Pensando al passato avvicinandomi alla morte nel fine vita.

Pensando al passato avvicinandosi la fine della vita, non vuol dire rivolgersi nella memoria al proprio vissuto. Al contrario, riducendosi le quote di “futuro” a cui posso ancora rivolgermi, perchè la vita è fatta così, penso alle generazioni passate. Quante persone hanno già vissuto e cosa hanno lasciato. Come hanno percepito i loro problemi e con quali prospettive? Quanti di loro, uomini o donne hanno finito la vita che avrebbero potuto dare all’esistenza ancora tanto? In pratica è filosofia, ma non troppo; in realtà è pratica!

Non so se per consolarmi o per dirmi che ci sono già passati miliardi di persone. Nel senso che veramente tutti, nel bene come nel male, sono comunque morti. Quindi posso anche non lamentarmi perchè “mi tocca”, la domanda diventa, cosa gli altri hanno fatto e vissuto. Quale il loro bilancio e quanto ne è rimasto potenzialmente fuori? Chissà che spreco! Avrebbero potuto lavorare di più se non fossero stati disoccupati, ad esempio. Certo che la disoccupazione è pari a una privazione di quote di vita. Oppure avrebbero potuto amare molto ma molto di più, se non fossero rimasti intrappolati da convenienze e presunzioni come pregiudizi.

Pensando al passato e alla sorte degli altri, accade di trovarsi oltre la storia. Rispetto una storia fatta di eventi, s’inizia (forse finalmente) a pensare alla storia degli uomini e delle donne. La storia della vita vissuta. Si cercando stili di comportamento e di abbigliamento, foto vecchie, fatti che non sono mai entranti nei libri. Eventi che non saranno mai celebrati da nessuno, ma che fanno parte dello storico dell’umanità.

Che sia forse una fortuna che l’esperienza non sia trasmissibile? Questo mancato trasferimento permette al genere umano di rincominciare sempre da capo, consentendo a noi che leggiamo, d’immedesimarci. Certo questi sono pensieri che non interessano a nessuno.