Perchè amo l’America e ci vivo anche? La pignoleria di chi ha torto

Perchè amo l’America? essendo sociologo amo le persone; ne osservo i comportamenti, pregi e difetti, l’abbigliamento quale codice espressivo e quindi il modo come agiscono sia da soli che in gruppo.

Studio le scelte di consumo e i riti seguiti per piacere e farsi vedere quindi l’amore, l’odio, le passioni come in genere le soluzioni adottate per relazionare con gli altri e se stessi. Tutto è materia prima con cui fare i conti ogni giorno.

Un comportamento umano (molto italiano) che continua a stupirmi è la pignoleria della gente quando si picca di cogliere in flagrante qualcuno vendicandosi di peccati propri, non ancora scoperti.

E’ il caso del pedone che sta transitando (causa lavori pubblici) sul bordo della strada e le moto lo sfiorano, quasi a colpire la sua presenza. Ma anche dei gestacci degli automobilisti al ciclista, che non sa della pista ciclabile collocata magari sulla carreggiata opposta. Quel gusto tutto italico di fiammeggiare gli abbaglianti in corsia di sorpasso sull’autostrada, senza accorgersi che l’autovelox sta immortalando il momento.

Gli esempi proseguono; il ciclista sul marciapiede e il viso indignato dei pedoni benestanti magari rei di evasione fiscale, quindi la signora che bofonchia qualcosa quando si trova un’intera famiglia schierata che passeggia sul marciapiede ostacolando flussi di velocità più elevati.

Perché amo l’ America?
Escluse isole di nevrosi come New York, da cui mi tengo distante, ciò che apprezzo nella gente del Nord America è il basso livello di conflittualità sociale per cui il litigio, quale espressività della persona, resta residuale, possibile ma non costante. Da noi è il contrario.
Ragioni storiche giustificano questa divaricazione strutturale tra comportamenti.

In Italia caduto il fascismo si abrogò nel regime lo stato, che ne era pregno, senza sostituirlo con quello liberale, compromesso e squalificato perché di pochi; ormai la socializzazione delle masse era un credo. Si dovette optare per una repubblica dei partiti. A quel punto gli italiani si divisero (e a volte si uccisero anche) tra democristiani, socialisti e comunisti. Non solo, ma gli stessi concorsi pubblici furono vinti da candidati in base alle percentuali delle ultime elezioni politiche (ad esempio 42% dei vincitori di concorso agli iscritti alla DC, il 20% al PCI e così via)

Tutto questo fino a tangentopoli, dove con i partiti cadde anche il sindacato e gli italiani si trovarono orfani. Negli anni Novanta alla parola Dio fu cancellata la “D” curandosi del restante Io. Da allora l’individualismo più esasperato (per la precisione nichilismo) è la costante patologica del nostro comportamento quotidiano. Litighiamo perché siamo intimamente soli, ma lo abbiamo voluto.

L’andare a criticare gli altri, serve a rispondere al bisogno di trovare la pagliuzza nell’occhio degli altri, dimenticandosi di quella trave che pesa sulla nostra coscienza. Dando un nome meno filosofico a questa patologia, troviamo la dissonanza cognitiva. In pratica sentirsi qualcosa che non si è, pur pretendendo di riceverne le connesse soddisfazioni, entrando in crisi d’ansia e depressione se non appagati a un livello che non ci spetta, ma che abbiamo immaginato e inventato per noi. Questa è la nostra fotografia. In pratica dei casinisti organizzati.

Per guarire servirebbe essere educati dalla grande politica, quella degli ideali oppure sopravvivere a un disastro, tale da rimettere ordine tra le cose che contano e quelle superflue.
Il guaio è che questo “disordine” entra anche dentro le decisioni delle nostre famiglie e aziende.

Urge una stagione di pulizia morale interna ad hoc, che non possiamo pretendere che altri facciano per noi. L’abbiamo voluto l’individualismo? Allora anche la cura dev’esserlo, mentre chi non si muove resta ancora più isolato. Ecco perché amo l’America.