Consulenza finanziaria intesa, in questa analisi, come evoluzione di un concetto, relativamente all’Italia, a partire dagli anni 90.

Il tema è scottante perchè in seguito alla crisi Subprime si rotto il meccanismo di fiducia tra investitori e le banche con annessi consulenti finanziari.

Nei “Quaderni di finanza del 2017” prosaicamente si ribadisce che la fiducia, nel sistema finanziario, rappresenta il lubrificante dell’attività economica. Infatti dal 2010 l’economia Occidentale ristagna.

E’ noto quanto l’investitore medio italiano sia piuttosto impreparato quanto ignorante sull’argomento, eppure specula e gioca in borsa.

Sostanzialmente incosciente, l’italiano investitore e risparmiatore si trova spesso imbrigliato in banche che falliscono (noti sono i fatti di questi anni 2017-2019) o truffe aziendali (Cirio-Parmalat).

Quanto appena affermato emerge da diversi documenti ufficiali, non ultimo il Rapporto Consob del 2016 sulle scelte d’investimento.

Il 40% degli intervistati dalla Consob sa definire correttamente il concetto “inflazione”, ma appena l’11% riesce a spigarsi su specifiche dei più diffusi investimenti nazionali (BOT e CCT).

In una situazione di scarsa trasparenza nella gestione dell’azzardo da risparmio-investimento incosciente degli italiani, si presentano due problematiche:

a) l’ingresso dei robot al posto dei consulenti (argomento d’attualità di questi ultimi anni e già qui ampiamente trattato);

b) il bisogno di definire meglio il perimetro e concetto di consulenza in campo finanziario.

Specificatamente sul punto “a” purtroppo la recente rivoluzione digitale ha permesso l’ingresso nel mercato, di nuovi strumenti finanziari e attori, dapprima sconosciuti alzando i rischi per una platea d’investitori non preparati.

Fortunatamente la legge non ha voluto trascurare l’incongruenza tra consulenza e utenza non preparata.

Infatti le nuove diverse tipologie di strumenti recentemente immessi nel mercato, sono definiti dalla legge “complessi”, ovvero posti sotto particolare osservazione da parte del legislatore, perché presuppongono un’adeguata conoscenza finanziaria.

Di fatto, quanto le banche stanno facendo in termini di FINTECH per ridurre i costi della consulenza è idoneo a compromettere la capacità dell’investitore d’assumere scelte consapevoli.

Come ridurre al minimo l’asimmetria informativa nel rapporto tra cliente e consulente in ambito finanziario?

In Italia la prima nozione di consulenza viene sancita con la legge 1 del  2 gennaio 1991.  

Prima del 91′ la consulenza finanziaria era eseguibile da chiunque.

Il risparmiatore era considerato maturo e capace. Ne consegue che il consulente finanziario si identificava in un trasmettitore d’informazioni, privo di specifiche regole di comportamento se non quanto prescritto generalmente dal Codice Civile.

Con la Legge del 1991′,  nell’art. 1 al comma 1, lett. e) nasce la “consulenza in materia di valori mobiliari” quale “attività di intermediazione”.

Tradotto in termini pratici, la legge riconosce all’attività di consulenza un’area riservata ai soli Autorizzati come SIM e Banche. Enti che dovevano agire a norma dell’art. 6 secondo principi di correttezza, diligenza e professionalità.

I tempi però cambiano.

Con il successivo decreto legislativo 2 luglio 1996 n. 415 recependo la normativa europea 93/22/CEE (detta anche ISD) la consulenza finanziaria è derubricata dai servizi principali per essere inserita nei servizi accessori.

A questo proposito, il legislatore nazionale decise di non prevedere il rilascio di un’autorizzazione specifica per l’esercizio del servizio di consulenza.

Il legislatore del 1996 ritornò nel considerare l’investitore come un essere capace e razionale nelle sue scelte.

A pochi anni dal recepimento della normativa europea ISD, è stato anche emanato il Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) con decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998.

Una significativa svolta emerge dalle direttiva europea 2004/39/CE nota come MiFID di primo livello e la successiva 2006/73/CE  nota come MiFID di secondo livello.

L’Italia recepisce la MiFID attraverso la legge n. 13 del 6 febbraio del 2007. Ne viene adeguato di conseguenza anche il TUF con il decreto legislativo n. 164 del 2007.

La direttiva MiFID attribuisce peso all’attività di “consulenza in materia di investimenti” perchè considerato argomento delicato e pericoloso (art. 4, paragrafo 1, punto 4 Allegato 1, Sezione A).

Tra MiFID e la legge italiana 1991, la differenza è importante. Se il concetto di consulenza del 1991 era limitato agli strumenti finanziari, nel MiFID si passa alla gestione di portafoglio per gli investimenti.

Per garantire la gestione corretta di un “portafoglio” la direttiva MiFID capovolge l’onore della formazione dal consulente al cliente; nasce l’obbligo di formare l’investitore rendendolo consapevole delle scelte. 

Si abbozza, in quell’epoca, il bisogno di un profilo del cliente prima d’agire e d’indirizzarlo verso scelte d’investimento. All’ambizioso progetto dell’identikit del cliente “crolla tutto” con la crisi Subprime e la conseguente frattura nella fiducia tra cliente e consulenza finanziaria-banche.

Le disposizioni contenute della direttiva 2004/39/CE hanno ceduto il passo alla direttiva 2014/65/UE (c.a. MiFID II).

La MiFID II entra in Italia con il decreto legislativo 3 agosto del 2017. Ne conseguono le modifiche apportate al TUF dal 3 gennaio 2018.

La novità consiste in regole più dure per la consulenza finanziaria.  L’obbiettivo è d’offrire ai clienti prodotti adeguati alle esigenze in base al profilo inizialmente redatto e d’indirizzo sui prodotti finanziari acquistabili.

Il consulente non può vendere al cliente prodotti finanziari non in linea con il profilo del cliente pena il rimborso da parte della banca in caso d’investimento non adeguato (vedi obbligazioni di Stato Argentine vendite a clientela non cosciente del prodotto acquistato).