e sociologico che emerge dagli ultimi mesi e settimane d’autunno, cosa dovrebbero fare le imprese? I consigli che seguono sono tratti da molte interviste particolarmente autorevoli che STAMPI pubblicherà nei prossimi numeri, a cui però tutti i lettori sono invitati a partecipare nel rispondere. Da qui emergono una serie di aspetti, per cui il quadro complessivo che ne emerge, non è “nero o bianco” e neppure grigio (vivere oggi è complicato) ma fa dipendere le sorti delle imprese dalla loro capacità d’innovare e inventarsi quotidianamente.

In pratica ecco alcuni consigli “strategici”:

– rivedere gli accordi con le banche e possibilmente sostituire capitale a pagamento di fonte bancario con nuovi investimenti di “tasca propria”, o accettando l’ingresso di nuovi soci in azienda. Ciò vuol dire allargare “la proprietà” dell’impresa ad altri, che possono essere i dipendenti (vedi esperienza tedesca, anni Settanta e Ottanta) o professionisti che hanno beneficiato dello scudo fiscale senza sapere ora non sanno come investire i loro capitali. Comunque nuove figure di privati che vorrebbero, ad esempio, trovare un posto di lavoro ai figli più che comprargli la casa. In questo caso non affatto ipotetico, potrebbe essere saggio pensare a una loro partecipazione nella compagine aziendale procedendo anche nel lavoro. Si tratta di un ragionamento che sembra limitato e residuale, ma che rientra nel concetto di fondo, per cui è opportuno “uscire” dall’indebitamento bancario o fortemente ridurne l’importanza al solo 2-2,5% del fatturato, rispetto alla normalità del 3-3,5%. Quanto è accaduto negli ultimi mesi su questo aspetto della gestione aziendale si è spinto fino al 4-4,5 e 5% del fatturato impegnato in oneri bancari, il che dissesta la finanza d’impresa!

– Seguire le indicazioni del Presidente Giasini;

– Aprire la formazione interna al personale dipendente (di tutti i tipi e specializzazioni) cercando attraverso questa via d’alzare la produttività. Sinora questo aspetto è stato limitato all’introduzione di nuove formule produttive attraverso macchinari e metodi di lavoro. Già negli anni Settanta la scuola di Mayo negli USA parlò di valorizzazione nella gestione delle risorse umane, ma non si è ancora avuta una rivoluzione in questo senso. Oggi si pensa maggiormente a scelte di questo tipo, attraverso il far sentire i dipendenti “orgogliosi” di essere parte dell’azienda per cui lavorano. Servono mille piccoli aspetti per ottenere ciò, tra cui l’esposizione della bandiera dentro il luogo di lavoro (vedi supermercati e aziende negli USA) quindi tesserini di riconoscimento con annessa foto. Dove possibile l’uso della divisa aziendale e quindi esposizione attraverso cartelli, degli aspetti gestionali più tipici del genere come evolve il fatturato mese per mese, l’organigramma con fotografie dei dipendenti, la formazione intesa sul piano umano, quale riscoperta delle regole di condotta in un clan. Ecco la nuove frontiera sul piano dell’innalzamento della produttività.

– Avendo accennato ai rapporti con le banche, i consigli del Presidente Giasini, alla formazione e produttività d’impresa, resta la ricerca e sviluppo. Tutti gli stampisti hanno dei macchinari che lavorano quindi ogni imprenditore potrebbe studiare soluzioni migliorative nell’uso dei propri mezzi tecnici. Questo significa ricerca e sviluppo “in casa” con propri soldi per l’azienda che si dirige. Anche se l’imprenditore non è un ingegnere o un creativo, può circondarsi di teste d’uovo, intellettuali, manager e consulenti, tanto da dirigere una sinfonia di creatività.

Alcune tendenze a settembre

Non è affatto certo che l’attuale livello di delocalizzazione competitiva e globalizzazione, che abbiamo sperimentato in questi ultimi anni, resti ancora nei termini così avanzati come li conosciamo. Gli USA hanno delocalizzato il 40% del loro manifatturiero e stanno tornando indietro, così la Gran Bretagna e la Germania, quindi qualcosa sta cambiando, correggendo gli eccessi che hanno prodotto una strutturale disoccupazione in Occidente.
Nel dettaglio le nuove tendenze sono ri-localizzare in Patria le attività produttive, specie se nel manifatturiero, correggendo però gli errori del passato. Questo significa che l’attività produttiva rientrata sul mercato nazionale al quale fondamentalmente si rivolge (quelle che furono delocalizzate per presidiare quei mercati in crescita futura, restano dove sono) adesso producono più opzioni dello stesso prodotto. Una base in grado di competere con il “made in China” per intendersi, offrendo così al mercato prodotti di base con manodopera nazionale, ma al contempo permettere anche la scelta su una media e alta gamma come solitamente già fatto. Con questa strategia di “modulazione del rapporto prezzo-qualità” la stessa realtà ri-nazionalizzata può offrire al consumatore una gamma di scelta che prima gli era negata.
Qualcuno osserverà che il costo del lavoro tra il made in china non è comparabile con il made in italy per le solite questioni fiscali, infatti il costo medio di un’ora di lavoro in Cina è di 1,73 euro contro quella nazionale di 8,1 ma è qui che interviene la ricerca & sviluppo, consentendo ai nostri macchinai e soluzioni di dare di più a parità di tempo impiegato. Se questa tendenza non fosse confermata, come già avvenuto in tanti contesti nazionali e occidentali, avremmo già chiuso.
Concludendo, non basta giustificarsi affermando che una mano d’opera sotto dittatura costa di meno di una in regime di democrazia, per lasciare i nostri operai disoccupati e gli imprenditori orfani d’iniziativa.

Le tendenze delle materie prime a settembre

Acciaio

La quotazione a settembre non è cambiata nel prezzo. Infatti in termini di valore alla vendita dai 424 dollari per tonnellata delle billette al 28 settembre del 2009, al 2010, stessa data, il suo valore è pari a 425. La tendenza grafica registrata al LME indica un progressivo recupero del prezzo sul lungo periodo. La motivazione di questo orientamento risiede anche in aspetti climatici. Le eccesive piogge, causate dal monsone estivo che hanno colpito le piantagioni di caucciù nel Sud Est Asiatico, hanno ridotto la produzione. Il suo prezzo in settembre è sceso anche del 15% rispetto al massimo sofferto in aprile. Su questa tendenza da ottobre i produttori di pneumatici giapponesi e americani, aumenteranno i listini di vendita fino al 6% in più, lasciando intravedere una “crisi da eccesso di prezzo” anche sulla plastica.
Ora il punto non è, se anche questa materia prima è destinata a soffrire come i metalli di base per eccesso di prezzi da speculazione, ma in quanto tempo l’attuale fiammata verrà smaltita.