Prima i clienti venivano da noi adesso dobbiamo andare a cercali. Prof Carlini 

Il punto

Qualcosa è cambiato. Seppur il 2010 si è concluso meno peggio, rispetto a come ci si poteva aspettare, non solo il 2011 ma l’intero quadriennio fino al 2015, è destinato a restare “turbolento”.
Le motivazioni che mantengono problematico questo secondo decennio del nuovo secolo, non si limitano solo alla “crisi finanziaria ed economica” in atto dall’estate 2008.
In realtà è cambiato il modo stesso di fare affari, di produrre, di chiedere le merci e d’interfacciarsi sul mercato. Si può dire, con poche parole, che è stato avviato un cambio generazionale nel gusto delle persone per il consumo di beni e servizi.
Il difficile non è capire questi concetti, ma stabilire le nuove regole. Ecco il punto. Nessuno ha in mano, in questo momento, “la formula” per capire cosa dire, fare e produrre per restare sul mercato con un tornaconto, tale da assicurare una crescita nel tempo.

I fallimenti

Chiudono 30 imprese al giorno. Nel 2010 i fallimenti sono cresciuti, rispetto al 2009, del 23% raggiungendo le 8.000 dismissioni nel solo periodo gennaio-settembre.
Perché si fallisce? Leggendo i dati del Cerved (informazioni professionali per le imprese) emerge che chiudono l’attività soprattutto imprese del settore industriale. Infatti l’incidenza dei fallimenti sul comparto (definito Ir, “insolvency ratio”) ha toccato quota 31,7 (calcolato su 10mila imprese) che non ha alcun confronto con gli altri settori produttivi attestati su un indice di 13,9.
La motivazione del dissesto, in linea di massima, sapendo che non è mai un dato a se stante, ma il concorso di molti, risiede in pregresse problematiche finanziarie già in essere a giugno 2008 che oggi, a due anni di distanza sono diventate ingovernabili tanto da distruggere l’azienda. Non siamo ancora pervenuti, con numeri importanti, a dissesti motivati dalla sola crisi economica, benché molti comparti lamentino cali di fatturato del 60 come 50 e quindi 40, 30% avvenuti nel corso del 2009 e 2010. In realtà, oltre questa impostazione, si può affermare che la chiusura di un’impresa è sostanzialmente dovuta a un’oggettiva incapacità di relazione con il mondo esterno. Il riferimento corre al non sapersi spiegare, affermare, dire, scrivere, comunicare verso potenziali clienti, fornitori e in genere al mercato. Molte imprese di questo settore ricevono email e messaggi per interviste o richieste di diverso genere, comunque per presentarsi o non rispondono per nulla o se ci riescono, si muovono con un ritardo tale, che ormai sono “outside” (fuori mercato). Aspetti di questo tipo, rilevati con continuità nel tempo, esprimono un modo di “fare impresa” che si può sintetizzare parafrasando il titolo di questo studio: prima ci venivano a cercare, ora dobbiamo imparare noi stessi a relazionare con il mondo, pena una grave caduta nei fatturati e conseguente scomparsa.
Concludendo questo passaggio critico, è inutile girarci intorno al problema. Il mercato è cambiato. Le regole non ci sono note. Chi non intercetta i bisogni dei clienti, proponendosi quale soluzione “al problema”, è destinato a scomparire. Il fallimento non è mai un evento traumatico che colpisce “di botto” un’impresa (se qualche volta accade, non è comunque la norma). In realtà fallisce chi non ha investito il 4% del fatturato in spese commerciali ad esempio, (diffondendo le motivazioni per cui esiste e agisce) chi non si è dotato di un piano di marketing per immaginare l’azienda a 6,12,18 mesi monitorando a 30 giorni lo sviluppo del fatturato. Chi non è capace di svolgere la funzione di ricerca e sviluppo, avvantaggiandosi anche dei fondi nazionali e comunitari stanziati per questa vitale necessità, in grado di fare la differenza tra “noi e loro”. Elencando ancora le maggiori deficienze delle PMI italiane e di questo settore, il fallimento è più facile per chi non sa usare la TAM (tendenza annua mobile) ovvero il controllo mensile degli ordini in raffronto agli ultimi anni e quindi la contabilità industriale per il monitoraggio interno dei prezzi. Privi di questi strumenti applicati e capiti nel loro ruolo ed essenza, che futuro ci sarebbe?

L’intervista

Domanda: grazie per aver concesso quest’intervista alla testata STAMPI del gruppo editoriale Tecniche Nuove Spa. Può descriverci la vostra società?

Daniela Actis Dato: La M.C.T. s.r.l. nasce da una prima ditta artigiana individuale fondata nel 1994 da Vittoria Actis Alesina. Questa realtà si occupa di montaggio per conto terzi di particolari in plastica, specie nel settore tessile (bastoni tende, ecc.). Con il passare del tempo l’azienda cresce e nel 2002 diventa l’attuale M.C.T. s.r.l., a cui fanno capo la Signora Vittoria e il Signor Piero Actis Dato, amministratori delegati, e in cui entrano elementi importanti come il figlio Alberto e il cugino Mauro, entrambi impiegati tecnici.

Domanda: siete iscritti all’Associazione di categoria UCISAP?

Daniela Actis Dato: Non siamo iscritti all’Associazione Ucisap perché lavoriamo molto per “conoscenza”, vale a dire che i clienti sono legati a ciò che rappresentiamo tramite un rapporto di fiducia e collaborazione che dura da anni. Gli stessi pubblicizzano il modo di lavorare che ci contraddistingue ad altri operatori, che così entrano in contatto con la nostra realtà. Diciamo che la pubblicità per noi è il passa-parola, che si è sviluppato tra la clientela.

Domanda: cosa ne pensate del 2010 sotto il profilo lavorativo?

Daniela Actis Dato: Il 2010 è stato un anno sicuramente migliore di quello precedente (da dimenticare!). La ripresa c’è stata, perché i nostri clienti continuano a investire nell’attrezzatura, garantendo così una produzione futura (infatti avendo anche il reparto di stampaggio, oltre all’attrezzatura, si produce congiuntamente il prodotto in materiale plastico)

Domanda: come vi state organizzando per il 2011?

Daniela Actis Dato: Come ogni anno, il 2011 si apre con alcuni punti interrogativi, dovuti soprattutto all’impossibilità di pianificare gli ordini, poiché essendo conto terzisti, le commesse che riceviamo raramente sono di lunga durata (vale a dire non oltre i 2 mesi). I nostri clienti sono generalmente PMI, per cui anche il loro lavoro si muove su queste tempistiche.

Domanda: a un anno particolarmente difficile come il 2011 state applicando delle procedure più audaci e il fattore umano come lo considerate?

Daniela Actis Dato: Per il 2011 ci stiamo organizzando in modo diverso rispetto agli altri anni. In particolare il nostro sforzo principale è indirizzato verso la stesura di un piano di marketing, strumento a noi quasi sconosciuto, ma che abbiamo osservato essere molto utile in altre realtà concorrenti. Non siamo tanto propensi a un discorso di internazionalizzazione, perché rappresentiamo una PMI artigiana senza prefissarci come obbiettivo, un allargamento di tipo industriale. Certo in futuro sarebbe interessante aprire un nuovo ramo d’azienda, per quel che riguarda il reparto di assemblaggio. In merito alla difesa del posto di lavoro, considerando il fattore umano una ricchezza per l’ impresa, non perderemo alcuna unità, ma non siamo neppure in grado di assumerne altre. Relativamente alla componente interinale, delle nostre maestranze, manterremo i rapporti con l’agenzia con cui collaboriamo.

Domanda: può spiegarci come il vostro lavoro di stampisti si sviluppa?

Daniela Actis Dato: Come già accennato la M.C.T. s.r.l. non produce prodotti propri, ma lavora per conto terzi. I maggiori clienti si rivolgono a noi, perchè abbiamo come punto di forza la polivalenza. Proprio per questo l’impresa è stata strutturata su 3 reparti. Il primo è di progettazione e realizzazione stampi in acciaio, a cui segue quello applicato sulle presse per stampaggio e costampaggio di materie termoplastiche, e infine l’ultimo reparto dedicato al montaggio. Di solito colui che ci fa progettare e realizzare lo stampo, sfrutta la possibilità di provarlo direttamente sulle presse che per noi sono delle Battenfeld e Arburg (ne siamo orgogliosi). Inoltre se c’è la necessità d’assemblare questi particolari o lavorarli diversamente (su rettifica, centro di lavoro, trapano, ecc.) possiamo farlo su richiesta, avendo il know how necessario. I prodotti che ci vengono maggiormente richiesti sono di piccole dimensioni, mentre per quelli che le nostre presse non sono in grado di supportare, ci affidiamo a aziende esterne che non vestono i panni della concorrenza ma, al contrario direi che rivestono il ruolo di sani collaboratori attivi nel nostro settore.

Domanda: com’è strutturata l’ impresa?

Daniela Actis Dato: La M.C.T. s.r.l. è una piccola-media impresa artigiana costituita da 18 dipendenti e da due soci amministratori. Mediamente il fatturato ruota intorno al milione e mezzo, due milioni di euro all’anno (eccezion fatta per il 2008). Pensiamo, grazie al piano di marketing di poterci spingere definitivamente nel range tra i due e 2,5 milioni di fatturato.

Domanda: può darci un ordine di grandezza del vostro lavoro?

Daniela Actis Dato: Se dovessimo dividere in percentuale le lavorazioni che sviluppiamo per la nostra clientela, direi che il 40% del lavoro proviene dalla progettazione e realizzazione di stampi, l’altro 40% dallo stampaggio vero e proprio di materie termoplastiche, mentre il restante 20% dall’assemblaggio.

Domanda: in merito al concetto internazionalizzazione vi siete già espressi, ma possiamo chiedervi se avete mai avuto contatti fuori dai confini nazionali per capire se un’azienda di questo tipo può interagire anche con l’estero?

Daniela Actis Dato: Per quanto riguarda l’internazionalizzazione, abbiamo avuto esperienze con clienti in Asia, per la precisione in Cina e quindi in Europa con la Francia. Diciamo che oltre a questi eventi sporadici, la nostra attività non ha una spiccata propensione nel cercare lavoro sul mercato esterno all’Italia, perché, come già detto, per scelta strategica e aziendale vogliamo comunque rimanere in una nostra dimensione, senza passare al settore industriale che ci impegnerebbe anche finanziariamente, oltre le nostre possibilità. Crediamo ancora in una dimensione del lavoro per vivere. In ogni caso, non restiamo agnostici al nuovo e alle sue implicite necessità, accogliendo tutte le domande di collaborazione e opportunità che possono provenire da clienti, anche se collocati all’estero. In questo modo, valutato il lavoro, se trovassimo dei margini, ovviamente procederemmo senza indugio.