Taccuino americano: discussioni intorno al reddito d’impresa e la sua base morale.

Qui negli USA mi sono scontrato con una mentalità che considero alla base della crisi, sia questa al suo esordio nel 2008 che oggi (il secondo colpo).
Gli americani cercano di convincermi che l’unico scopo delle imprese è quello di produrre profitti (il che è vero e condivisibile) indipendentemente da quale strada percorrono per farlo (qui non ci troviamo più). Nel dettaglio, a loro che si vada in Cina a produrre importa poco a patto che gli utili ci siano e le azioni in borsa salgano.
Non la penso così per un motivo semplice. Ritengo che il costo sociale di 1 disoccupato sia più elevato dell’utile aziendale prodotto de localizzando, per vendere nella nazione d’appartenenza. Mi spiego. Se mi chiamo Fiat e produco in Polonia autovetture da vendere in Italia, ho rubato quote di ricchezza nazionale per cui dovrei pagare tasse. Se invece mi chiamo Agusta Westland e produco in Italia per il mercato internazionale o apro/compro degli stabilimenti in Polonia per il mercato polacco e quello dell’est, allora merito un riconoscimento in un livello di tassazione adeguato al numero di operai impiegati in Italia.
Tutto il ragionamento ruota intorno a un solo concetto: quanti disoccupati può soffrire la comunità?
Perché, e qui si torna agli USA, i senza lavoro non solo non comprano (riduzione del consumo che avviene anche in Italia per l’instabilità nella certezza del lavoro) ma hanno un costo sociale crescente, tale da disarticolare la finanza pubblica destabilizzando l’intera comunità.
Se poi a questo ragionamento consideriamo che abbiamo “troppi pensionati”, i costi sociali scoppiano. Su quest’ultimo aspetto c’è qualcosa da dire. Non è vero che abbiamo troppi pensionati, ma capovolgendo il concetto, troppi pochi posti di lavoro che dovrebbero pagare a loro volta i contributi, da cui la liquidazione delle pensioni. Sposarsi tardi per assenza di certezza sul futuro lavorativo significa avere meno figli di quanti se ne potrebbero desiderare, da cui l’immigrazione che crea dissesti sociali e assenza d’integrazione culturale (vedi il caso britannico, tedesco e francese con una latente tensione razzista da esasperazione in Italia)
Più specificatamente sull’attuale seconda fase della crisi vanno fatte delle considerazioni tecniche. Nel 2008 con i “subprime” finalmente si scoprì che di finanza l’economia può anche morire e si predisse che applicando dei correttivi alla speculazione e alla globalizzazione, la crisi sarebbe rientrata al massimo entro il 2015. A questa richiesta di varianti da applicare alle regole è stato sia tutto annacquato nella cosiddetta “Basilea 3”, che non rende più di tanto esosa l’impresa bancaria che ha comportato per qualche multinazionale, la chiusura di attività nei paesi in via di sviluppo, rientrando nella nazione di origine. Non basta.
Senza reali correttivi a un abuso di finanza nell’economia (in realtà il malessere è sociale e si chiama nichilismo, ovvero un senso vuoto della vita tradotto in termini conflittuali) la previsione di un ritorno alla stabilità per il 2015 oggi non è più valida.

Non solo, ma gli studi che hanno previsto la curva della crisi in W (doppia “vu”) con una forte caduta (2009), recupero (2010) e ricaduta (2011) sono cambiati, per cui adesso ci avviamo a una successione calante di doppie “vu” determinando instabilità strutturale. Se a tutto questo ci aggiungiamo il dissesto sociale cinese, atteso nei prossimi mesi, tanto da mandare in fumo miliardi d’investimenti in questa colonia produttiva (così è ormai considerata la Cina comunista) il quadro è completo.
Chi si salva? Vorrei non rispondere a questa domanda. Ne usciremo? Non lo so perché non agendo su un piano culturale adeguato per far crescere le persone, la e le crisi si sommano una all’altra, in una stratificazione impressionante (crisi di motivazioni personali e private che si ripercuotono nel lavoro, per cui sterilizzazione dell’economia nella ricerca di una vuota ricchezza finanziaria, rottura dei rapporti di coppia, gioventù priva di modelli, uso-abuso di sostanze sia chimiche) Qui negli USA (osservatorio privilegiato per intercettare le nuove tendenze sociali, politiche ed economiche) spesso entro in libreria per trovarci una caterva di giornalini (stampa femminile dedicata alle vicende personali di attori più o meno noti) quindi altrettanto libri spazzatura che predigono un successo inarrestabile se “saprete sorridere alle persone”, ma non riesco a trovare le idee! Ecco come fu eletto Obama: senza idee. Bastò un motto: Yes we can.
Poveri democratici, ridotti a uno slogan avendo mandato in soffitta Roosevelt e Kennedy.

Oggi le forze più estreme della destra politica, incarnate nel rassicurante viso della Signora Michele Bachmann, puntano alla presidenza che conquisteranno senza indugio con un contro motto: perché ci siamo ridotti così?

Lo scopo del taccuino americano Usa è quello di prendere spunto da aspetti diversi e riordinarli in un ordine d’idee che sia utile a riunire 2 facciate della personalità umana: quella personale e professionale.

Mi spiego. Nell’era moderna la personalità degli Occidentali e comunque società evolute (non sono tutte quelle che rispondono ai 9 assetti culturali esistenti nel mondo) si è scissa almeno in 2 aspetti che generano un senso di solitudine e di non appartenenza da cui un disagio generalizzato. Il taccuino americano Usa risponde a questa necessità offrendo spunti e ragionamenti.

Foto tratte dal taccuino americano Usa: Napa Valley a nord di San Francisco

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