Economia come materia in evoluzione sdoganandosi dalla matematica che seppur elegante non ha risolto in problema di capire cosa accade.

La rivoluzione nella percezione della realtà in economia; gli economisti comportamentali. 

Studiando il mercato nazionale, emerge “un qualcosa che manca”. L’assenza coglie l’intero mondo del lavoro, in particolare Occidentale. Il riferimento è a una nuova mentalità di comprensione del fenomeno economico. 

L’economia, la mentalità economica è ancora “fredda”, nel senso che parte dal presupposto che il consumatore sia un homo oeconomicus. Una premessa errata, che trascina con sé un intero impianto volutamente mischiato con la matematica quando dovrebbe essere “umano”. 

Le persone non calcolano la derivata della curva di domanda per scegliere tra l’acquisto della carne o del pesce al supermercato!

L’assenza di un quadro economico di riferimento valido, manca nell’intero sistema industriale, finanziario e socio-economico a livello globale.

L’ambizione è quella di riuscire a riunire temi specifici di altre discipline come l’organizzazione aziendale, innovazione, gestione del personale e benessere  con l’economia. Questo per raggiungere un unico punto di vista.

Va anche riconosciuto che tale miopia di valutazione è stata già ampiamente studiata da diversi studiosi di economia, tutti premi Nobel. 

Negli anni Settanta e Settanta l’inizio della ricerca fu avviato dal prof. Hebert Alexander Simon 1916-2001, economista, psicologo e informatico. Simon fu un ricercatore eclettico capace di spiegarci il concetto d’intelligenza artificiale, l’elaborazione dell’informazione, il problem solving e la teoria dell’organizzazione nei sistemi complessi. Non solo, il prof. Simon riuscì nella simulazione virtuale al computer del concetto di scoperta scientifica. 

Il premio Nobel all’economia per il prof. Simon fu assegnato per lo studio dei processi decisionali nelle organizzazioni economiche.

Sulla strada aperta da queste ricerche, altri professori ed economisti si sono avviati.

I pionieri italiani del cambiamento sono i professori Albero Alesina dall’ateneo di Harward e Guido Tabellini dall’Università Bocconi, contemporanei a Daron Acemoglu del Massachusetts Institute of Technology.

La nuova area di studio, almeno dal MIT, riguardò le interazioni tra le strutture istituzionali e i processi di crescita e sviluppo. Si tratta di argomenti inizialmente non pertinenti all’economia, come quelli del prof. Richard Thaler di Chicago sull’economia comportamentale. 

[1]

L’insieme di questi primi studi e tendenze, formò la political economics nella traccia della Social Choice fondata dal prof. Kenneth Arrow. Un docente, quest’ultimo, che ricevette il premio Nobel nel 1972 grazie al teorema dell’impossibilità.

Un via di ricerca, successivamente approfondita nella già citata Public Choice di Gordon Tullock e James Buchanan, premio Nobel 1986. Fu questa la base per il passaggio successivo, grazie ai professori George A. Akerlof e Robert J. Shiller, che formalizzarono il loro lavoro nel testo “Spiriti animali” – come la natura umana può salvare l’economia– pubblicato nel 2009. 

L’insieme delle ricerche qui accennate e i successivi ultimi 4 premi Nobel all’economia (2017-2016-2015-2014) assegnati a degli psicologi, economisti comportamentali, anziché economisti puri e matematici, segna una svolta.

L’ultimo premio Nobel all’economia è stato consegnato nel 2017 al già citato prof. Richard Thaler dell’Università di Chicago. Si tratta un premio che ha fortemente deluso gli economisti classici, quelli matematico dipendenti, oggi in estinzione. 

Certamente l’affermazione degli economisti comportamentali sta cambiando il mondo. 

Gli avanguardisti sono, oltre i già citati insegnanti, anche i docenti Robert Fogel, Daniel Kahneman e Elinor Ostrom.[2]Molte riflessioni su questo tema e tendenza della modernità, sono maturate sul quotidiano economico italiano Il Sole 24 Ore in più puntate dal titolo “Processo all’economia” nell’autunno del 2017 e primi mesi del 2018.

In Italia tra i più innovativi il prof Luciano Pilotti. Nel suo spingersi oltre i precedenti ricercatori, approda certamente alla psicologia del comportamento economico, per contrastare la macro e micro economia neoclassica. Questo primo “approdo” rappresenta la base comune per tutti i nuovi ricercatori dagli anni Settanta a oggi, criticando la razionalità degli agenti e le scelte troppo logiche su cui basare i modelli economici. 

Come ben spiegato negli articoli pubblicati sul Sole 24 e qui già citati, ci sono dei passaggi importanti sui quali meditare. 

Il 14 ottobre 2017 Il Sole 24 Ore, in prima pagina, a firma del Signor Alberto Orioli viene pubblicato il seguente articolo: Una “spinta gentile” agli economisti per innovare la disciplina. 

L’articolo esordisce con un passaggio che per la sua chiarezza espositiva merita la citazione, anziché solo il riportare il concetto con altre parole. Il signor Orioli afferma che: In pochi anni il Premio Nobel per l’Economia è stato assegnato a quattro economisti comportamentali, vale a dire gli scienziati economici più inclini a contaminare la loro disciplina con la psicologia.

La razionalità dell’homo oeconomicus, a tratti presentata come assoluta, si apre a un’idea d’umanità perfettibile, magari guidata non solo da sistemi binari, incentivo-disincentivo, rischio-opportunità, ma innervata di sentimenti, di ansie, di nevrosi, di errori di percezione, di entusiasmi. Che spesso fanno la differenza. 

Una sensibilità di questo spesso cambia la storia del pensiero in economia.

La nuova tendenza aperta almeno in Italia dal Prof. Pilotti, i prof. Michele Moretto, Nunzio Cappuccio e Cesare Dosi dell’Università di Padova è di tipo marginalista. Significa che la “nuova economia” si dovrebbe fondare su variabili endogene anziché esogene.

Mi spiego. La psicologia comportamentale e sperimentale (ecco il punto di incontro di ogni riferimento di studio) si concentra sul reale comportamento degli agenti influenzati dalle vicende della vita, ma non va oltre.

Le nuove tendenze invece considerano, in forma prevalente, le esternalità.

Su questo versante c’è oggettivamente una sopravalutazione dell’aspetto ecologico, inteso in senso ambientale, probabilmente utilizzato più per un richiamo d’attenzione sulla nuova tendenza disciplinare come del resto l’intera problematica ecologica ne risente. Oltre questo aspetto, che comunque l’economia classica non considera, il vero valore delle nuove sensibilità in economia coglie l’organizzazione-organigramma aziendale. Quindi gli spazi di lavoro e le relazioni interne. 

Va segnalato un paradosso a titolo d’esempio.

La produzione attuale di beni alimentari è calibrata su 12 miliardi di persone quando il pianeta Terra è abitato da meno di 9 miliardi, di cui una parte importante (i 2/3 dei terresti) soffre la fame. Non solo, un’altra parte è obesa. Con queste dimensioni emerge una problematica che va oltre “la fame nel mondo” cogliendo visioni oggi da superare. 

Idee bellissime che richiedono però un sostegno economico: chi finanzia questo tipo di visione di riequilibrio tra risorse e consumo nel mondo e di allargamento della visuale dal macro a micro comportamentale?

Ecco che la funzione dello Stato, inizialmente svilita nella prima versione della globalizzazione, torna ad avere un ruolo molto importante. I fondi che attualmente sono gestiti dai piani di accumulo pensionistici gestiti dal mondo contributivo-assicurativo e quindi anche quelli pubblici, ovvero quel denaro che non deve rendere conto immediatamente all’azionista, rappresentano una risposta iniziale.

Ecco dove la nuova ricerca si distanzia dalla psicologia comportamentale.

Più in generale, l’insieme di questi “altri” ricercatori e decenni di studio, spinge verso la differenziazione tra il concetto di crescita come aspetto qualitativo dello sviluppo economico anziché riferito alla dimensione quantitativa. Tradotto vuol dire più qualità che quantità senza con ciò ricadere nel vizio dei ricchi che desiderano poco per distinguersi dagli altri.

Un’economia che studi un miglior piano di distribuzione del benessere anziché la concentrazione apicale verso classi ricche e agiate da tassare a beneficio dello Stato.

Parole gravi e complesse ma quelle che contribuiscono a ridisegnare lo Stato come partecipazione alla società anziché gara al successo.

Perché in Italia ci sono 3,5 milioni di disoccupati italiani? Come mai non sono state tassate quelle imprese che hanno delocalizzato? Sono tutti quesiti che meritano non solo risposte, ma un diverso paradigma di ricerca e analisi.

Come non sono tassate le imprese che hanno prodotto disoccupazione in Italia e Occidente, così anche gli aspetti ecologici di qualità dell’ambiente vissuto, sfuggono alla responsabilità d’impresa. Su questo tema il passaggio all’industrializzazione delle energie alternative è rapido. Ebbene sul tutto manca un programma di riflessione e studio che si chiama “teoria economica”. 

Siamo privi di un modello con il quale confrontarci con la mutevole realtà. Orfani di una teoria per capire e ragionare, il mondo moderno resta esposto alle violente crisi sia metereologiche sia finanziarie ed economiche.

Detto in termini più diretti e semplici, negli ultimi 250 anni l’economia si è impegnata a contare “le cose”, trascurando la qualità della vita di chi ci lavora e vive dentro alla società e a chi sono destinare quelle “cose”. 

Dal contrasto tra quantità e qualità spuntano e si riconoscono le emozioni delle persone che non sono più riconducibili al solo homo oeconomicus,che già tutto sa e decide in perfetta coerenza di principi e valori. Non solo, ma le persone (quelle che esprimono sentimenti) lavorano nelle imprese che non registrano a bilancio la qualità delle loro maestranze. 

Ci sono gli estremi per aprire un nuovo fronte: l’organizzazione nevrotica. Il riferimento è agli studi del prof. Manfred F.R. Kets De Vries, psicanalista e al prof. Dabby Miller sulla crisi dell’impresa capace di ammalarsi come avviene alle persone fisiche. Quali cure per la patologia organizzativa? Ecco che la nuova economia, cogliendo trasversalmente (in forma interdisciplinare) più assetti concettuali, tutti intorno all’uomo e alla donna, tenta una risposta mai data a un quadro così complesso e articolato. Un quadro che non vuole però più essere incastrato in eleganti equazioni e schemi analitici di una matematica priva di contatto con la realtà.

Da qui nasce una severa critica alla scuola neoclassica che s’incarna in agenti razionali in mercati perfetti, quando però la realtà non è così rappresentabile. Infatti le ricorrenti crisi e depressioni dal 1873 al 1929 fino alla più recente del 2008 (ancora in sviluppo) confermano l’immaturità del pensiero economico classico così formato negli ultimi 250 anni. 


[1]Il Sole 24 Ore del 17 ottobre 2014, pagina 11, articolo “Una scienza rigorosa e curiosa” a firma di Francesco Trebbi

[2]Il Sole 24 Ore pagina 1, articolo di spalla del 14 ottobre 2017 articolo “Processo all’economia”