L’era dell’incertezza. Studi.



Sicuramente “L’era dell’incertezza” è un titolo abusato e utilizzato ampiamente come titolo di diverse opere di riflessione, ma anche terribilmente attuale in questi giorni.
Cosa abbiamo imparato o che considerazioni originali è possibile fare dalle recenti elezioni politiche? Per non sovrapporsi a ore di diretta televisiva che tutto hanno già scandagliato, le grandi novità che emergono potrebbero essere così sintetizzate:
a) la Nazione esprime un importante bisogno di un leader non in transito, bensì carismatico (ecco spiegato il successo di Silvio Berlusconi);
b) emerge una profonda insofferenza a un’adesione acritica nella UE (indicata dal 30% del PDL e dal 25% del Movimento 5 Stelle, che produce una netta maggioranza nel Paese);
c) inoltre, si tocca con mano un feroce rigetto delle rigidità di governo impostate su una crescita senza sviluppo e occupazione. Su questo passaggio ci sono interi partiti scomparsi dal panorama politico (è il caso dell’UDC, che paga l’appoggio al Governo Monti) e un importante ridimensionamento del ruolo e funzioni godute dal precedente presidente del consiglio;
d) si registra il rinnovo di un’esperienza di grande contestazione allo stile della politica italiana, come che fu nel 1946 per il Qualunquismo e, via via, incarnato da tanti altri movimenti che si sono poi divisi, sgonfiati e scomparsi, l’ultimo è quello del Di Pietro, in quanto privi di un’oggettiva alternativa se non limitata alla mera protesta chiassosa di piazza.
Sicuramente ci saranno altri passaggi cruciali, ma questi bastano e avanzano. Va anche ricordato come le situazioni d’instabilità, per loro natura non possono restare tali sul lungo tempo. La Grecia ad esempio non è instabile sul piano politico, ma a causa di una prolungata crisi economica. Le crisi economiche (e sociali) possono protrarsi anche per decenni (vedi il Giappone) ma in un quadro di stabilità politica.
Quando tre anni fa scrissi “L’Italia non è la Grecia ma quasi” mi riferivo a un rischio di stagnazione economica sul lungo periodo, in una modestia di gestione politica. Con ciò desidero “rincuorare” il Paese sul vero rischio, che resta più economico che politico. Non so quanto sia consolante, sicuramente mancano all’appello statisti di un livello tale (Cavour, Giolitti, De Gasperi) da saper gestire la Nazione, presentandosi con un profilo oltre il singolo partito, interagendo con l’intero paese.
In questo contesto il mondo delle aziende a chi si è rivolto? Probabilmente si è equamente suddiviso tra i partiti, restando orfano di una non scelta di governo, quale oggi si profila. Al di là delle alchimie parlamentari, quale effetto della legge elettorale, resta un’ipotesi di governo non qualificata a governare, perché motivata da una maggioranza troppo ridotta per essere credibile. Cosa si fa ora e le aziende come si devono comportare?
In assenza di punti di riferimento, la vita diventa difficile oltre quanto già avvenuto dal 2009 ad oggi. Il consiglio pratico (forse brutale) da offrire in discussione, in questo momento, è quello d’attenuare la confusione e solitudine attraverso una più intensa vita associativa.
Mai come in questo momento l’associazione di categoria diventa rifugio e slancio. Il riferimento è per la Confindustria e ogni altro ambito di ritrovo per imprese.
Serve anche leggere con attenzione la stampa di settore, divorandola in ogni consiglio e punto di vista. Quando quasi tutto si modifica intorno a noi (compresa la Chiesa romana) serve la compagnia, ovvero un ritrovo per riordinare le idee e ricostruire una capacità di risposta ad eventi che non si capiscono nella loro evoluzione.
Non si tratta tanto di fare del bar o club per imprenditori preoccupati, al contrario l’associazionismo è una risposta alla solitudine da assenza di scelte.
Non basta più augurarci buon lavoro, serve incontrarsi più frequentemente per stringersi la mano, stipulare contratti in rete, ascoltare, capire, agire.