Il discorso del Capo del Governo italiano, Alcide De Gasperi (1881-1954) alla conferenza di pace per il trattato conclusivo al secondo conflitto mondiale (in corso tra il 29 luglio 1946 e il 10 febbraio 1947)

Prendendo la parola in questo concesso mondiale, sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica d’ex nemico, che mi fa considerare come imputato e l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione.

Non corro io il rischio d’apparire come uno spirito angusto e perturbatore, che si fa portavoce d’egoismi nazionali e d’interessi unilaterali?

Signori, è vero: ho il dovere innanzi alla coscienza del mio paese e per difendere la vitalità del mio popolo, di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico, antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universalistiche del cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire.

Ebbene, permettete che vi dica con franchezza che un alto senso di responsabilità impone in quest’ora storica, a ciascuno di noi, questo trattato che nei confronti dell’Italia è estremamente duro; ma se esso tuttavia fosse almeno uno strumento ricostruttivo di cooperazione internazionale, il sacrificio nostro avrebbe un compenso: l’Italia che entrasse, sia pur vestita dal saio del penitente, nell’Onu, sotto il patrocinio dei Quattro, tutti d’accordo nel proposito di bandiere nelle relazioni internazionali l’uso della forza in base al “principio della sovrana uguaglianza di tutti i membri”, com’è detto allo stesso articolo, tutti impegnati a garantirsi vicendevolmente “l’integrità territoriale e l’indipendenza politica”, tutto ciò potrebbe essere uno spettacolo non senza speranza e conforto. 

Il discorso prosegue.