Taccuino Americano: parlare dell’uomo, anzi tornare a parlare dell’uomo che abbiamo dimenticato!

Alcuni lettori, in particolare lettrici mi scrivono: stai parlando troppo di politica dagli USA, puoi tornare ad approfondire i temi intorno all’uomo? OK! Scrivo di quanto vedo e osservo. Qui negli Stati Uniti siamo in piena campagna elettorale con 16 mesi di anticipo e quindi racconto di quanto vivo, ma correggo la barra e mi tuffo in una difficile analisi.

Avevo in mente questo pezzo da diversi giorni ma non l’ardire di scriverlo, vediamo ora, cosa accade.
Per altre vicende che poi racconterò, ho fatto riferimento all’intervista di Albert Speer (l’architetto di Hilter) sulla rivista Playboy, concessa nel 1971 dopo la scarcerazione per aver scontato 20 anni inflitti al processo di Norimberga, contro i gerarchi nazisti. Quand’ero giovane questo magazine si rese famoso impegnando le prime 43 pagine grazie a interviste mensili d’altissimo profilo. Lessi di Henry Kissinger quando illustrò la politica del ping pong verso la Cina (eravamo nel 1972 quando si stava pensando alla globalizzazione), quindi Benetton, descrivendo la terza economia e il concetto di distretto. Ripenso alla mia amata Oriana (Fallaci) che intervistò Arafat, da cui il suo profondo disgusto per questo faccendiere. Al ricordo d’eventi così importanti, che hanno modellato la nostra storia, si associa, per me, anche quanto era pubblicato oltre pagina 43.
Ebbene siamo al nocciolo del problema: l’uso della fisicità (sesso) in un ambito affettivo, come sistema comunicativo. Il concetto è semplice: se respiriamo, mangiamo, dormiamo, litighiamo, comunichiamo, facciamo la spesa e paghiamo le bollette, buttando l’immondizia tutte le sere, allora dovemmo anche parlare con la pelle, comunicando con gesti al partner quanto abbiamo vissuto dentro in quella giornata. Credo che così non sia oggi più di prima.
Più andiamo avanti e maggiormente releghiamo la comunicazione fisica in un ambito d’occasionale consumo d’erotismo spicciolo che ci svuota ogni volta che lo viviamo. Sarà anche bello, ma non è motivo d’investimento affettivo, bensì resta solo una valvola di sfogo per una pentola che bolle.
Non si vive così.
Perché sulla stampa si parla di comunicazione fisica? Semplice! Se questo non è il modo di vivere, non lo è neppure di lavorare quindi di produrre. Capisco il sorriso di chi stia leggendo connettendo i diversi aspetti del ragionamento che è facilmente volgarizzabile in poche battute, ma ciò lascia intatta la solitudine esistenziale che ne deriva, vivendo una realtà di coppia non valorizzata. Possiamo scherzarci ma il problema resta, allora conviene lavorarci sopra. Che si fa?
Il ragionamento di base è sempre lo stesso: non esiste una vita lavorativa e una privata. In realtà la vita è una sola. Se dovessimo spezzare le due o più realtà, forse dotati di maschera, potremmo reggere per anni, ma al prezzo da pagare sarebbe in quote d’ansia, nervosismo, nevrosi, sdoppiamento, finzione, bugie, confusione. Da qui il passaggio ai sonniferi, oppiacei e droghe come all’iper alimentazione nervosa (obesità) il passo è breve, ma anche il tradimento negli affetti per “provare qualcosa di più” ovvero toccare soglie sempre più alte nell’emotività, trovandosi poi con un pugno di sabbia in mano ogni volta. Una vita vissuta così non merita impegno, considerazione perché priva di valore, risponde solo a impulsi nervosi senza lasciare una storia. Il cambiamento è imperativo e reale solo se personale. Nessuno regala una vita nuova (solo Dio ha questo potere attraverso la fede). La maturazione, la sensibilità e l’allargamento dei confini mentali, è sempre opera del singolo in successivo confronto con una ristrettissima cerchia di persone fidate. Delegare al partner o agli amici la fatica di produrre idee e schemi per se stessi, non è una saggia politica. Serve quindi che noi stessi, singolarmente presi, avviamo un individuale percorso di crescita che sia quindi, successivamente, anche lavorativo.
Non necessariamente questo iter verrà capito dagli altri (è sempre così) ma questo non ha importanza. Ciò che conta è invece la riscoperta di quell’alfabeto fisico e mentale con il quale impariamo a comunicare a noi stessi e quindi anche agli altri, punti di vista, opinioni, concetti e valori. In tutto questo la comunicazione epidermica è strategica, perché si potranno anche dimenticare le parole udite, ma mai quelle sentite scorrere sulla pelle.
Questi concetti vengono scritti vivendo a Portland (Oregon) dove al pari delle città svizzere e quelle olandesi, un’ importante parte della gioventù è caduta nella trappola della droga, scadendo a zoo umano. Che cosa vuoi andare a raccontare a gente che vive ubriaca d’emozioni non vissute? Concludendo: una persona sana quotidianamente respira, dorme, mangia, pensa e quindi fa anche l’amore, per cui lavora bene.

In dettaglio trovando un filo conduttore a questo studio, si parte dal versante intellettivo (Albert Speer) e lo si contestualizza in una rivista che ha contribuito alla crescita del pensiero nel mondo. Guarda caso, girata una certa pagina, appunto la 43 dal cognitivo si passa all’emotivo a significare che non esiste il professionale senza il personale, ovvero la sensibilità di capire la vita per poi portarla nel lavoro. Acquisito questo concetto, si riscontra oggi un profondo scadimento nella parte privata della vita dove la comunicazione fisica (l’alfabeto della stabilità emotiva) è stato sporcata dal consumo. Valere poco nella vita privata, significa contare ancora meno al lavoro se questo viene inteso sul lungo periodo, lasciando qualcosa di sé ai figli e alla comunità. Ma non basta.

Ogni ragionamento (questa è la maledizione del nichilismo) può essere ribaltato e contraddetto, perché non stiamo più usando i valori di base, ma solo la speculazione mentale. Lavorare senza un valore, significa buttare alle ortiche 8 ore al giorno, il che si paga con nervosismo e rabbia. Per cambiare serve riportare nella sensibilità privata il concetto di lavoro e per farlo bisogna essere in pace con se stessi, ovvero saper ben comunicare epidermicamente con il partner il che vale una carezza, uno sguardo, un sospiro.
Buon lavoro.

Lo scopo del taccuino americano Usa è quello di prendere spunto da aspetti diversi e riordinarli in un ordine d’idee che sia utile a riunire 2 facciate della personalità umana: quella personale e professionale.

Mi spiego. Nell’era moderna la personalità degli Occidentali e comunque nelle società evolute (non sono tutte quelle che rispondono ai 9 assetti culturali esistenti nel mondo) si è scissa almeno in 2 aspetti, che generano un senso di solitudine e di non appartenenza, da cui un disagio generalizzato. Il taccuino americano Usa risponde a questa necessità, offrendo spunti e ragionamenti per far riflettere. Il disagio a cui ci si riferisce è quello d’appartenere a più ambiti, ma di nessuno un particolare. Questa NON appartenenza porta a distacco da tutto, compresa la famiglia e la coppia, da cui la crisi dell’amore e della società moderna, della cattiva educazione della prole e della solitudine della persona che vorrebbe amare ma non sa come fare.

Foto tratte dal taccuino americano Usa: una famosa libreria americana di successo che unisce consumazione di cibo a lettura.

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