Taccuino americano (8): a 60 giorni dall’elezione presidenziale statunitense

05-09-2012 –

Il vantaggio di seguire in diretta un’elezione presidenziale americana è quello di poter rivedere e aggiornare tutti i più grandi temi di una società moderna messi qui in discussione e aggiornati.
In aggiunta a quanto già descritto nel pezzo “a 100 giorni dall’elezione presidenziale statunitense”, già pubblicato su SIDERWEB, lo scontro tra repubblicani e democratici, soprattutto dalla campagna elettorale che vinse Ronald Reagan nel 1980, ruota sempre attorno a un grande dibattito: quanto deve pesare lo stato sul PIL?
Su questo aspetto, non ci sarà mai fine nei ragionamenti e scenari perché le sfaccettature sono infinite. In linea di massima i repubblicani cercano uno stato snello che pesi poco sulla società civile, mentre i democratici (che si rivolgono tradizionalmente a un elettorato più debole e povero) cercano di caricare nel bilancio pubblico il massimo possibile per garantire il benessere anche e spesso a scapito dei conti pubblici.
Al di là di una discussione politologica, che non avrebbe neppure spazio su questa rubrica, lo spunto dalle elezioni americane per i lettori italiani è un altro: quanto deve costare, ad esempio, il merci conto acquisti sul fatturato, affinché l’azienda sia sana?
Seguendo questa impostazione, il dubbio s’estende ai costi commerciali, quelli amministrativi, quindi generali, costo del personale, oneri amministrativi e gli ammortamenti.
Diverse volte ho seguito dei simposi, per settore merceologico, dove le associazioni di categoria pagano degli specialisti per esaminare un certo numero di bilanci indicandone le tendenze.
Ebbene, pur ascoltando con rispetto una sequela di dati, spesso non sempre intuibile immediatamente, quando ci si alza al termine dell’incontro si resta con un punto interrogativo, perché si hanno in mano delle tendenze con cui misurare la propria distanza da una media di categoria, il che non è poco ma, secondo me, non sufficiente.
Credo in un sistema che, specializzandosi per settore, possa affermare che l’incidenza dell’acquisto delle materie prime sul fatturato oscilli tra il 25 al 50% nel campo edile, per salire al 60-65 in media nazionale e si attesti, come eccezione nel siderurgico sull’85-92% per raggiungere il massimo nelle rivendite di auto con un 90-95%.
Ovviamente la forbice tra un estremo e l’altro è molto alta, ma consegna comunque all’imprenditore un quadro di riferimento.
Sul costo del personale, un’azienda sana non sfonda mai il 15% del fatturato, considerando il costo industriale della mano d’opera. Ci sono delle eccezioni come i call center che salgono al 22-25% oppure delle scelte specifiche dell’imprenditore, che in un certo periodo di tempo vuole impiegare più fattore umano per alzare lo scaglione di fatturato, per cui si carica di un 20% ad esempio per conquistare dei mercati, grazie ai quali, il peso percentuale del costo del personale successivamente rientrerà in una dimensione media e accettabile oscillante intorno al 15%.
Indicando questi importi si desidera spiegare come siano discrezionali, nel senso di una risultante di una scelta che il capo dell’azienda attua, perseguendo un progetto aziendale descritto nel piano di marketing. Ovviamente se dovesse mancare il piano industriale e la strategia aziendale, il quadro si complica aprendo spesso alla crisi.
Passando ai costi commerciali, che dovrebbero assorbire fino al 4% del fatturato, non ci si trova mai con i conti! Solitamente le imprese italiane contraggono queste spese fino allo 0,8 o l’1% del fatturato, il che equivale a non curare un coniuge e lamentarsi che non sia affascinante. Non va mai dimenticato come un’impresa, per vivere, abbia bisogno del mercato e l’unico modo per spiegare al consumatore il valore del prodotto sono le spese commerciali, che non individuano solo la pubblicità, ma un modo di porsi verso i clienti con incontri, meeting, giochi, pubblicazioni dedicate.
Su questo piano vanno considerate le spese generali (l’ossatura dell’impresa, ovvero l’importanza dello scheletro per un essere vivente) che in genere arrivano all’8% del fatturato. Valori inferiori indicano uno sfruttamento dell’organizzazione.
Sulle spese bancarie va fatto un distinto. Fino al 2008 erano nell’ordine dell’1% o anche inferiori, mentre oggi sono salite e quindi da considerarsi come “normali” anche al 5% del fatturato.
Gli ammortamenti non superano in genere l’1% del fatturato o valori similari.
Lo scontro tra repubblicani e democratici è tutto qui: pur sapendo che entrambi hanno perfettamente contribuito al disastro della finanza pubblica statunitense, pur se in linea di principio le differenze tra loro consistono nel peso della pubblica amministrazione in percentuale sul PIL.
Mi spiace aver deluso chi avrebbe voluto discutere di politica statunitense anziché dei propri conti aziendali, sicuramente nei prossimi articoli di questo Taccuino americano 2012 ce ne sarà occasione, infiammando gli animi.