La crisi di comunicazione nella filiera dell’acciaio

La crisi di comunicazione è qualcosa di serio perchè indica una frattura. Una rottura tra produttori e distributori e quindi consumatori. Qualcosa sta cambiando e in peggio. I margini di redditività e l’operatività stessa del settore acciaio in Italia e nel mondo sono destinati a contrarsi. Per trovare nuovi scenari, molti industriali e operatori del settore si sono riuniti a Brescia per due ore di ragionamenti in comune

Un convegno “d’emergenza” svoltosi a Brescia lo scorso 13 giugno si è aperto con un titolo inequivocabile: “Emergenza materie prime” che tradotto sarebbe la crisi di comunicazione del settore.

La presentazione dell’incontro è proseguita specificando come la volatilità del rottame, del minerale, del coke e gli influssi sulla filiera dell’acciaio è ormai diventata “assurda”, registrando incrementi di prezzo come minerale di ferro: +86%, carbone: +219%, rottame: +100%. In soli cento giorni (da marzo a giugno), il settore siderurgico ha dovuto fare i conti con un’esplosione senza precedenti dei costi degli input produttivi e con una volatilità divenuta ormai strutturale. Questa tendenza sta contagiando anche i prodotti finiti. In un momento di estrema incertezza e tensione sul mercato, nasce il bisogno d’incontrarsi per contarsi, ascoltarsi e sentire i diversi punti di vista.

Gli interventi sono stati molto autorevoli e particolarmente approfonditi, anche se concentrati in appena 2 ore. Comunque va notato un fatto singolare e a tratti impressionante: le principali relazioni che hanno caratterizzato l’incontro sono rimaste focalizzate (direi barricate) soltanto nella disamina del proprio settore, totalmente incuranti delle ricadute sul mercato finale. In questo modo, non è stato affrontato il problema di fondo definibile come il collasso del mercato. Le uniche affermazioni in tal senso si debbono alla sensibilità dei commerciali che, nel finale di incontro, hanno ricordato come i loro acquirenti non accettino aumenti di prezzo superiori al 3%, il che significa una contrazione drammatica dei margini di redditività aziendale (in pratica sono sull’orlo della chiusura). In questo modo il convegno, pur confermandosi un momento di riflessione indispensabile, che andrebbe replicato almeno per semestri, ha offerto due conclusioni:
– non viene offerta alcuna risposta operativa, al grave momento che attanaglia chi vive di vendita del prodotto al consumatore finale;
– ufficializza la spaccatura, anche drammatica, tra produttori che interpretano i prezzi crescenti, come ulteriori margini di guadagno e gli operatori commerciali schiacciati tra un mercato che non recepisce e la miopia di chi fabbrica.

Chiarito come si è evoluto questo “dialogo tra sordi”, i grandi filoni che sono stati affrontati nei più interventi sono stati l’elettrosiderurgia, il rottame e la filiera dell’acciaio.

Sul primo ambito di ricerca c’è stata una relazione molto ricca presentata dal gruppo Stemcor, che si è interrogato come il prezzo del ferro, coke e carbone influisca sugli ingredienti del forno elettrico, senza però offrire spunti di risoluzione al problema della difficile commercializzazione dei prodotti siderurgici in Italia. Analiticamente, descrivendo le materie prime per l’elettrosiderurgia, il gruppo Stemcor inizia con la ghisa a cui segue il minerale preridotto (DRI-HBI) e le dinamiche del rottame. Ecco cos’è emerso in merito alla ghisa: questa è senza dubbio un prodotto da altoforno, per questo collegato direttamente al minerale ferroso, al carbone e al coke. Nel 2008 dovrebbero essere prodotte circa 950 milioni di t di ghisa, nonostante la maggior parte venga destinata all’autoconsumo del singolo produttore. C’è poi un commercio globale di circa 20 milioni di t: è prevista una piccola riduzione delle esportazioni dal Brasile, causata da una carenza di carbone e da colli di bottiglia nella logistica dei porti. L’attesa è anche per un forte calo nell’export dalla Cina (dati i dazi posti sull’export), anche se è prevista una crescita dell’export dall’India, che dovrebbe coprire buona parte del vuoto creata in Estremo Oriente dall’assenza della Cina.

Attualmente ci sono forti indiscrezioni che la Russia, a breve, possa imporre dazi all’export sulla ghisa (e sul rottame) che avrebbero un sicuro forte impatto sulle loro esportazioni. Viste le componenti della ghisa, ad esempio minerale ferroso e coke, è chiaro che quest’anno il costo di produzione della ghisa sarà spinto rapidamente verso l’alto, soprattutto in funzione del costo del coke. Con 5-600 kg di coke richiesti per 1 milione di t di ghisa prodotta, ci si può rapidamente aspettare che il prezzo del coke (salito a 600 o 700 dollari per tonnellata metrica) avrà un immediato impatto sul costo di produzione della ghisa.

Un punto della situazione sul DRI-HBI

La produzione annuale di DRI è di circa 70 milioni di MT (1 MT rappresenta una tonnellata metrica ovvero 1.000 kg. Per una migliore comprensione delle unità di misura utilizzate e tipiche di questo settore, si ricorra al sito: http://en.wikipedia.org/wiki/Ton ) dei quali circa 12 commercializzati (ovvero ciò che non è destinato all’autoconsumo dei produttori). Di questo volume, circa 5 milioni di MT sono spediti via mare. Storicamente, il consumo di HBI da parte dell’elettrosiderurgia è stato inferiore al 70%, ma recentemente si è visto una particolare scarsità di rottame di alta qualità che ha aperto le porte, negli ultimi 18 mesi, ad un maggior utilizzo di “sostituti” come l’HBI.
La produzione di HBI-DRI non è basata sul carbone o sul coke, così non è esposta ai suoi rincari. Tuttavia, quest’anno la produzione è scesa drasticamente, soprattutto in Venezuela (il più grande produttore) dove la capacità è al 55% a causa della carenza di pellet DRI. DRI-HBI sono stati colpiti duramente anche dal maggior costo dei noli marittimi, ancora una volta molto forti in Venezuela dove la minor navigabilità del fiume Orinoco ha inciso sui traffici. I nodi dell’offerta e dei maggiori costi della logistica, hanno gonfiato i prezzi per la consegna di DRIHBI nonostante ci sia una spinta rialzista della domanda, dovuta anche al rincaro anche delle materie prime alternative.
Commentando in generale il mercato della ghisa e del DRI-HBI, per il 2008 si pensa a una ristretta disponibilità, almeno fino al quarto trimestre dell’anno. Oggi, per esempio, molti dei produttori di ghisa in Brasile e di produttori di HBI in Venezuela hanno carnet d’ordini carichi fino a settembre.
Cosa si vede sul rottame

Il rottame è un prodotto diverso, nel senso che non è un “da miniera”, come il carbone o il minerale ferroso, e neppure è “prodotto” come la ghisa o l’HBI. Per questo, misurare le riserve e l’offerta di rottame nel mercato è una questione di stime piuttosto che di dati scientifici. In particolare va precisato:
Rottame domestico – generato negli impianti siderurgici, conta circa 162 milioni di MT nel 2007. Grazie ai miglioramenti nell’efficienza, questo dato dovrebbe rimanere lo stesso anche nel 2008 o diminuire leggermente nei prossimi anni.
Rottame Nuovo – prodotto principalmente dai processi di manifatturiere poi indirizzato alle acciaierie. É stato stimato che i volumi di questa categoria di rottame siano approssimativamente di 190 milioni di MT l’anno. Il rottame nuovo come quello derivante dalla demolizione delle autovetture, ha registrato una domanda eccezionale quest’anno.
Rottame Vecchio – generato dalle “obsolete riserve di rottame ferroso” che non è altro che il consumo passato di acciaio. È un dato particolarmente difficile da misurare, ma le stime sono per 330 milioni di MT nel 2008 con circa 70 milioni di MT commercializzato.
Cercando di capire cosa ci sia dietro la drammatica salita dei prezzi, va notato come nel caso della ghisa e del DRI-HBI, si possano identificare sia la crescita dei costi che le difficoltà produttive come i fattori tipici del rialzo dettati dalla loro ristretta offerta. Nel caso del rottame, la bilancia domanda-offerta è difficile da pesare, soprattutto a causa della quasi impossibilità di valutare le scorte di “rottame vecchio”. In genere a primavera, quando il tempo migliora, demolizioni e trasporti sono attività più semplici da compiere e l’offerta tendenzialmente cresce.
Nel 2008 potrebbero esserci forse più volumi e, di conseguenza il prezzo del rottame potrebbe restare fermo. Guardando alla domanda di rottame, va innanzitutto riconosciuto come la domanda siderurgica sia ancora forte. Va notato l’andamento del mercato turco (il più importante del mondo in questo settore) dove i 5 maggiori destinatari sono cambiati rispetto ad alcuni anni fa. In precedenza, gli USA erano il maggiore porto di destinazione per i turchi, ma oggi la posizione è occupata dai paesi mediorientali.
Ciò riflette non solo la debolezza del dollaro, ma anche il ruolo crescente di altre economie nel mondo. La domanda di rottame non è influenzata solo dai prezzi dei prodotti siderurgici lunghi, ma anche dall’andamento dei piani che, seppur prodotti da altoforno hanno lo stesso la capacità d’influenzare la crescita dei prezzi del rottame. Va tenuto presente che sempre più prodotti piani si producono proprio dal forno elettrico. Negli Usa ci sono oggi 7 forni di questo tipo che producono piani e in tutto il mondo, Italia compresa, questo è un fenomeno in espansione. Infatti, in Cina esistono veramente pochi altiforni costruiti negli ultimi anni anche se pur a causa sia di fattori ambientali, che dell’alto costo e sviluppi tecnologici molto impegnativi e connessa manutenzione, il forno elettrico resta capace di produrre quasi tutte le tipologie di acciaio.
In particolare, i Paesi del CIS hanno assistito a un aumento della capacità produttiva da forno elettrico, portando a una crescita dei consumi interni di rottame e a un decremento delle esportazioni. Le esportazioni russe di rottame sono scese di 5 milioni di tonnellate dal 2004 al 2007, nello stesso periodo quelle dell’Ucraina di 1,7 milioni di tonn.
Grazie alle maggiori capacità produttive da forno elettrico, ci aspettiamo che questo trend sia destinato a continuare e a accelerare anche nel caso in cui l’ipotesi di dazi imposti dalla Russia dovessero concretizzarsi. Il vuoto creato da meno rottame proveniente dell’area CIS sarà sostituito, per mercati chiave come quello turco, da quello proveniente dall’Europa e dagli USA. Certamente, un aspetto importante di questa inversione è che i prezzi CFR, per la Turchia, sono maggiormente influenzati dal mercato dei noli marittimi per i viaggi più lunghi dal Nord Europa e dagli Usa, piuttosto che dal Mar Nero alla Turchia. Per di più, il forte mercato dei noli ha avuto un vero effetto reale sul mercato internazionale del rottame.
Un altro aspetto della maggior produzione di prodotti piani da forno elettrico è la maggior domanda di rottame di alta qualità, il “rottame nuovo”, come definito in precedenza. Questo tipo di derivato ha avuto una salita vertiginosa nei prezzi. La quotazione mensile dei pacchi generati dalla demolizione delle autovetture in Usa, ha visto progressi tra i 100 e i 150 dollari/st considerando che questo mese (giugno 2008) i dati non sono ancora stati annunciati ufficialmente. Si precisa che “dollari per st” sta per short ton, unità di misura comunemente utilizzata in questo settore dove 1 US ton è pari a 2.000 pounds ovvero 907 kg circa.
La ragione per cui anche qui i prezzi stiano salendo non è chiara, sebbene le anticipazioni lascino prevedere ulteriori incrementi compresi tra i 50 e i 100 dollari/st. il che porterebbe a quotazioni intorno ai 750-800 dollari/st. Per di più, nello schema generale del mercato dell’acciaio, e anche nel mercato dei prodotti lunghi, si nota un “premio” per i rottami di migliore qualità, per poter garantire una produzione più efficiente e tempi più corti tra una colata e l’altra. Ci sono poi casi in cui anche l’altoforno, se a corto di pellet, ha accresciuto la percentuale di rottame nel mix e, anche quando non sono a corto, utilizzano più rottame per approfittare del forte mercato dell’acciaio.
Nel completamento dell’analisi qui commentata e offerta dalla Stemcor si rammenta come il commercio di rottame sia influenzato anche da altri aspetti che sono:

– Container per spedizioni. I rottami inviati via nave, in forma convenzionale (senza container) sono diventati da anni del tutto impraticabili per gli elevati costi dei noli marittimi tanto che negli ultimi anni si è assistito a una vertiginosa salita delle spedizioni di rottame solo mezzo container. È difficile dare dei precisi numeri a riguardo, ma è in atto un cambiamento nelle esportazioni inglesi utilizzando in forme più decise i container di ritorno da India, Pakistan e Far East. Si vocifera che l’India, da sola, importi 400-500 mila t di rottame ogni mese. Tale trend ha portato molti fornitori di rottame a raggiungere questi mercati. Precedentemente, erano obbligati o a vendere sul mercato domestico o erano limitati dall’accesso ai porti.

– Concentrazioni. La concentrazione è una nuova attività nel mercato del rottame. Quest’anno è stato registrato come Sims Hugo Neu abbia rilevato Pacific Coast Recycling in California, aggiungendola alla precedente acquisizione negli Usa di Metals Management, assicurandosi il primo posto al mondo come produttore di rottame. Il risultato di questa serie di accorpamenti e di altri è che le acciaierie statunitensi ora controllano il 45% del loro mercato di rottame ferroso.

Le conclusioni a cui perviene lo studio

Nonostante il recente boom del mercato sia stato determinato sia da una “domanda in tiro”, che da una “offerta pressante”, è chiaro che molti fattori si sono combinati tra loro per determinare questo spettacolare effetto. Chi, sei mesi fa, avesse predetto, con convinzione, le condizioni di mercato attuali? L’IISI prevede una crescita della domanda di acciaio nel 2008, nonostante una buona parte di questa avvenga nelle regioni in via di sviluppo. Ci sono poi deboli segnali di ricostituzione degli stock, in quanto i buyers non stanno comprando più di quanto si consumi.
Per questi segnali è possibile pensare che il minerale ferroso, il carbone e il coke rimarranno stabili per il resto dell’anno, oltre una continua tensione nella disponibilità di ghisa e di DRI-HBI.
In fine, si prevede che anche il mercato dei noli rimanga stabile. L’economia mondiale potrebbe essere colpita negativamente dalle problematiche dell’economia USA e la crisi finanziaria potrebbe avere un reale impatto sulla capacità, da parte delle acciaierie e dei consumatori, di far fronte alle elevate quotazioni. Mentre tutti i prodotti hanno conosciuto una buona crescita, alcuni hanno registrato performance migliori. In particolare, la ghisa e il “rottame nuovo” hanno raggiunto prezzi superiori rispetto alle quotazioni medie delle altre categorie di rottame.
Allo stesso modo, l’impennata del prodotto finito è stata superiore rispetto all’oscillazione delle materie prime. Una dinamica di questo tipo non era mai stata rilevata sino a ora.
Probabilmente questo gap potrà essere colmato, tanto che la nuova domanda da porsi sarà chi subirà ancora impennate di prezzo e chi invece tornerà su valori accettabili? Un elemento chiave è la disponibilità di scorte di “rottame vecchio”. Oggi, la discussione sulla “emergenza” delle materie prime crea panico e incertezza, anche se va notato come i fornitori di materie prime si stiano muovendosi in un buon mercato, ma lo stesso discorso vale anche per i produttori di acciaio i quali potrebbero soffrire nel caso in cui le quotazioni delle materie prime cominciassero a rallentare, pur se il mercato ne potrebbe finalmente beneficiare. Sintetizzando: il bene di uno non è quello dell’altro. La speranza è che l’emergenza possa essere ben gestita dalle parti coinvolte in misura controllata pena la fine di un sistema.
Terminato questo intervento, il tema centrale del convegno viene ripreso dagli organi istituzionali: Federacciai e Assofermet.

Per Federacciai occorre un nuovo “modello”
Grazie al presidente di Federacciai, Giuseppe Pasini, si è potuto incastonare la “questione rottame” in un panorama più macroeconomico. «Il comparto produttivo – ha spiegato – ha capito ormai da 5 anni l’importanza di adeguare la produzione all’andamento della domanda, come misura in grado di tutelare la redditività e di salvaguardare il mercato». «Oggi, per quel che riguarda i prodotti lunghi, rileviamo una domanda interna non molto forte», ha continuato Pasini, «ma è un fattore ben compensato dalla crescita della domanda estera, specie dei Paesi dell’area del Mediterraneo, come quelli africani, e del Medio Oriente». «Anche se la domanda dovesse rallentare la produzione saprebbe come reagire».
Guardando al rottame, Pasini ha proseguito: «La produzione è stata abile nel ribaltare l’incremento dei costi produttivi sul prezzo di vendita dei prodotti finiti. Non c’era altra strada». Per quanto riguarda poi l’impennata del prezzo del rottame, «non lo ritengo essere una cosa irrazionale perché tutte le materie prime hanno visto un netto apprezzamento. Si pensi al petrolio, al gas ed allo stesso minerale ferroso. Il rottame, semmai, è stato l’ultimo, per ordine cronologico, a rincarare. Per il futuro non mi aspetto una riduzione del costo delle materie prime perché la domanda globale di acciaio, come anticipano le proiezioni dell’IISI, crescerà ancora». Per questo «dovremo adottare un nuovo modello di acquisto e di vendita delle materie prime, abbandonando l’ottica di breve periodo e guardando sempre a ciò che avviene fuori dal nostro mercato nazionale».
Sposando questa visione ad ampio spettro, si tocca il tasto del minerale ferroso. Bolla speculativa?, si è domandato Pasini. Chiara la risposta: «Credo che in un mercato oligopolistico sia evidente la possibilità di pigiare sul pedale della speculazione. Il fatto è che le regole del gioco non sono più dettate da noi, e neppure dall’Europa o dagli USA».

Per Assofermet Rottami occorre più dialogo nella filiera
Una filiera più sistemica e coordinata non solo è possibile, ma prima di tutto è auspicabile. Questo, in sintesi, il messaggio che Romano Pezzotti, presidente di Assofermet Rottami, ha voluto lanciare alla platea nella quale sedevano rappresentati di ciascuno degli anelli della filiera dell’acciaio. «È un fatto innegabile che le quotazioni del rottame abbiano concretizzato un’impennata tale da spingere i prezzi al raddoppio nell’arco di soli 3 mesi. Determinarne una sola causa è praticamente impossibile». «Un fatto determinante del nuovo assetto», ha continuato Pezzotti, «è la rivoluzione dei flussi internazionali di rottame. Si è instaurato, praticamente, un nuovo paradigma del trading. Oggi, infatti, Cina e India sono diventate idrovore in grado di intercettare grandi quantità di rottame, deviando verso Est gran parte dei flussi. Per non parlare poi della Corea che sta acquistando rottame praticamente ovunque».
Necessario, dunque, adottare una mentalità più aperta che vede i confini nazionali come una semplice linea di delimitazione geopolitica non esautorata da poteri commerciali. Nulla di più di questo. «Ora anche il rottame italiano può prendere la strada dell’esportazione e gli operatori nazionali possono guardare ad un orizzonte più ampio su cui muoversi». Una tale vastità, però, potrebbe esporre sempre più il mercato nazionale del rottame – e di conseguenza dell’acciaio – alla volatilità della piazza globale. Per questo auspico che ci possa essere più dialogo lungo l’intera filiera. È un passo necessario per contenere la confusione. Solo con un aperto e onesto confronto tra le parti eviteremo pericolosi e troppo rapidi squilibri».
Al termine, finalmente la voce degli operatori del mercato addetti alla commercializzazione del prodotto. Da loro e solo da questi (purtroppo) emerge il motivo fondamentale per cui molti, se non tutti sono convenuti a Brescia. Come gestire un mercato che non accetta un certo prezzo quando questi crescono senza una apparente logica?

Per gli utilizzatori l’anello finale è in pesante sofferenza
Una necessità commerciale e industriale oppure una visione miope poco propensa a guardare agli interessi – e alla sopravvivenza – dei clienti? A detta degli utilizzatori di acciaio, “soffocati” dai pesanti rincari dei prodotti siderurgici, la filiera a monte – dalle acciaierie ai commercianti e centri di servizio – non presta attenzione all’impatto che i rialzi dei listini hanno avuto sull’attività della manifattura.
«C’è un intero mondo – ha detto a gran voce Franco Tamburini della Sidertam (è anche presidente di AIB, Associazione Industriale Bresciana) – che vive comprando e lavorando acciaio. Oggi è in affanno e lo è ancor di più nei confronti della committenza quando esposta a lavori di lunga durata». «Facciamo tutti parte della stessa filiera che lavora per far crescer il nostro paese. Per questo la siderurgia dovrebbe domandarsi più spesso quali siano le ricadute delle loro operazioni sugli utilizzatori».
«Auspico – ha detto un portavoce della Gatti Precorvi – che la siderurgia possa realmente organizzare un tavolo di discussione nel quale studiare i problemi concreti che attanagliano gli utilizzatori. Abbiamo grandissime difficoltà nell’acquisto e sentiamo la mancanza di un momento di serio confronto. «Di fronte a noi – ha continuato – non ci sono altre strade per l’approvvigionamento perché siamo costretti a navigare a vista, acquistando di giorno in giorno senza una politica sistemica». «Non so più che parole usare per spiegare al mio cliente il perché il prezzo del nostro prodotto sia aumentato».
C’è amarezza nelle parole di un rappresentante della ICI Caldaie, secondo cui «il risultato finale è quello di una domanda in calo». «Cosa possiamo fare noi utilizzatori per frenare il rallentamento della domanda in un conteso in cui l’acciaio costa sempre più caro? Cercare materiali in grado di sostituire l’acciaio. Noi siamo impegnati nella ricerca di materiali alternativi, ma la siderurgia non ci affianca in questo progetto che potrebbe portarci ad utilizzare una nuova qualità di acciaio meno costosa».
«Da tempo – è intervenuto Aberto Zerbinato di ICI Caldaie – cerchiamo con difficoltà di non gravare di ulteriori costi i nostri clienti perché non dimentichiamoci che, per poter proporsi a alcuni rami della clientela – i nostri listini non possono essere ritoccati che di pochi punti percentuali. Alcuni miei clienti, ad esempio, non accettano rincari superiori al 3%».
Concluso il convegno, la “corsa” è stata per la partita di calcio gentilmente offerta dagli stessi organizzatori. Ma quante partite ancora ha il nostro mercato prima di collassare? Non si tratta di sterile pessimismo o peggio di allarmismo. Quando il mercato è preda di un signore qualsiasi che si reca in banca e compra (attraverso i fondi) “10 barili di petrolio” ad esempio, per rivenderli entro il fine settimana, senza neppure sapere che odore ha il greggio, per godersi il guadagno pagandosi il conto della trattoria, questa non è forse speculazione? Laddove il bisogno di pagarsi la trattoria si moltiplica ai generi alimentari e ai soliti metalli, ormai vittima di questo giochino dal 2003, siamo forse giunti al capolinea, ovvero al collasso del mercato. Cosa fare? In una parola (come se fosse semplice) abbandonare i prodotti soggetti a incrementi di prezzo non motivati, ridurre al minimo le scorte, dilazionare, annullare o ridurre gli acquisti, ricercare prodotti o soluzioni alternative, discriminare e isolare i produttori che non sono trasparenti nella formazione del prezzo e tenere duro per non chiudere mantenendo il mercato, sapendo che in una condizione di estrema fragilità come questa, chiunque dotato di ingenti capitali (i russi ad esempio o anche i cinesi se fossero organizzati) potrebbe spazzare via centinaia di imprese e operatori italiani in un colpo solo. Ecco a cosa ci ha portato il disinteresse dei produttori verso le ricadute sul mercato, la speculazione e una globalizzazione che adesso ha bisogno di regolare un mercato sino a ora eccessivamente libero.

Prime conclusioni
Lasciando il convegno, è d’obbligo una domanda a un dirigente della società Siderweb che ha organizzato e permesso l’incontro: ritiene che questo convegno abbia centrato gli obiettivi per cui si torna a casa senza neppur aver messo a fuoco i problemi? Marco Taesi risponde: «Non sarei così drastico, tengo a precisare che è la prima volta che si siamo riuniti in una sorta di assise generale per discutere dei nostri problemi. Molte cose sono ancora da fare e preparare. L’idea di lanciare ciò che ho appena definito come “gli stati generali dei produttori e distributori” di acciaio ci ha immediatamente travolto a livello di adesioni, tanto che in corsa abbiamo dovuto cambiare la sede del convegno, perché non sapevamo più come accogliere tutti gli ospiti e gli intervenuti oltre alla stampa. Un successo di questo tipo (inatteso) spiega come e quanto sia oggi necessario collegare la Associazioni (Assofermet e Federacciai) agli iscritti e quindi alla stampa. Ciò che emerge a chiare lettere da questo convegno è che siamo una squadra anche se non abbiamo tarato, per il momento, il giusto linguaggio e sensibilità tra di noi. Il giudizio su questo evento è quindi certamente di estrema soddisfazione, per aver almeno cominciato a cercare le soluzioni che tutti vogliono, ma che non trovano. Il collasso del mercato è una ipotesi dietro l’angolo, ma con questi nuovi strumenti gestibile».